Quanta energia consumiamo ogni anno in Italia?

L’acuirsi della crisi energetica ha portato all’attenzione di tutti il problema della carenza di risorse energetiche che si sovrappone alla necessità di ridurre l’utilizzo di sorgenti fossili per limitare la presenza di gas serra nell’atmosfera. Ma quale è il reale stato dei consumi energetici in Italia?

Aldilà dei problemi contingenti, può essere interessante fare il punto sullo stato dei consumi energetici nazionali. Secondo l’ultimo Rapporto ISPRA disponibile (riferito al 2019), in un anno l’Italia ha consumato una quantità di energia pari a circa 156 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Si tratta della stima “lorda” che tiene conto anche delle perdite energetiche che avvengono durante i processi di produzione e distribuzione dell’energia. L’unità di misura (tep) corrisponde alla energia media che si libera bruciando una tonnellata di petrolio. Per capire meglio di cosa si tratta basta ricordare che 1 tep = 11.630 kWh (dove il kWh è la ben nota unità di misura utilizzata nelle bollette elettriche).

Poco meno del 20% dell’energia consumata in Italia proviene da fonti rinnovabili. Il dato è sempre quello del 2019 ed è in crescita rispetto agli anni precedenti. Le principali sorgenti di energia rinnovabile sono costituite da:

  • biomasse e rifiuti (13,6 Mtep);
  • geotermico (5,4 Mtep);
  • idroelettrico (4,0 Mtep);
  • pompe di calore (2,5 Mtep);
  • solare fotovoltaico (2,0 Mtep);
  • eolico (1,7 Mtep).

Notiamo che quasi la metà delle energia rinnovabili deriva da biomasse e rifiuti. Nulla da dire sulle biomasse, ma si potrebbe discutere a lungo sul fatto di considerare integralmente “rinnovabile” l’energia ricavata dai rifiuti che, notoriamente, contengono una cospicua quantità di plastiche ricavate da idrocarburi fossili.

Ci sono varie proposte per accelerare la produzione da fonti rinnovabili. Personalmente, sono molto d’accordo con questa idea, anche se ritengo che bisogna rimanere saldamente agganciati alla realtà e non farsi ingannare da chi si illude che la transizione energetica possa essere una passeggiata. In particolare, diffido delle posizioni di chi ha fatto del rispetto della Natura una sorta di religione neo-panteista e sostiene scelte che sembrano spinte più dalla “fede” che da serie valutazioni tecnico-scientifiche.

Vediamo i fatti:

  • Nel 2000 le fonti energetiche basate su combustibili fossili coprivano quasi il 95% dei consumi nazionali (oggi circa l’80%) e le altre fonti (allora prevalentemente energia idroelettrica e geotermica) fornivano una quantità di energia rinnovabile che, in valori assoluti, era pari a circa 1/3 rispetto a quella attuale. Nel corso degli ultimi 20 anni sono stati fatti avanzamenti significativi, ma siamo ancora molto lontani dagli obiettivi del 2050 (raggiungimento della neutralità climatica).
  • Tra il 2000 ed oggi i consumi di energia in Italia sono calati di poco più del 10% (il calo è ancora più consistente se si fa il confronto con il dato del 2005 che ha segnato il massimo dei consumi fin qui registrati in Italia). In parte, tale calo è dovuto al fatto che, dal 2005 in poi, il PIL italiano ha smesso di crescere, registrando un andamento altalenante.
  • Tuttavia la crescita economica ridotta non è la sola responsabile del calo dei consumi energetici. Il rapporto ISPRA conferma (linea blu nella figura qui sotto) che i consumi energetici per unità di PIL sono calati nel corso dell’ultimo decennio. Riassumendo: il risparmio energetico è la “prima delle sorgenti energetiche amiche dell’ambiente” e fa bene anche al portafoglio! Da notare inoltre (linea marrone) che, nello stesso periodo, le emissioni di CO2 prodotte da combustibili fossili – per unità di energia utilizzata – sono significativamente diminuite. Questo risultato si deve al maggior utilizzo del metano al posto di altri combustibili fossili e alla crescita delle energie rinnovabili.
Consumi di energia per unità di PIL (linea blu) ed emissioni di anidride carbonica prodotte da combustibili fossili per unità di energia consumata (linea marrone). I dati sono normalizzati ponendo uguale a 100 il valore del 1995. Tratto dal rapporto ISPRA citato precedentemente
  • Se andiamo ad analizzare l’attuale produzione di energie rinnovabili, notiamo che alcune fonti energetiche (in particolare l’idroelettrico) hanno margini di ulteriore sviluppo piuttosto limitati. Oggi chiunque proponesse di tappare una valle alpina con una diga e di trasformarla in un lago rischierebbe il linciaggio. Inoltre c’è il timore che eventuali futuri cambiamenti climatici caratterizzati da una maggiore frequenza di lunghi periodi di siccità potrebbero limitare la produzione degli impianti già esistenti.
  • Quanto al geotermico, ci sono alcune proposte avveniristiche che promettono di fornire enormi quantità di energia realizzando scavi a grandissima profondità, ma si tratta di progetti per i quali non è stata ancora dimostrata la fattibilità e la convenienza tecnico-economica.
  • Nell’uso quotidiano, l’utilizzo di sonde geotermiche accoppiate a pompe di calore può rappresentare una valida alternativa ai tradizionali sistemi di riscaldamento degli edifici, anche se tali impianti sono caratterizzati da costi di costruzione e di installazione decisamente più elevati rispetto ad una normale caldaia. I costi di esercizio relativamente bassi (soprattutto dopo il recente aumento del prezzo dei combustibili fossili) li rendono comunque competitivi e la loro diffusione potrebbe registrare un significativo incremento nel corso dei prossimi anni.
  • Un consistente aumento delle energie prodotte da biomasse richiederebbe di cambiare la destinazione d’uso di una frazione importante dei terreni agricoli, smettendo di produrre prodotti per l’alimentazione. Non mi sembra una buona idea, soprattutto se si tiene conto dei problemi di insufficienza alimentare che già si registrano a livello mondiale.
  • Secondo varie fonti, il settore con il più alto potenziale di crescita è quello del solare fotovoltaico (oltre la metà del potenziale di crescita di tutte le energie rinnovabili). C’è chi ha proposto di coprire circa il 3% del territorio nazionale con pannelli fotovoltaici, sostenendo che un tale sistema potrebbe coprire buona parte delle necessità energetiche del Paese. A parte l’impatto ambientale, non bisogna dimenticare che la produttività del solare fotovoltaico è sottoposta ad un forte andamento stagionale, con il massimo della produzione che – nel nostro emisfero – avviene durante i mesi di giugno e luglio. Novembre, dicembre e gennaio – messi tutti assieme – non arrivano ad eguagliare la produzione del solo mese di giugno. Se ci affidassimo solo al solare fotovoltaico dovremmo in qualche maniera compensare il forte calo di produzione atteso durante i mesi invernali, proprio quando i consumi energetici sono più alti.
  • Ci sono proposte per mettere pannelli solari in orbita, trasferendo l’energia al suolo via wireless. Parliamo di idee che – in questo momento – possono essere classificate al limite della fantascienza, ma non dobbiamo sottovalutare la creatività degli scienziati. Non è escluso che nei prossimi decenni possano emergere nuove tecnologie a cui non avevamo ancora pensato o che – come nel caso dei pannelli solari in orbita – oggi ci appaiono di difficilissima realizzazione. Questa ovviamente non può essere una buona scusa per non fare niente per contrastare il riscaldamento globale, aspettando che qualche scienziato si inventi una soluzione “miracolosa.
Concetto per un sistema di raccolta dell’energia solare con pannelli fotovoltaici messi in orbita e successivo trasferimento dell’energia a terra via wireless. (Crediti: fonte ESA)

Come si vede, il problema non ha soluzioni banali. Mi pare tuttavia che ci siano forti indicazioni verso un approccio che combini diverse forme di energia “ad emissioni zero, in modo da minimizzare i rischi di forti fluttuazioni nella effettiva disponibilità di energia.

Se, prima o poi, arrivassero le famose centrali nucleari a fusione si potrebbe pensare a soluzioni che combinano energie rinnovabili ed energia da fusione, ma – almeno per il momento – siamo ancora in una fase di sperimentazione con molte speranze e poche certezze.

Su una scala di tempo più breve (10 – 15 anni) si potrebbe pensare ad integrare l’utilizzo di energie rinnovabili con centrali nucleari a fissione di IV generazione. Queste centrali, oltre ad ottimizzare l’utilizzo del combustibile nucleare, promettono di risolvere in modo strutturale il problema della sicurezza (se si rompono si bloccano automaticamente evitando la perdita del materiale radioattivo) e producono una quantità di scorie nucleari molto ridotta e decisamente meno pericolosa rispetto alle centrali nucleari attualmente in funzione. Le loro scorie non possono essere usate per scopi militari e hanno una vita media di poche centinaia di anni (alcune scorie delle attuali centrali nucleari arrivano fino a centinaia di migliaia di anni). Questo semplifica enormemente il problema della conservazione delle scorie radioattive.

Purtroppo, anche le centrali nucleari di IV generazione non sono ancora disponibili, ma ci sono molti progetti pilota che dovrebbero iniziare a produrre energia già nel corso dei prossimi anni. Attualmente l’Italia collabora alla realizzazione di un prototipo dimostrativo di IV generazione che è in costruzione in Romania.

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