Credo che tutti siamo d’accordo sul fatto che il miglior approccio possibile per trattare i rifiuti urbani sia quello di spingere al massimo livello le pratiche di riciclo. Ma è anche vero che non si può riciclare tutto e che una certa frazione di rifiuti indifferenziati rimane sempre.
Nota: i gassificatori di cui si discute in questo post non hanno nulla a che vedere con i rigassificatori utilizzati per portare allo stato gassoso il gas naturale liquefatto. Pur avendo un nome simile che talvolta genera confusione, si tratta di impianti completamente diversi rispetto a quelli utilizzati per il trattamento dei rifiuti
L’approccio tradizionalmente usato per smaltire la frazione indifferenziata dei rifiuti urbani (conferimento in discarica) ha un pesante impatto paesaggistico e può produrre, nel tempo, emissioni sia liquide che gassose dannose sia dal punto vista ambientale che climatico.
Man mano che le discariche attualmente in uso si esauriscono, diventa sempre più difficile trovare nuovi siti e si pone il problema di cosa fare della frazione indifferenziata dei rifiuti urbani.
Molte amministrazioni pubbliche preferiscono non affrontare il problema e si limitano ad imballare i rifiuti mandandoli a bruciare altrove. Sono le famose “ecoballe” (che di “eco” hanno soltanto il nome). Il sito che le riceve deve essere idealmente posto a qualche centinaio di chilometri di distanza perché vale l’antico detto “occhio non vede, cuore non duole”.
I costi in termini di emissioni di gas serra sono molto elevati, così come sono elevati i costi per le tasche dei cittadini. Ma per i politici questa è di gran lunga la soluzione più conveniente, almeno finché non si ritrovano con i depositi delle “ecoballe” strapieni.
Gli amministratori che – per vocazione al martirio o perché si ritrovano sommersi dalla spazzatura – affrontano il problema della eliminazione della frazione indifferenziata dei rifiuti urbani hanno, come soluzione primaria, quella di costruire un inceneritore.
Un inceneritore (oggi si preferisce chiamarlo più “pudicamente” termovalorizzatore) è un impianto che brucia i rifiuti, producendo calore che, in parte, viene trasformato in energia elettrica (in inglese, si parla di “waste-to-energy“).
Talvolta gli inceneritori vengono presentati come una sorta di fonte di energia rinnovabile, ma si tratta – a mio avviso – di una sfacciata forma di greenwashing. È vero che i rifiuti urbani vengono prodotti con continuità, ma è anche vero che un contributo fondamentale al loro potere calorifico deriva dalle materie plastiche che non vengono riciclate. Spesso questo succede per la negligenza dei cittadini, ma ci sono anche dei limiti al riciclo legati alla natura dei materiali (come succede, ad esempio, per molti imballaggi compositi) o al loro stato di conservazione.
In pratica, solo una frazione minore delle materie plastiche che i cittadini conferiscono con i sacchi dei cosiddetti “imballaggi leggeri” può essere effettivamente riciclata, mentre le frazioni scartate durante le operazioni di cernita finiscono negli inceneritori. Bruciando le materie plastiche non riciclate non facciamo altro che bruciare un derivato del petrolio o del gas naturale, materie prime da cui queste plastiche sono state ricavate.
Tutto il carbonio presente nei rifiuti urbani inceneriti si trasforma in CO2 e questo produce una consistente emissione di gas serra (a meno di dotare gli inceneritori di costosissimi impianti per il sequestro dell’anidride carbonica).
Negli anni più recenti, si stanno diffondendo nuovi tipi di impianti (i cosiddetti gassificatori) che appartengono a quella che in inglese viene definita la categoria degli impianti “waste-to-chemicals”. In pratica, l’idea è quella di trattare i rifiuti urbani da incenerire in un reattore chimico operante ad alta temperatura in atmosfera di ossigeno puro (taluni impianti usano aria o una miscela di aria ed acqua), producendo quello che viene comunemente chiamato syngas (gas di sintesi), una miscela contenente come ingredienti principali monossido di carbonio CO e idrogeno H2. Il syngas contiene anche numerose impurezze che derivano dai materiali presenti nei rifiuti e che devono essere separate attraverso trattamenti chimico-fisici mirati, prima di poterlo utilizzare per ulteriori trasformazioni.
La parte non combustibile dei rifiuti trattati nei gassificatori viene raccolta principalmente sotto forma di un materiale granulare vetrificato che, a seconda delle legislazioni dei diversi Paesi, può essere usato come additivo nella fabbricazioni di cementi e per i fondi stradali, oppure deve essere smaltito in discarica. Si tratta di un materiale inerte che rende il processo di smaltimento assai più semplice rispetto ai rifiuti originali (non emette odore, percolato o gas serra).
Il syngas ottenuto dal gassificatore può essere utilizzato per produrre numerosi composti chimici (ad esempio, alcol metilico) e trova applicazione in vari settori industriali. In questo modo gran parte del carbonio presente nei rifiuti viene riciclato e non concorre alle emissioni di anidride carbonica.
Spesso gli impianti di gassificazione vengono presentati all’opinione pubblica come una alternativa “smart” rispetto agli inceneritori, ma è davvero così?
- Dal punto di vista dell’impatto sul paesaggio, i gassificatori risultano meno invasivi perché non hanno bisogno dei camini alti decine di metri che gli inceneritori utilizzano per disperdere i gas di scarico prodotti dal processo di combustione. Questo fattore è importante soprattutto dal punto di vista psicologico perché può migliorare il livello di accettazione delle popolazioni che vivono in prossimità dell’impianto.
- Dal punto di vista ambientale, va ricordato che per un inceneritore la pulizia dei fumi di scarico è un puro costo e quindi chi lo gestisce potrebbe essere tentato dall’idea di allentare le misure di controllo e pulizia degli scarichi gassosi. Per un gassificatore il gas di scarico (syngas) è un prodotto da vendere e quindi il gestore è costretto a mantenere i sistemi di filtraggio sempre al massimo della loro efficienza, pena la perdita di una significativa entrata finanziaria.
- Dal punto di vista della congestione del traffico legato al viavai dei mezzi pesanti che trasportano i rifiuti, non ci sono differenze tra un inceneritore e un gassificatore. Ambedue i tipi di impianti trattano quantità di rifiuti pressoché equivalenti.
- Per completezza d’informazione, va detto che esistono anche impianti di gassificazione di piccola taglia che talvolta vengono presentati come una soluzione meno impattante e a “chilometro zero” per lo smaltimento dei rifiuti. Questi impianti sono nati per trattare limitate quantità di specifici materiali di scarto prodotti da imprese agricole o industriali e la loro estensione al trattamento dei rifiuti urbani non è priva di problemi. Si potrebbe discutere a lungo, sia per quanto riguarda le economie di scala (se convenga fare un unico impianto di grandi dimensioni o molti piccoli impianti diffusi sul territorio) sia rispetto ai sistemi di abbattimento degli inquinanti che sono necessari per purificare il syngas. Il rischio è che, complice la ridotta quantità di materiale trattato, gli impianti troppo piccoli non siano dotati di sistemi di abbattimento degli inquinanti sufficientemente raffinati e producano un syngas di scarsa qualità, con il concreto pericolo che gli inquinanti non trattenuti dai filtri vengano prima o poi dispersi nell’ambiente.
- Dal punto di vista energetico, un inceneritore produce calore e una certa quantità di elettricità, mentre il gassificatore produce calore ed energia “chimica” sotto forma di gas combustibili (CO e H2). Siccome nella termodinamica i miracoli non esistono, ambedue i tipi di impianto estraggono l’energia immagazzinata nei rifiuti (proporzionale al loro potere calorifico) e la restituiscono – sotto forme diverse – al netto delle perdite dovute all’efficienza non ottimale dei sistemi. Quindi cambia la forma con cui l’energia presente nei rifiuti viene restituita, ma l’energia totale che i 2 sistemi producono è sostanzialmente la stessa.
- Dal punto di vista climatico, un inceneritore produce una certa quantità di energia termoelettrica senza fare un uso diretto di combustibili fossili, ma rilascia nell’atmosfera tutto il carbonio presente nei rifiuti sotto forma di CO2. Se l’inceneritore è integrato con una rete di teleriscaldamento urbano, vengono risparmiate le emissioni di CO2 che sarebbero state generate dagli degli impianti di riscaldamento domestico che sono stati sostituiti dal teleriscaldamento. Per un gassificatore, il monossido di carbonio presente nel syngas cattura gran parte del carbonio presente nei rifiuti (sia quello di origine fossile che quello di origine vegetale) e questo è un vantaggio rispetto agli inceneritori (a meno che il monossido di carbonio presente nel syngas non sia immediatamente bruciato o trasformato in un combustibile sintetico perché in questo caso le emissioni di CO2 sarebbero sostanzialmente le stesse). Per completezza, va ricordato che – per funzionare – sia gli inceneritori che i gassificatori hanno bisogno di una certa quantità di combustibile (tipicamente metano) e che i gassificatori consumano anche energia elettrica. Il bilancio completo delle emissioni di anidride carbonica va fatto tenendo conto di tutti questi fattori, ma è comunque vantaggioso nel caso in cui si usi un gassificatore (sempre che – come ricordato prima – il CO non sia bruciato).
- Dal punto di vista impiantistico, i gassificatori operano tipicamente a temperature più alte rispetto agli inceneritori. Questo da un lato riduce drasticamente alcuni problemi tipici degli inceneritori come, ad esempio, quello relativo alla possibile produzione delle diossine, ma dall’altro comporta l’utilizzo di materiali che resistano alle alte temperature di esercizio. Ciò ha inoltre un effetto sia sui costi di installazione che su quelli di manutenzione.
A mio avviso, non si può trarre una conclusione univoca e valida per qualunque situazione.
Ritengo che un impianto di gassificazione dei rifiuti urbani possa costituire una valida alternativa rispetto ad un inceneritore tradizionale se l’impianto viene strettamente integrato in un contesto industriale dove il syngas viene fornito ad aziende che lo utilizzano al posto di altre materie prime prodotte usando carbone o idrocarburi fossili.
Non avrebbe invece molto senso installare un gassificatore di rifiuti urbani e poi bruciare il syngas per produrre calore o utilizzarlo per alimentare un generatore termoelettrico. Invece che un vero gassificatore sarebbe solo un inceneritore un po’ più complicato!
Per approfondimenti:
Università di Trento – Fondazione FBK: “Studio preliminare dei processi di conversione energetica dei rifiuti indifferenziati” (2021).
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