Un comune antinfiammatorio riduce del 90% i ricoveri causati dalla Covid-19?

I giornali italiani rilanciano con molta enfasi quanto riportato in un lavoro di rassegna pubblicato su The Lancet Infectious Diseases nel quale si fa il punto sui diversi studi che hanno analizzato l’efficacia del trattamento precoce con farmaci antinfiammatori per prevenire i ricoveri causati dalla Covid-19. Leggendo l’articolo si scopre che i risultati sono ancora largamente incompleti e sono affetti da un grande margine di incertezza. Quanto riportato dalla stampa italiana appare – al momento – piuttosto ottimista.

Un gruppo di ricercatori guidato dal prof. Giuseppe Remuzzi ha pubblicato su Lancet Infectious Diseases un lavoro di rassegna nel quale si discutono tutti i risultati pubblicati fino ad oggi riguardo all’utilizzo di farmaci antinfiammatori per il trattamento precoce dei casi di Covid-19. Gli studi hanno analizzato pazienti che presentavano sintomi iniziali medio-lievi, escludendo i pazienti più gravi, quelli per intenderci che già soffrivano di una polmonite o di altre gravi complicanze.

L’obiettivo del lavoro è quello di capire quale possa essere l’uso ottimale dei farmaci antinfiammatori di uso più comune al fine di ridurre la probabilità che le condizioni del paziente si aggravino fino a richiedere un ricovero ospedaliero. Il razionale che c’è dietro a questo studio è evidente: poiché in presenza di intensi picchi pandemici gli ospedali vengono messi in crisi a causa del ricovero di un numero molto grande di pazienti Covid, sarebbe di fondamentale importanza disporre di un trattamento semplice ed economico che sia in grado di ridurre il numero di tali ricoveri.

L’articolo, oltre a passare in rassegna tutte le pubblicazioni che hanno affrontato questo tema, spiega anche quali sono i possibili meccanismi di funzionamento dei farmaci presi in considerazione. L’articolo evidenzia anche che molti dei dati a disposizione sono ancora incompleti ed oggetto di ampio dibattito all’interno della comunità scientifica.

Mancano – in particolare – adeguati studi fatti “in doppio cieco ovvero nei quali alcuni pazienti ricevono secondo criteri casuali (spesso si usa l’inglesismo “randomizzati“) il farmaco ed altri il placebo, ma né i pazienti, né i medici che li curano sanno chi ha ricevuto il placebo e chi ha ricevuto il farmaco. In mancanza di studi di questo tipo è difficile arrivare a conclusioni affidabili e condivise.

Un esempio abbastanza evidente riguarda l’autocitazione di un lavoro pubblicato nel 2021 dal gruppo del prof. Remuzzi nel quale sono stati analizzati 90 pazienti trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) secondo un protocollo elaborato dal prof. Remuzzi. Di questi 90 pazienti, 2 hanno avuto necessità di un ricovero ospedaliero. Questo risultato è stato confrontato con quello di altri 90 pazienti scelti con analoghe caratteristiche di età, genere e condizioni generali di salute che non hanno ricevuto i farmaci antinfiammatori. In questo secondo gruppo 13 pazienti hanno avuto bisogno del ricovero.

I giornali italiani titolano “Covid: con antinfiammatori riduzione del 90% dei ricoveri“. In realtà il dato relativo al 90% non si riferisce al numero dei ricoveri, ma al numero di giornate di ricovero in ospedale. Ma, a parte questo dettaglio, è anche evidente – come ammettono gli stessi Autori – che sia il numero ridotto dei pazienti considerati sia – soprattutto – la mancata applicazione della procedura di “doppio cieco“, rendono questo risultato incoraggiante, ma lungi dal poter essere considerato come definitivo.

Gli Autori concludono: “…, future randomised studies will be required to consolidate these positive observational findings” (“…, saranno necessari futuri studi randomizzati per consolidare questi risultati osservazionali positivi“).

In attesa di conoscere i risultati degli studi futuri non possiamo fare altro che prendere atto dello stato attuale della ricerca. Ci sono risultati incoraggianti, ma ancora incompleti. E soprattutto, prima di riempirci di antinfiammatori (che hanno anche significativi effetti collaterali) al primo mal di gola, è sempre meglio chiedere il consiglio del nostro medico di fiducia.

Risposte a “Un comune antinfiammatorio riduce del 90% i ricoveri causati dalla Covid-19?”

  1. Avatar Dal Fatto Quotidiano
    Dal Fatto Quotidiano

    Roberto De Vogli
    Professore, Università di Padova

    SCIENZA – 30 AGOSTO 2022

    Covid, i Fans non riducono le ospedalizzazioni.
    Ma vallo a spiegare ai giornali italiani.

    Scoppia la polemica sulla presunta efficacia dei farmaci anti-infiammatori non steroidei su ospedalizzazioni e decessi Covid. Su Twitter impazzano hashtag contro il ministro Speranza. L’argomento viene trattato dai mass media della penisola nel modo usuale.

    Uno immagina che i giornalisti che si occupano del tema leggano gli studi più solidi sull’argomento o per lo meno una recente revisione sistematica e meta-analisi pubblicata in letteratura scientifica internazionale, vero?

    Nulla di tutto ciò! Forse si fidano dei pareri autorevoli degli autori dell’articolo apparso su The Lancet Infectious Diseases allora? A proposito, ma l’ultimo autore dell’articolo è lo stesso che a settembre 2020 disse “la fase epidemica in Italia è sostanzialmente finita” o un suo sosia?
    https://www.corriere.it/cronache/20_settembre_04/remuzzi-intervista-covid-seconda-ondata-e65756f8-ee2e-11ea-8e1d-a2467c523c28_amp.html

    Il lettore decide poi di approfondire la letteratura scientifica e trova una revisione sistematica e meta-analisi pubblicate qualche mese fa
    https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(22)00103-1/fulltext

    e legge questo:
    “L’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) (in particolare ibuprofene, inibitore della COX-2 e aspirina a basso dosaggio) non è risultato associato a mortalità, tasso di ricovero in terapia intensiva, tasso di ventilazione meccanica o somministrazione di supporto respiratorio più elevati. Nonostante le preoccupazioni che i FANS possano aumentare la capacità di Sars-CoV-2 di invadere le cellule umane, non ci sono prove a sostegno del fatto che i FANS peggiorerebbero la prognosi di Covid-19.”

    Il lettore attento rintraccia le linee guida del Centers for Disease Control sui trattamenti Covid:
    https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/your-health/treatments-for-severe-illness.html

    Alla fine delle sue letture, ha capito almeno due cose:

    a) che non esiste alcuna prova scientifica solida a favore dell’ipotesi che i FANS riducano le ospedalizzazioni Covid del 90%;
    b) che il livello di informazione in temi di salute pubblica in Italia non riesce a superare la soglia della pietà.

    1. Avatar Davide Bassi

      Purtroppo – quando si ha a che fare con i farmaci – i mezzi di informazione tendono a lanciare messaggi altisonanti che confondono il pubblico generando aspettative infondate. Se poi interviene la politica innescando polemiche infondate, il disastro è assicurato.

      Come ho scritto nel mio post – pur cercando di evitare ogni polemica – non c’è una prova scientifica consolidata che i FANS prevengano l’aggravamento dei pazienti di Covid-19, riducendo in modo apprezzabile il numero e la durata dei ricoveri.

      Anche nel lavoro di rassegna scritto dal prof. Remuzzi e collaboratori c’è scritto chiaramente che inizialmente si pensava che i FANS potessero aggravare le condizioni dei malati di Covid-19, aumentando i ricoveri e la mortalità. Gli studi fatti in questi anni dimostrano che questo effetto dannoso non c’è, MA NON DIMOSTRANO IL CONTRARIO.

      Il prof. Remuzzi è da sempre un sostenitore dell’uso dei FANS per prevenire l’insorgenza di sintomi più gravi, ma siccome è un esperto sa benissimo che per dimostrare l’efficacia di un farmaco bisogna fare sperimentazioni in doppio cieco su un congruo numero di pazienti.

      Sono stati fatti solo studi osservazionali, su numeri esigui di pazienti. Poiché la scelta dei pazienti da inserire nell’analisi dei dati non è stata fatta in modo casuale, questi studi possono essere affetti da severi limiti statistici. Forniscono solo una indicazione (o se preferite chiamatela pure una speranza) che la terapia possa funzionare, ma nulla di più.

      Uno studio serio in doppio cieco non è ancora stato fatto e tutti ci domandiamo perché.

  2. Avatar Federazione delle Associazioni Italiane degli Informatori Scientifici del Farmaco e del Parafarmaco.
    Federazione delle Associazioni Italiane degli Informatori Scientifici del Farmaco e del Parafarmaco.

    Studio dell’Istituto Mario Negri:
    la cura di Covid-19 precoce con FANS a casa salva vite

    Smentita «Tachipirina e vigile attesa», anzi può essere dannosa. Remuzzi: .”..ma non era un errore, non potevamo fare altrimenti”

    Fedaiisf  – 28 agosto 2022

    È stato pubblicato il 25 agosto su The Lancet Infectious Disease uno studio dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS  (Autori: Norberto Perico, MD Monica Cortinovis, BiotechD Prof Fredy Suter, MD Prof Giuseppe Remuzzi, MD) dal titolo “Home as the new frontier for the treatment of COVID-19: the case for anti-inflammatory agents” (La casa come nuova frontiera per la cura del COVID-19: il caso degli antinfiammatori).

    Lo studio è stato presentato da alcuni come una scoperta clamorosa tale da smascherare trame poco chiare nella gestione della pandemia.

    In realtà non si tratta di una novità né tantomeno di uno “studio” ma di una review scientifica pubblicata dalla rivista The Lancet, una rassegna della letteratura prodotta con le ricerche sull’uso degli antinfiammatori non steroidei contro il Covid-19 nelle cure domiciliari.

    Ricerche che dimostrano tutte l’efficacia di questi farmaci nel ridurre sensibilmente il rischio di una evoluzione della malattia in forma grave.

    Ma tanto è bastato per farne oggetto di strumentalizzazione politica, con Aifa e Ministero della Salute sotto accusa per aver indicato inizialmente, per la cura domiciliare, solo «tachipirina e vigile attesa».

    “Ma questo non significa che abbiano sbagliato a dettare quelle linee guida”, dice Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto per le ricerche farmacologiche Mario Negri in dichiarazioni apparse su diversi organi di stampa. “Semplicemente non potevano fare altrimenti, perché non c’erano ancora evidenze scientifiche a supporto degli antinfiammatori. Non appena ci sono state, hanno rivisto le indicazioni e l’Italia è stato il primo Paese a farlo”.

    L’Istituto Mario Negri con la review fa il punto sulla lotta al virus con i Fans, con una sintesi critica di circa una ventina di studi condotti in varie parti del mondo. Tra questi ci sono anche le due ricerche svolte dallo stesso Istituto.

    I due studi hanno dimostrato una riduzione delle ospedalizzazioni, con il trattamento precoce a base di Fans, che oscilla tra l’80 il 90%. Ed effetti positivi sono stati rilevati da tutti gli altri studi riassunti, “con risultati, spiega Remuzzi, che da un punto di vista pratico HANNO MOLTO VALORE”.

    1. Avatar Davide Bassi
      Davide Bassi

      Temo che i responsabili della Federazione delle Associazioni Italiane degli Informatori Scientifici del Farmaco e del Parafarmaco (Fedaiisf) si siano fidati dei quotidiani italiani e non abbiano letto con la dovuta attenzione l’articolo del prof. Remuzzi e colleghi.

      Come spiego dettagliatamente nel mio post, l’articolo contiene affermazioni molto più prudenti rispetto a quanto riportato dai media. Il prof. Remuzzi è uno stimato professionista e sa molto bene quali siano i limiti dei cosiddetti “studi osservazionali“, soprattutto se limitati a solo un centinaio di casi. Se lo studio avesse riguardato qualche decina di migliaia di casi avrebbe avuto un qualche significato statistico, ma con così pochi casi non è certamente conclusivo.

      Come ho scritto precedentemente l’unico modo per arrivare ad una risposta “robusta” dal punto di vista scientifico è quello di condurre uno studio in doppio cieco, così come è stato già fatto per altri farmaci che erano stati presentati come una possibile soluzione per la cura della Covid-19.

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