Nel corso degli ultimi mesi, il prezzo dell’energia elettrica in Spagna è stato decisamente inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei come Italia, Francia o Germania. Questo risultato è il frutto di una politica energetica che rende la Spagna sostanzialmente indipendente dalle forniture di gas russo.
Nel corso del 2022 l’Italia ha osservato una forte crescita dei costi dell’energia elettrica il cui prezzo è convenzionalmente legato alla quotazione del gas metano presso la borsa di Amsterdam. Il problema è ben noto e le proposte di cambiare il metodo di calcolo del prezzo dell’energia elettrica e/o di porre un tetto al prezzo del gas sono rimaste – almeno fino ad oggi – lettera morta.
Eppure c’è un grande Paese vicino a noi (la Spagna) che il tetto al prezzo del gas è riuscito ad imporlo e che oggi vede un prezzo dell’energia elettrica decisamente inferiore rispetto a quello italiano (e di altri grandi Paesi europei come Francia e Germania).
Questo risultato è il frutto di scelte politiche che sono supportate da un approccio energetico molto diverso rispetto a quello italiano. La differenza di prezzo dell’energia elettrica esistente tra Spagna e Italia è chiaramente visibile nel grafico seguente:
Va detto che il prezzo finale in bolletta può essere decisamente superiore rispetto al prezzo del mercato all’ingrosso. In particolare in Spagna le bollette contengono la voce di “compensazione” che scarica sugli utenti finali una parte dei costi che lo Stato sostiene per calmierare il prezzo del gas utilizzato dalle centrali termoelettriche quando i prezzi di mercato vanno al di sopra del limite prefissato.
Quindi più che di un vero e proprio tetto al prezzo di mercato, nel caso spagnolo sarebbe più giusto parlare di “prezzo amministrato“. Anche se non sono mancate le critiche, il sistema spagnolo sembra funzionare: all’inizio del corrente mese di settembre il costo finale dell’energia elettrica per i consumatori italiani era superiore di circa il 45% rispetto a quello pagato dai consumatori iberici.
Italia e Spagna ricavano una percentuale simile della loro energia elettrica da fonti rinnovabili (nel 2021 circa il 18% in Italia ed il 22% in Spagna), ma nel caso della Spagna si aggiunge circa un 21% del totale che è prodotto tramite centrali nucleari. In Italia, non c’è alcuna produzione di energia elettrica da centrali nucleari, anche se la maggior parte delle importazioni dall’estero (circa il 10% dei consumi totali) proviene da centrali nucleari localizzate in siti vicini ai nostri confini.
Il resto dell’energia elettrica prodotta in Spagna proviene da centrali termoelettriche alimentate a combustibili fossili (circa il 31% del totale, di cui il 25% alimentato a gas naturale). Per l’Italia la quota di energia elettrica prodotta con centrali termoelettriche è decisamente superiore alla Spagna (circa il 59% del totale, di cui il 51% costituito da gas).
La prima differenza macroscopica esistente tra Spagna ed Italia è costituita dal ruolo del nucleare che permette di ridurre sensibilmente l’utilizzo di combustibili fossili rispetto all’Italia. Ma c’è anche un altro fattore strutturale di grande importanza: la Spagna è sostanzialmente scollegata dalla rete dei gasdotti europei e quindi non è mai stata cliente del gas russo (se non per quantità limitate trasportate via mare in forma liquefatta).
La Spagna è dotata di 6 rigassificatori che le permettono di importare il gas naturale dal Medio Oriente, dagli USA e da tanti altri Paesi, consentendole – anche in questo momento di grave crisi energetica – di accedere al mercato internazionale senza particolari problemi. Da sola, la Spagna copre quasi il 40% dell’attuale capacità di importazione via mare di gas naturale liquefatto dell’intera Unione Europea.
La Spagna ha potuto realisticamente imporre un prezzo massimo nazionale al gas metano che viene utilizzato per alimentare le sue centrali termoelettriche perché il gas importato con le navi metaniere ha un costo decisamente inferiore rispetto alle quotazioni del mercato di Amsterdam (ad esempio, nel mese di dicembre 2021, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il prezzo finale del gas naturale importato in Spagna via mare dagli Stati Uniti è stato pari a circa 35 Euro/MWh contro un prezzo medio del mercato di Amsterdam pari a circa 116 Euro/MWh).
Quando il prezzo di mercato del gas supera il limite fissato, il Governo spagnolo interviene per calmierarlo, salvo poi rivalersi sui consumatori tramite la quota di “compensazione” presente in bolletta.
Poiché 3/4 dell’energia elettrica prodotta in Spagna non fa uso di metano la “compensazione” si “spalma” su un numero di utenti che è pari a 4 volte il numero di coloro che utilizzano energia elettrica prodotta con il gas. Si tratta quindi di un meccanismo compensativo che limita alla radice gli extra-profitti di chi produce energia elettrica senza fare uso del gas ed elimina i picchi di prezzo di natura puramente speculativa che sperimentiamo nel resto d’Europa.
Qualcuno ha proposto di estendere anche all’Italia una simile procedura. In realtà l’Italia usa gas metano per produrre energia elettrica in quantità decisamente superiore rispetto alla Spagna. Inoltre l’Italia ha una limitata capacità di importazione di gas tramite navi metaniere e dipende da un numero ristretto di fornitori che sono collegati al nostro Paese per mezzo di gasdotti.
Se l’Italia (da sola e senza l’accordo degli altri grandi consumatori di gas europei) provasse a fissare un vero tetto al prezzo del gas correrebbe il serio rischio che i suoi fornitori (non solo la Russia!) rifiutino di accettare tale limite e chiudano i rubinetti. A questo punto, lo Stato italiano dovrebbe spendere decine di miliardi di Euro per coprire la differenza tra il tetto massimo fissato per legge ed il prezzo di mercato. Se, analogamente a quanto si fa in Spagna, tali spese dovessero essere scaricate nelle bollette, il vantaggio finale per i consumatori sarebbe trascurabile.
Nel frattempo stiamo discutendo sul colore del rigassificatore da collocare a Piombino, forse timorosi che un rigassificatore con il colore sbagliato rovini il “meraviglioso paesaggio” dell’acciaieria che affianca il porto di Piombino.
C’è anche chi sta pensando di costruire un gasdotto sottomarino che colleghi Barcellona a Livorno (700 km di distanza e circa 3 miliardi di Euro di spesa) in modo da collegare la rete dei gasdotti italiani (ed in prospettiva anche quelli della Germania e di altri Paesi europei) ai rigassificatori installati nei principali porti spagnoli. Forse riusciremo a fare il gasdotto prima di decidere dove installare i rigassificatori che – sia pur tardivamente – sono stati acquistati anche dall’Italia.
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