Quali sono i numeri dei consumi italiani di metano e da quali Paesi lo importiamo? Cosa possiamo fare per affrontare al meglio il prossimo inverno?
Negli anni ’80 imperversava una campagna pubblicitaria incentrata intorno allo slogan: “il metano ti dà una mano”. Le motivazioni della campagna non avevano nulla a che fare con il problema del riscaldamento globale che, quaranta anni fa, era oggetto di dibattito solo tra pochi specialisti. L’uso del metano veniva pubblicizzato allo scopo di ridurre l’inquinamento ambientale perché il metano è un combustibile decisamente meno inquinante rispetto al carbone o ai derivati del petrolio.
In effetti il metano ha qualche merito anche dal punto di vista del contenimento del riscaldamento globale. Quando si brucia metano si riducono, a parità di energia prodotta, anche le emissioni di CO2 perché ogni molecola di metano, reagendo con l’ossigeno, produce una molecola di CO2 e 2 molecole d’acqua. Bruciando carbone si rilascia solo CO2, mentre nel caso dei combustibili derivati dal petrolio si ottiene un risultato intermedio tra il caso del carbone e quello del metano. A parità di energia termica prodotta, l’anidride carbonica che proviene dalla combustione del metano corrisponde al 25-30% in meno rispetto ai prodotti petroliferi ed è circa la metà rispetto al carbone.
Va detto tuttavia che il metano è – per sua natura – un potentissimo gas serra, anche se la permanenza media delle molecole di metano nell’atmosfera è decisamente inferiore rispetto a quella dell’anidride carbonica. In altre parole, il metano è il migliore tra i combustibili di origine fossile, purché si eviti di disperderlo nell’atmosfera.
L’attuale crisi energetica, partita dopo la fine dei grandi lockdown legati alla pandemia ed acuita dall’invasione russa dell’Ucraina, ha ridotto la quantità di combustibili fossili disponibili sul mercato, innescando fortissime speculazioni.
Proprio nel momento in cui dovremmo iniziare a ridurre seriamente l’utilizzo dei combustibili fossili per limitare l’emissione di gas serra nell’atmosfera, l’emergenza energetica ci sta costringendo a fare esattamente l’opposto. Stiamo addirittura riaprendo le centrali elettriche alimentate a carbone, quanto di più dannoso si possa immaginare sia dal punto di vista dell’inquinamento ambientale che da quello delle emissioni di gas serra.
Purtroppo non abbiamo tempo per trovare alternative energetiche credibili. La costruzione di nuovi impianti che sfruttino energie rinnovabili richiede mesi se non addirittura anni e chi propone di affidarsi alle centrali nucleari sembra dimenticare che i tempi di realizzazione di una nuova centrale sono tipicamente dell’ordine di 10 anni.
Un noto politico italiano ha recentemente espresso la propria disponibilità ad ospitare una nuova centrale nucleare accanto a casa sua. Io approfitterei della buona volontà dimostrata per individuare finalmente la sede di stoccaggio delle scorie nucleari nazionali, risolvendo così un annoso problema che si trascina da molti anni.
Intanto si susseguono preoccupate le stime sul possibile calo del PIL nazionale che potrebbe essere provocato da un eventuale blocco delle forniture di metano provenienti dalla Russia.
Per cercare di capire di più, vediamo quali sono i numeri del consumo di metano in Italia, attingendo ai dati disponibili nel sito del Ministero della Transizione Ecologica (una fonte di dati ricca ed affidabile).
Nel 2021 l’Italia ha consumato circa 76 miliardi di mc di metano, quasi tutto importato dall’estero. Per i lettori più attenti ai dettagli, ricordo che parliamo di metri cubi misurati alle condizioni di temperatura e pressione “standard“, calcolati per un gas che abbia un potere calorifico pari a 38,1 MJ/mc.
La produzione nazionale nel 2021 è stata pari a poco più di 3 miliardi di mc (all’inizio di questo secolo la produzione italiana ammontava a circa 15 miliardi di mc all’anno, ma poi è progressivamente calata).
Le riserve italiane di metano non sono ancora esaurite: i dati certi ammontano a circa 100 miliardi di mc, mentre le possibili riserve (non tutte confermate) potrebbero arrivare fino a 350 miliardi mc. Si tratta di quantità che certamente non possono garantire al Paese una qualche forma di autosufficienza, anche perché ci sono dei seri limiti alla nostra capacità estrattiva (alcuni auto-imposti, forse ricorderete le polemiche sulle trivelle in Adriatico). Non c’è dubbio tuttavia che se avessimo conservato una migliore capacità estrattiva, il contributo nazionale potrebbe essere determinante per risolvere l’attuale stato di crisi. Purtroppo non l’abbiamo fatto e – come di dice – “è inutile piangere sul latte versato“.
Per curiosità, riporto anche il dato del cosiddetto biometano, ovvero del metano ottenuto dalla trasformazione di materie prime vegetali e quindi, per definizione, rinnovabili. Nel 2020 in Italia sono stati prodotti circa 100 milioni di mc di biometano, il doppio rispetto all’anno precedente, ma comunque una goccia nel mare dei consumi nazionali.
Il programma PNRR prevede l’investimento di circa 2 miliardi di Euro per aumentare la produzione nazionale di biometano facendola arrivare a 600 miliardi di mc nel 2023 e ad almeno 2,3 miliardi di mc nel 2026. L’idea è quella di sfruttare gli scarti di talune produzioni agricole ed anche una frazione dei rifiuti urbani, in modo da recuperare una quota di gas apprezzabile, riducendo nel contempo le dannose emissioni di metano che si disperdono nell’atmosfera. Si tratta di un programma ambizioso che potrà produrre risultati interessanti, anche se non immediati.
Nel 2021 la maggiore quantità di metano (poco meno del 40% del totale) è stata importata dalla Russia (è quello che nelle tabelle ministeriali risulta essere entrato in Italia a Tarvisio). Una piccola quantità del metano acquistato dall’Italia nel 2021 (circa 1,5 miliardi di mc) è stato riesportato all’estero.
Per il 2022 abbiamo i dati aggiornati ai primi 5 mesi dell’anno (fino a maggio) e perciò ancora largamente incompleti. Vediamo che, malgrado la forte crescita dei prezzi, i consumi interni durante i primi 5 mesi del 2022 sono stati più o meno equivalenti rispetto a quelli dell’anno precedente (circa 35 miliardi di mc). Ci sono state alcune significative differenze: in particolare, l’Algeria è diventato il nostro principale fornitore (9,5 miliardi di mc arrivati a Mazara del Vallo), mentre è raddoppiata la quantità di gas arrivata a Melendugno (passata da 2 a poco più di 4 miliardi di mc) attraverso il nuovo gasdotto TAP (quello che in Puglia era stato osteggiato fortemente da chi aveva previsto che avrebbe prodotto uno stravolgimento dell’ambiente che, per fortuna, non si è verificato). Nei primi 5 mesi del 2022 le forniture provenienti dalla Russia hanno coperto circa il 24% dei consumi totali, in forte calo (circa 1/3 in valore assoluto) rispetto alle forniture registrate nello stesso periodo dell’anno precedente.
Si nota anche un forte aumento delle esportazioni di metano che, nei primi 5 mesi del 2022, sono state pari a 5 volte l’ammontare registrato durante lo stesso periodo dell’anno precedente. Segno che la speculazione è sempre attiva e, invece di accumulare tutto il metano disponibile nei depositi, c’è qualcuno che preferisce venderlo all’estero per lucrare sulle forti differenze di prezzo.
A proposito dei depositi di metano (tipicamente vecchi siti di estrazione ormai esauriti che servono per immagazzinare le riserve di gas), la loro capacità complessiva corrisponde a circa 14 miliardi di mc ed attualmente sono riempiti per circa 2/3. L’obiettivo sarebbe quello di riempirli fino alla capacità massima prima dell’arrivo dei mesi più freddi quando il consumo di gas per il riscaldamento degli edifici crescerà considerevolmente. Per raggiungere questo risultato occorrono circa 5 miliardi di mc che si aggiungono ai consumi ordinari da oggi fino alla fine di ottobre.
Il quadro complessivo che emerge dai dati che ho presentato dimostra l’oggettiva difficoltà di cambiare rapidamente i fornitori di metano. Oltre ai vincoli contrattuali, ci sono oggettive difficoltà tecniche che diventano ancora più stringenti quando tutto il mondo è in competizione per trovare nuove forniture di gas.
Chi a suo tempo ha deciso di azzerare la produzione nazionale e si è affidato in maniera assolutamente sbilanciata alle forniture russe ha commesso un grave azzardo strategico ed ora ne paghiamo le conseguenze. Le azioni che il Governo italiano ha svolto nel corso degli ultimi mesi per individuare fornitori alternativi produrranno sperabilmente un effetto nel prossimo futuro, ma non dobbiamo illuderci che le cose possano cambiare dall’oggi al domani.
A breve termine (da qui ai primi mesi del 2023) l’unica cosa che ragionevolmente possiamo tentare di fare è quella di ridurre i consumi
Vediamo quale è la destinazione finale del metano che consumiamo in Italia:
- Circa il 40% dei consumi è concentrato nelle utenze residenziali (riscaldamento, produzione di acqua calda e cottura dei cibi) e nel cosiddetto “terziario” (attività commerciali, servizi e uffici).
- Una quota pari a circa il 20% viene assorbita dalle industrie dove il metano viene usato sia per la produzione di calore che come materia prima per la produzione di altri prodotti chimici.
- Un terzo dei consumi corrisponde al metano utilizzato dalle centrali termiche per la produzione di energia elettrica.
- Il settore dei trasporti assorbe poco più di 1 miliardo di mc all’anno. Si stima che attualmente circolino in Italia poco più di 1 milione di veicoli alimentati a gas.
Come si vede, il sistema italiano non offre grandi margini di flessibilità. Una certa riduzione dei consumi si potrebbe ottenere abbassando di 1 o 2 gradi la temperatura impostata per i riscaldamenti invernali. Risparmi molto più consistenti si potrebbero ottenere intervenendo su quegli edifici che ancora non sono stati aggiornati dal punto di vista del risparmio energetico (sia quelli residenziali che quelli dedicati ad uffici o funzioni pubbliche). Molto è stato fatto in passato ed infatti, nel corso degli ultimi anni, è stato osservato un progressivo calo di tali consumi, ma c’è ancora molto da fare.
Per quanto riguarda l’utilizzo di metano per le centrali termoelettriche i margini di flessibilità sono pressoché nulli. L’Italia già importa circa il 10% della energia elettrica consumata e la scelta di riattivare alcune centrali a carbone – ecologicamente disastrosa – è solo il frutto di un disperato tentativo di evitare che il sistema elettrico nazionale vada completamente in tilt.
Quanto agli utilizzi industriali, c’è sempre la possibilità di bloccare temporaneamente alcuni settori particolarmente energivori, ma si tratterebbe di una soluzione estrema con costi economici e sociali pesantissimi.
In conclusione, oggi paghiamo le scelte sbagliate del passato ed, in particolare, le decisioni strategiche nella scelta dei fornitori di energia ed i ritardi nello sfruttamento delle energie rinnovabili (specialmente solare ed eolico) che hanno ancora un significativo margine di sviluppo, ma richiedono una programmazione di lungo periodo che non si improvvisa e non può essere lasciata solo alle iniziative spontanee dei cittadini.
Rimane aperta – a mio avviso – anche l’opzione nucleare, soprattutto se si discutesse seriamente del nucleare di quarta generazione, purché tutti siano consapevoli dei tempi lunghi che ci sono dietro a qualsiasi intervento in tale settore.
Per quanto riguarda i tempi brevi (prossimo inverno) non ci rimane che sperare che – a dispetto della follia che la nostra classe politica sta dimostrando in questi giorni – ci sia qualcuno capace di portare fino in fondo il piano di emergenza per l’attivazione di nuovi canali di importazione del gas naturale e che tutti, sia a livello individuale che collettivo, contribuiscano a comprimere i consumi che non sono strettamente indispensabili.
Speriamo che questa incresciosa situazione serva almeno a far capire a tutti l’importanza di una seria programmazione energetica e ad accelerare (complici anche gli alti costi dell’energia) il passaggio verso sorgenti energetiche meno impattanti dal punto di vista ambientale e climatico e – tutto sommato – anche meno costose.
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