Chi intasca gli extra-profitti generati dal mercato energetico italiano?

Le cronache giornalistiche fanno spesso riferimento ai cosiddetti “extra-profitti” ovvero ai guadagni straordinari realizzati da chi vende gas o produce energia elettrica usando fonti diverse dal gas naturale e la vende a prezzi che – sulla base di un discutibile algoritmo – sono agganciati a quelli del gas. La speculazione arricchisce pochi privilegiati mentre le famiglie e le aziende si trovano ad affrontare enormi difficoltà. Tutti ne parlano, ma (quasi) nessuno agisce per porre rimedio a questa situazione.

Il problema era stato sollevato molti mesi fa da Mario Draghi quando aveva chiesto che l’Europa ponesse un tetto al prezzo del gas naturale e sganciasse le tariffe elettriche dal costo del metano. Draghi tra pochi giorni lascerà il suo incarico e, almeno fino ad oggi, l’Europa è stata incapace di arrivare ad una decisione condivisa. Poco fa le agenzie di stampa hanno rilanciato l’ennesima dichiarazione del premier tedesco Scholz che parla di “coesione sociale” e di “patto europeo“, ma – a mio parere – sono le solite ciance prive di sostanza, una semplice cortina fumogena per mascherare scelte che tengono conto solo degli egoismi nazionali.

Finché le cose andranno avanti così, ci saranno alcuni privilegiati che potranno festeggiare grazie ai lauti guadagni che stanno realizzando grazie alla crisi energetica. Il folle aumento del costo del metano, associato all’altrettanto folle algoritmo che aggancia il prezzo europeo di vendita dell’energia elettrica a quello del metano, ha generato utili miliardari.

Ciascun Governo si è mosso a modo suo, ma non è facile scovare gli extra-profitti. I problemi nascono da quella che potremmo definire la “finanziarizzazione” del mercato elettrico. Spesso i produttori vendono la loro energia con largo anticipo rispetto al momento effettivo della produzione, coprendosi rispetto alle possibili variazioni di costo delle materie prime grazie all’utilizzo di appositi strumenti finanziari. Parliamo di un mercato abbastanza “tranquillo” in tempi normali, ma che – a causa della recente crisi energetica – oggi è diventato estremamente volatile. Chi ha sbagliato le “coperture” rischia di farsi molto male e di vendere l’energia prodotta sottocosto.

Quando il Governo ha provato ad imporre una tassa sugli extra-profitti dei grandi gruppi italiani che producono energia elettrica si è sentito rispondere che di extra-profitti sostanzialmente non ce ne sono. In effetti, con oltre il 50% dell’energia elettrica italiana prodotta partendo dal gas naturale è probabile che i margini di guadagno siano stati relativamente limitati, ma non sono stati certamente nulli.

Il Governo italiano avrebbe potuto chiedere gli extra-profitti almeno a quelle società che producono energia idroelettrica, ma anche in questo caso la risposta è stata pronta: “la siccità ha ridotto la nostra capacità produttiva e quindi gli extra-profitti non ci sono“.

Insomma, basandosi sui bilanci delle principali società energetiche nazionali, di extra-profitti ce ne sarebbero davvero pochi (va già bene se in taluni casi non verranno chiesti aiuti pubblici per superare questa fase critica del mercato). E allora, dove sono andati a finire i soldi in più che paghiamo con le nostre bollette?

Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe un esperto di finanza perché una parte degli extra-profitti che sono stati generati è probabilmente sparita tra “le pieghe di bilancio” delle società energetiche italiane. Ma, a causa delle operazioni finanziarie legate alla vendita anticipata della produzione di energia elettrica, è probabile che una parte consistente degli utili sia finita nelle tasche di intermediari finanziari che operano all’estero. La possibilità di tassare questi utili è sostanzialmente nulla.

Ovviamente una parte significativa di quanto paghiamo con le nostre bollette arricchisce chi controlla il mercato del gas naturale: la russa Gazprom, ma anche i fornitori ed i trader che operano in Paesi occidentali come i Paesi Bassi, la Norvegia e gli Stati Uniti. Anche in questo caso la probabilità che lo Stato italiano riesca a tassare i guadagni è pressoché nulla.

In estrema sintesi, la possibilità di recuperare – tramite strumenti fiscali – almeno una parte delle risorse che la speculazione ha sottratto alle famiglie ed alle imprese italiane è estremamente ridotta.

Sarebbe stato meglio imporre un tetto al prezzo dell’elettricità come ha fatto la Francia, oppure adottare uno strumento più complesso di contenimento dei prezzi come quello adottato in Spagna. Va detto però che sia la Francia (grande presenza del nucleare) che la Spagna (indipendente dalle forniture di gas russo) hanno condizioni di mercato strutturalmente molto diverse rispetto a quelle italiane. Purtroppo, l’Italia paga la forte dipendenza dal gas russo decisa a suo tempo dal duo Berlusconi & Scaroni.

In attesa di avere un numero sufficientemente alto di rigassificatori, l’unica speranza per l’Italia è quella che – sia pure tardivamente – l’Europa decida di adottare provvedimenti di contenimento dei costi dell’energia in linea con quanto suggerito da Mario Draghi.

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