I giornali italiani rilanciano con molta enfasi quanto riportato in un lavoro di rassegna pubblicato su The Lancet Infectious Diseases nel quale si fa il punto sui diversi studi che hanno analizzato l’efficacia del trattamento precoce con farmaci antinfiammatori per prevenire i ricoveri causati dalla Covid-19. Leggendo l’articolo si scopre che i risultati sono ancora largamente incompleti e sono affetti da un grande margine di incertezza. Quanto riportato dalla stampa italiana appare – al momento – piuttosto ottimista.
Un gruppo di ricercatori guidato dal prof. Giuseppe Remuzzi ha pubblicato su Lancet Infectious Diseases un lavoro di rassegna nel quale si discutono tutti i risultati pubblicati fino ad oggi riguardo all’utilizzo di farmaci antinfiammatori per il trattamento precoce dei casi di Covid-19. Gli studi hanno analizzato pazienti che presentavano sintomi iniziali medio-lievi, escludendo i pazienti più gravi, quelli per intenderci che già soffrivano di una polmonite o di altre gravi complicanze.
L’obiettivo del lavoro è quello di capire quale possa essere l’uso ottimale dei farmaci antinfiammatori di uso più comune al fine di ridurre la probabilità che le condizioni del paziente si aggravino fino a richiedere un ricovero ospedaliero. Il razionale che c’è dietro a questo studio è evidente: poiché in presenza di intensi picchi pandemici gli ospedali vengono messi in crisi a causa del ricovero di un numero molto grande di pazienti Covid, sarebbe di fondamentale importanza disporre di un trattamento semplice ed economico che sia in grado di ridurre il numero di tali ricoveri.
L’articolo, oltre a passare in rassegna tutte le pubblicazioni che hanno affrontato questo tema, spiega anche quali sono i possibili meccanismi di funzionamento dei farmaci presi in considerazione. L’articolo evidenzia anche che molti dei dati a disposizione sono ancora incompleti ed oggetto di ampio dibattito all’interno della comunità scientifica.
Mancano – in particolare – adeguati studi fatti “in doppio cieco“ ovvero nei quali alcuni pazienti ricevono secondo criteri casuali (spesso si usa l’inglesismo “randomizzati“) il farmaco ed altri il placebo, ma né i pazienti, né i medici che li curano sanno chi ha ricevuto il placebo e chi ha ricevuto il farmaco. In mancanza di studi di questo tipo è difficile arrivare a conclusioni affidabili e condivise.
Un esempio abbastanza evidente riguarda l’autocitazione di un lavoro pubblicato nel 2021 dal gruppo del prof. Remuzzi nel quale sono stati analizzati 90 pazienti trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) secondo un protocollo elaborato dal prof. Remuzzi. Di questi 90 pazienti, 2 hanno avuto necessità di un ricovero ospedaliero. Questo risultato è stato confrontato con quello di altri 90 pazienti scelti con analoghe caratteristiche di età, genere e condizioni generali di salute che non hanno ricevuto i farmaci antinfiammatori. In questo secondo gruppo 13 pazienti hanno avuto bisogno del ricovero.
I giornali italiani titolano “Covid: con antinfiammatori riduzione del 90% dei ricoveri“. In realtà il dato relativo al 90% non si riferisce al numero dei ricoveri, ma al numero di giornate di ricovero in ospedale. Ma, a parte questo dettaglio, è anche evidente – come ammettono gli stessi Autori – che sia il numero ridotto dei pazienti considerati sia – soprattutto – la mancata applicazione della procedura di “doppio cieco“, rendono questo risultato incoraggiante, ma lungi dal poter essere considerato come definitivo.
Gli Autori concludono: “…, future randomised studies will be required to consolidate these positive observational findings” (“…, saranno necessari futuri studi randomizzati per consolidare questi risultati osservazionali positivi“).
In attesa di conoscere i risultati degli studi futuri non possiamo fare altro che prendere atto dello stato attuale della ricerca. Ci sono risultati incoraggianti, ma ancora incompleti. E soprattutto, prima di riempirci di antinfiammatori (che hanno anche significativi effetti collaterali) al primo mal di gola, è sempre meglio chiedere il consiglio del nostro medico di fiducia.
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