In attesa che in Europa si arrivi ad una decisione condivisa rispetto al possibile limite superiore da imporre al prezzo del gas e – soprattutto – al metodo utilizzato per calcolare il prezzo dell’energia elettrica (sganciandolo da quello del gas), le spinte speculative che avevano caratterizzato il mercato agostano si stanno riassorbendo. Sarà una tregua effimera destinata a rompersi appena arriveranno i primi freddi?
Dopo aver sfiorato la folle cifra di 600 Euro/MWh (ovvero 60 centesimi di Euro, più ovviamente contributi vari e IVA, per ogni kWh caricato in bolletta) il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica in Italia sta seguendo una lenta discesa. Il dato aggiornato è mostrato nella figura seguente (dove il prezzo di ottobre 2022 è da considerare provvisorio perché si riferisce solo alla prima settimana del mese):
Se nelle prossime settimane il costo dell’energia elettrica dovesse continuare a seguire la tendenza degli ultimi giorni, il prezzo PUN tornerebbe nell’intervallo compreso tra 200 e 300 Euro/MWh dove si era già trovato nel periodo compreso tra l’ottobre 2021 ed il maggio 2022.
Come già discusso in un post precedente, il prezzo dell’energia elettrica aveva iniziato a crescere nella seconda metà del 2021 quando, grazie alle vaccinazioni, era stato possibile riprendere molte delle attività che erano state sospese a causa della pandemia di Covid-19.
Chissà se negli ambienti no-vax “duri e puri” non ci sia qualcuno che attribuisce ai vaccini anche la colpa dell’aumento del costo dell’energia!
Tornando seri, è importante ricordare che nel 2020 lo scoppio della pandemia aveva determinato un crollo dei consumi mondiali di gas, determinando una forte riduzione degli investimenti per la ricerca e l’attivazione di nuovi pozzi di estrazione. Con la ripresa dell’economia avvenuta nella seconda parte del 2021 si è generata una carenza dell’offerta di gas, con la conseguente crescita dei prezzi. La guerra ha certamente contribuito ad aggravare ulteriormente la situazione, ma non è l’unica causa della situazione attuale.
Il picco dei prezzi dell’energia registrato nell’agosto 2022 (scaricato sulle fatture emesse a settembre) ha messo in crisi molte attività economiche ed industriali. Per le famiglie che hanno ancora i cosiddetti “contratti di maggior tutela“, l’effetto è stato in parte attenuato e spostato nel tempo, ma le bollette del quarto trimestre 2022 saranno comunque caratterizzate da un severo rincaro.
La domanda che tutti ci poniamo è se l’attuale discesa del prezzo PUN sia effimera oppure se possa proseguire, producendo nei prossimi mesi un ulteriore calo delle tariffe.
Nessuno si illuda di tornare ai prezzi irrisori osservati quando la pandemia ci costringeva a stare chiusi nelle nostre case, riducendo ai minimi i consumi di uffici, trasporti e fabbriche (solo in parte compensati dai consumi domestici legati alla riscoperta della passione per la cucina da parte degli italiani in lockdown). Ma è comunque chiaro a tutti che un conto è pagare i prezzi astronomici di agosto 2022 ed un conto è scendere a 200 Euro/MWh o anche più sotto.
Quanto al picco di agosto, la sua origine è sostanzialmente legata alla crescita dei prezzi del gas quotato ad Amsterdam (durante la scorsa estate c’è stato un eccesso di richiesta da parte dei Paesi europei che cercavano affannosamente di riempire le loro riserve strategiche).
Attualmente la richiesta di gas è ridotta grazie al fatto che i riscaldamenti sono ancora spenti, mentre i depositi di gas europei sono sostanzialmente pieni (oggi la media europea ha raggiunto il 90%, mentre un anno fa era ancora ferma al 75%).
Questa situazione ha portato ad una riduzione del prezzo del gas ad Amsterdam che attualmente vale circa 175 Euro/MWh, contro il picco agostano che aveva superato quota 300 Euro/MWh. In Italia (mercato MPG) il prezzo del gas oscilla intorno a 100 Euro/MWh, quasi la metà rispetto al prezzo di Amsterdam.
Ricordo che, molto grossolanamente, con il sistema di calcolo attuale – a parità di MWh – il prezzo dell’energia elettrica è circa doppio rispetto a quello del gas. Se – finalmente – si deciderà di sganciare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, il prezzo dovrebbe ulteriormente scendere (in Italia solo circa la metà dell’energia elettrica è prodotta partendo da gas, mentre tutto il resto utilizza sorgenti energetiche che, pur registrando costi in crescita, non hanno subito lo straordinario aumento registrato dal prezzo del gas naturale).
Con l’arrivo del freddo invernale e l’aumento della richiesta legata al riscaldamento degli edifici, il prezzo del gas potrebbe ripartire e, con esso, anche quello dell’elettricità. Ma non è detto che tutto ciò debba necessariamente accadere.
Anche se le discussioni a livello europeo procedono in modo apparentemente caotico, si sta delineando una posizione che potrebbe essere accettata dai diversi Paesi. Aldilà dei tecnicismi, l’idea è quella di imporre un prezzo massimo per il gas fornito tramite gasdotti, gestendolo separatamente rispetto a quello del gas importato in forma liquida.
L’idea non è priva di logica perché, se i Paesi europei fanno cartello, chi esporta il gas in Europa tramite i gasdotti dovrà scegliere se accettare il prezzo calmierato oppure smettere di esportarlo. Siccome i gasdotti che arrivano in Europa non si possono spostare, questo significa che gli esportatori troppo esosi rischieranno di perdere gran parte delle loro entrate. Non conviene a nessuno di loro “tirare troppo la corda” e ci sono ampi spazi per trovare un accordo, soprattutto se si ragiona secondo una logica di lungo periodo che non bada troppo ad effimeri effetti speculativi.
Per quanto riguarda il gas importato via nave, va presa in seria considerazione l’obiezione tedesca secondo cui se si offre un prezzo troppo basso si rischia di perdere le forniture. C’è un mercato internazionale e le navi metaniere possono essere facilmente dirottate da un Paese all’altro. Anche qui si tratta di trovare accordi ragionevoli e di lunga durata che tengano realisticamente conto dell’andamento dei mercati internazionali del gas.
L’importante è che – come è stato fatto per i vaccini – l’Europa ragioni in modo coordinato. Non è facile e occorre tempo, ma si può fare. Se riusciremo a trovare un approccio comune, la situazione dei prossimi mesi potrebbe essere meno drammatica rispetto a quanto oggi temiamo.
C’è un altro aspetto da considerare, soprattutto se vogliamo capire quali potranno essere le conseguenze a lungo termine di questa crisi energetica. Molti produttori di metano sono seriamente preoccupati per la tendenza europea a fare un uso crescente delle energie rinnovabili. Ogni nuova centrale solare o campo eolico costruito in Europa significa una riduzione futura delle importazioni di metano o di altri combustibili fossili.
Chi vende metano all’Europa e trae da questa vendita enormi guadagni comprensibilmente si preoccupa poco del riscaldamento globale e pensa solo a salvaguardare le sue future entrate finanziarie. Gli accordi che stipuleremo per superare l’attuale crisi energetica saranno tanto più vantaggiosi quanto più saranno estesi nel tempo. Il rischio è quello di prendere impegni di acquisto a lungo termine che rallenterebbero il passaggio alle energie rinnovabili.
Il problema c’è e non va sottovalutato. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di offrire ai Paesi produttori di gas naturale un’alleanza strategica volta ad aumentare la loro capacità di trasformare il metano direttamente nel luogo di estrazione per produrre composti ad alto valore aggiunto (eliminando alla radice anche le ingenti fughe di metano che avvengono nei sistemi di trasporto del gas).
Idrogeno, alcol metilico e fertilizzanti azotati potrebbero essere prodotti partendo dal metano direttamente nel luogo di estrazione, ributtando nei pozzi esausti la CO2 prodotta dai processi di trasformazione. Non sarebbe idrogeno “verde“, ma quantomeno “blu” che è sempre meglio che “grigio“.
In questo modo i Paesi che oggi esportano metano, domani potrebbero continuare ad esportare prodotti chimici a maggiore valore aggiunto, compensando le perdite legate al fatto che la diffusione delle energie rinnovabili in Europa avrà eroso buona parte del loro vecchio mercato.
Se l’Europa saprà proporre rapporti di partenariato lungimiranti ed equilibrati, si potrebbe – in particolare – favorire lo sviluppo di molti Paesi africani, migliorando le condizioni economiche delle popolazioni e riducendo la pressione migratoria verso l’Europa stessa. Ma per fare questo ci vuole una visione di lungo periodo che metta da parte gli approcci neocolonialisti che troppo spesso hanno ispirato i rapporti dell’Europa con il continente africano.
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