Se in futuro i rapporti tra Cina ed Occidente dovessero deteriorarsi, l’attuale crisi del metano sarebbe solo un “trascurabile” incidente rispetto a quello che potrebbe succedere con le terre rare. Speriamo che la lezione del metano russo ci abbia insegnato qualcosa.
Benché le loro proprietà fossero note – sia pure in modo molto approssimativo – fin dai tempi dell’antica Grecia, i materiali magnetici non hanno mai trovato alcuna applicazione pratica fino alla metà dell’800, fatto salvo il caso notevole degli aghi per le bussole.
Nell’800, in parallelo con le scoperte della fisica che hanno messo in luce la relazione esistente tra fenomeni elettrici e magnetici, sono apparse le prime applicazioni tecnologiche dei magneti che hanno portato allo sviluppo di motori elettrici e generatori di corrente elettrica.
Oggi con il progressivo abbandono dei motori a combustione interna e con lo sviluppo dell’energia eolica, la richiesta di motori e generatori elettrici è destinata a crescere esponenzialmente.
Le tecnologie attualmente disponibili prevedono 2 diverse configurazioni: quella basata su magneti permanenti (MP) che è caratterizzata da una elevata efficienza energetica (per i magneti di migliore qualità può arrivare fino a quasi il 99%) e quella basata su dispositivi ad induzione che non fanno uso di magneti permanenti e sono facilmente riciclabili, ma hanno una efficienza minore (dal 4 all’8% inferiore rispetto ai dispositivi a MP) ed un peso e dimensione decisamente superiori (quasi doppi).
Aldilà del dato relativo alla minore efficienza (che è importante, ma non drammatico) – a parità di prestazioni – peso e dimensione più elevati limitano il campo di applicazione dei dispositivi ad induzione in molti settori, a partire da quello automobilistico (anche se ci sono importanti eccezioni).
Non c’è dubbio che i dispositivi che fanno uso di magneti permanenti (MP) di elevata qualità abbiano caratteristiche più interessanti, ma il loro utilizzo è talvolta limitato a causa del costo elevato dei materiali di costruzione.
I magneti che presentano le migliori caratteristiche sono quelli che usano leghe costituite da neodimio, ferro e boro (una alternativa meno efficace è costituita dalla lega samario-cobalto). A questi componenti principali vanno aggiunte piccole dosi di altri materiali come disprosio, terbio e praseodimio. Samario, neodimio, disprosio, terbio e praseodimio sono 5 dei 17 elementi che sono chimicamente classificati come “terre rare” (più precisamente parliamo di 15 elementi appartenenti al gruppo dei lantanidi a cui si aggiungono ittrio e scandio).
Oltre che per la costruzione di magneti permanenti ad elevata efficienza, le terre rare giocano un ruolo fondamentale per lo sviluppo di laser e di vari dispositivi elettronici ed opto-elettronici. Le terre rare si trovano all’interno dei nostri smartphone e sono ampiamente utilizzate per la catalisi chimica. Insomma il nostro futuro sviluppo tecnologico (e quindi anche economico) dipende criticamente dalla disponibilità di tali materiali.
Oggi il mercato mondiale delle terre rare è monopolizzato per quasi il 90% dalla Cina che, oltre ad avere importanti riserve naturali, ha sviluppato nel corso degli ultimi decenni una previdente e penetrante politica di acquisizione di ulteriori riserve presenti in Africa ed in altre parti del mondo.
Ormai da molti anni la Cina ha bloccato l’esportazione delle terre rare grezze e vende solo prodotti finiti (o quantomeno semi-lavorati). Se la Cina decidesse di porre dei limiti a tali esportazioni l’Occidente verrebbe messo in ginocchio. Dopo che l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha provocato una crisi energetica che ci ha costretti a riaprire le centrali a carbone, potrebbe succedere che qualche nuova crisi internazionale blocchi la transizione verso l’auto elettrica e lo sviluppo dell’energia eolica, della chimica fine e dei sistemi di telecomunicazione. I danni per la nostra economia (oltre che per il clima) sarebbero devastanti.
Di fronte a tale prospettiva si sono intensificati gli studi volti a trovare soluzioni tecnologiche che siano meno dipendenti dalla disponibilità di terre rare e la ricerca di fonti di approvvigionamento alternative di tali materiali.
Va detto che – a dispetto del nome – le terre rare non sono per nulla “rare”, nel senso che la quantità complessivamente presente sulla superficie terrestre è abbastanza elevata. Purtroppo sono difficili da identificare a causa della eccessiva diluizione: solo in pochissimi casi si trovano in concentrazioni elevate. Tipicamente, le terre rare sono diffuse come impurezze a bassa o bassissima concentrazione all’interno di diversi minerali presenti sulla superficie terrestre ed in alcuni fondali marini.
A causa della bassa concentrazione di partenza, i processi di estrazione delle terre rare hanno un costo molto elevato sia dal punto ambientale che climatico. Inoltre l’attuale livello di riciclo delle terre rare è scarso e questo è un grosso problema perché si tratta di materiali non rinnovabili.
Nel corso degli ultimi decenni, l’Occidente ha preferito delegare alla Cina la produzione delle terre rare, evitando di preoccuparsi degli enormi problemi che ci sono dietro alle attività di estrazione e purificazione.
Se vogliamo dare una prospettiva concreta al concetto della transizione ecologica, dobbiamo abbandonare questa politica miope e mettere in atto – per tempo – efficaci misure in grado di differenziare le fonti di approvvigionamento e di estrazione delle terre rare, sviluppando nel contempo adeguate capacità di riciclo.
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