Forse l’idroelettrico tornerà al Trentino: poi cosa ce ne faremo?

Di fronte all’inconcludente azione svolta fin qui dalla maggioranza, le opposizioni presenti nel Consiglio della Provincia Autonoma di Trento hanno presentato una articolata proposta volta a riportare sotto il controllo pubblico le centrali idroelettriche del Trentino. La questione è molto complessa e non è chiaro quali siano le effettive possibilità che la proposta si concretizzi. Ma – aldilà delle questioni politiche e giuridiche – ci sono anche aspetti di natura climatica e tecnologica che devono essere affrontati se si vuole dare un concreto futuro al settore idroelettrico del Trentino.

Recentemente, il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento ha discusso della questione relativa alle concessioni per la gestione delle centrali idroelettriche del Trentino. L’argomento ha assunto una grande rilevanza, soprattutto alla luce della forte crescita dei prezzi dell’energia elettrica associata alla ben nota crisi dei mercati energetici europei.

Non è mia intenzione discutere la molteplicità di problemi politici e giuridici che stanno dietro alla questione delle concessioni elettriche. Non c’è dubbio che siano stati fatti molti errori e c’è il rischio concreto che le risorse idroelettriche trentine vadano presto a gara e finiscano nelle mani di chissà chi. Sarebbe un paradosso, con i trentini costretti a pagare le costosissime bollette dell’energia elettrica a società (probabilmente straniere) che gestiranno gli impianti idroelettrici presenti sul territorio provinciale.

La proposta presentata dalle minoranze presenti nel Consiglio Provinciale va oltre la mera polemica politica e ha il merito di fare delle proposte concrete. Non sono in grado di dirvi quali siano le effettive probabilità che tale proposta vada a buon fine. Ma – ammesso e non concesso che il Trentino si riappropri dei suoi impianti idroelettrici – saremmo solo a metà del guado perché il futuro degli impianti idroelettrici non è così roseo come potrebbe apparire a prima vista.

Dal punto di vista strettamente finanziario, una centrale idroelettrica potrebbe apparire come una sorta di “gallina dalle uova d’oro“. Si tratta di impianti costruiti intorno alla metà del secolo scorso, già ampiamente ammortizzati. I costi di gestione sono essenzialmente legati al personale, alla manutenzione ordinaria e alla sostituzione periodica delle turbine. Poi basta lasciar scorrere l’acqua e staccare le bollette.

Di notte, quando i consumi calano, alcuni impianti idroelettrici possono essere utilizzati come impianti di accumulo dell’energia, utilizzando l’energia elettrica che non viene assorbita dagli utenti per pompare acqua nel bacino a monte.

Purtroppo questa visione idilliaca è messa a dura prova dai cambiamenti indotti dal riscaldamento globale. La progressiva riduzione delle precipitazioni nevose – oltre a mettere in crisi il turismo invernale del Trentino – ha un effetto diretto anche sulla produzione di energia idroelettrica.

Le piogge rare e talvolta molto intense producono molti più danni che benefici e non sono particolarmente utili per alimentare i bacini delle centrali idroelettriche. Gli impianti funzionano molto meglio quando l’inverno è molto nevoso ed il lento scioglimento delle neve durante la stagione primaverile garantisce a lungo un flusso d’acqua abbondante e pressoché costante.

Purtroppo l’innalzamento delle temperature che sta avvenendo su scala globale sta avendo un grosso impatto sulle precipitazioni nevose. Questo è un grosso problema su cui il Trentino – come territorio – può fare ben poco. Si possono certamente ottimizzare i sistemi di raccolta dell’acqua, riducendo le perdite, ma i margini di miglioramento non sono particolarmente elevati, soprattutto se la crescita delle temperature globali dovesse continuare secondo i peggiori scenari disegnati dai climatologi.

Rischiamo dunque di intraprendere una battaglia per fare ritornare al Trentino impianti idroelettrici destinati fatalmente a vedere un progressivo calo della loro rilevanza economica? Certamente no, purché si affronti il problema nella sua globalità, cercando di vedere anche le nuove opportunità che ci sono davanti a noi.

Uno degli aspetti che diventeranno particolarmente importanti nel corso dei prossimi anni sarà quello legato all’immagazzinamento dell’energia elettrica. Come ho discusso in un precedente post, l’energia elettrica deve essere utilizzata subito dopo essere stata prodotta: se proviamo a far circolare gli elettroni lungo i cavi per un tempo troppo lungo finiremo fatalmente per dissipare tutta l’energia a causa del ben noto effetto Joule. L’alternativa è quella di immagazzinare l’energia prodotta in eccesso, restituendola alla rete nei momenti di maggior carico.

Nel prossimo futuro, la crescita della domanda di accumulo avrà 2 opposte motivazioni:

  1. Le energie rinnovabili su cui possiamo ragionevolmente puntare per sostituire i combustibili fossili sono sostanzialmente eolico e solare fotovoltaico. Entrambe sono caratterizzate da una fortissima variabilità della capacità produttiva. Il solare, oltre a dipendere dal livello della nuvolosità, segue un ben noto andamento sia su scala giornaliera che su quella stagionale, mentre il vento – pur potendo spirare anche di notte quando il solare è fermo – non è comunque mai certo. Non è quindi affatto sicuro che le sorgenti di energia rinnovabile – per quanto estese – producano sufficiente energia elettrica quando la rete la richiede.
  2. Dalla parte opposta il nucleare (anche quello che noi importiamo dalle centrali estere collocate vicino ai nostri confini), una volta avviato, non può essere facilmente spento e produce una quantità di energia pressoché costante durante l’arco delle 24 ore (anche quando la rete non la richiede).

La situazione è destinata a diventare ancora più complicata quando la progressiva diffusione delle auto elettriche (in Germania almeno 1/3 delle nuove auto sono full-electric o comunque ibride plug-in) cambierà drasticamente i carichi della rete. Ciò richiederà pesanti interventi di stabilizzazione della rete che non possono essere affidati esclusivamente a sistemi di accumulo basati su batterie elettriche.

La Svizzera sta affrontando questo problema sviluppando impianti idroelettrici come quello di Nant de Drance che sono ottimizzati pensando all’accumulo come funzione primaria da poter svolgere in qualsiasi momento della giornata (e non come una funzione tutto sommato secondaria relegata alle ore notturne come succede per alcuni degli attuali impianti presenti in Trentino). L’impianto di Nant de Drance, dotato di 6 turbine da 150 MW ciascuna, si affianca ad un altro impianto svizzero preesistente e fornirà il servizio di accumulo dell’energia non solo alla Svizzera, ma anche ad altri Paesi europei.

Vista dell’impianto idroelettrico di pompaggio e turbinaggio realizzato a Nant de Drance nelle Alpi del Canton Vallese (Svizzera)

La soluzione adottata dagli svizzeri potrebbe essere di esempio per rinnovare alcune centrali idroelettriche tradizionali presenti in Trentino ed in Alto Adige.

Tra l’altro, quando l’accumulo (ed il successivo rilascio di energia) diventa la funzione primaria della centrale, anche i problemi generati da una eventuale siccità diventano meno critici. Basta disporre di 2 ampi bacini (1 a monte ed 1 a valle) e l’acqua utilizzata sarà sempre la stessa (al netto delle perdite e dell’evaporazione): pompata nel bacino superiore quando si accumula energia e raccolta nel bacino inferiore quando l’energia viene trasferita alla rete.

Da un punto di vista strettamente tecnico, il Trentino potrebbe pensare anche alla realizzazione di un nuovo impianto specificamente progettato per l’accumulo dell’energia, usando – ad esempio – il Garda trentino come bacino inferiore. Una tale proposta solleverebbe l’ira funesta di un esercito di ambientalisti, ma anche loro dovranno prima o poi rendersi conto che se vogliamo utilizzare estesamente il solare e l’eolico dobbiamo dotarci di sistemi di accumulo di adeguate dimensioni.

Gli investimenti da fare sarebbero comunque importanti e non è detto che il piccolo Trentino disponga delle risorse finanziarie necessarie per realizzarli. Sarebbe stato un magnifico progetto da finanziare con il PNRR (se qualcuno ci avesse pensato!).

Ammesso di trovare i finanziamenti (magari grazie al programma REPowerEU), il Trentino potrebbe offrire un servizio strategico per tutto il Paese, di fondamentale importanza se l’Italia vorrà seriamente ridurre la sua dipendenza dalle forniture estere di metano e di altri combustibili fossili.

Questo è un argomento che potrebbe essere speso (invece di limitarsi a parlare di generici investimenti nelle energie rinnovabili) durante una eventuale trattativa da fare con il Governo centrale (francamente non credo che Giorgia Meloni considererà molto “patriottica” la richiesta dei trentini di riappropriarsi delle loro centrali idroelettriche semplicemente per pagare le bollette elettriche ad un prezzo inferiore rispetto a quello pagato dagli altri italiani).

Aldilà di un eventuale ammodernamento (o della estensione) della rete delle centrali idroelettriche trentine per integrarle nel futuro sistema energetico italiano carbon-free, se si riuscisse a consolidare il controllo pubblico sul settore idroelettrico si aprirebbero molte altre opportunità interessanti.

Personalmente non credo che Dolomiti Energia (nella sua attuale configurazione) sia lo strumento più adatto per gestire questa trasformazione: io sono molto critico sul modo con cui la Società è stata gestita nel corso degli ultimi anni.

In un mondo ideale, dovremmo disporre di una società a controllo pubblico che possa svolgere – oltre ai necessari compiti di natura operativa – un ruolo di stimolo e di supporto tecnico a questa difficile fase di transizione energetica. Il Trentino si è cullato troppo sugli allori ed oggi molti nodi vengono al pettine. Ne cito alcuni:

  1. Alcuni anni fa, la Provincia Autonoma di Trento avviò uno studio per conoscere le potenzialità geotermiche del territorio provinciale. Parlo – a scanso di equivoci – non della ricerca di sorgenti di acqua calda, ma della possibilità di utilizzare le cosiddette “sonde geotermiche” negli impianti di riscaldamento basati su pompe di calore. Lo studio è finito nel dimenticatoio, con Dolomiti Energia che sembra più interessata a rivendere il gas importato dall’estero, piuttosto che a stimolare la diffusione di sistemi di riscaldamento domestico che potrebbero liberare un numero significativo di utenze trentine dalla bolletta del gas. Anche qui, bisogna pensare ad alleanze industriali e a politiche di incentivo degli investimenti dei privati. Alla fine forse Dolomiti Energia venderebbe meno gas, ma potrebbe dedicarsi ad attività più proficue, sia per il clima che per i suoi bilanci.
  2. In Trentino c’è un enorme problema irrisolto che è quello dell’impianto di incenerimento dei rifiuti indifferenziati (o – in alternativa – della loro gassificazione). La situazione di crisi è ormai conclamata e l’incendio estivo della discarica di Ischia Podetti è stata la classica “goccia che ha fatto traboccare il vaso“. Ogni anno dobbiamo smaltire oltre 60 mila tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati (ed una ulteriore quantità più o meno equivalente la buttiamo mescolandola a quello che ufficialmente viene classificato come “riciclo, ma che spesso è materiale di scarsa qualità, anch’esso destinato a finire – in gran parte – in discarica o in inceneritore). La partita dell’inceneritore (o del gassificatore) non riguarda solo i rifiuti, ma ha anche importanti risvolti energetici. L’energia prodotta partendo dai rifiuti non è – come qualcuno sostiene – rinnovabile, ma è comunque tanta e – se opportunamente utilizzata – ci può far risparmiare un bel po’ di combustibili fossili. Il tema dell’inceneritore (o del gassificatore) dovrebbe essere finalmente affrontato e – a mio avviso – integrato nell’ambito della politica energetica del Trentino.
  3. Quanto alle altre fonti di energia rinnovabile, bisogna essere ben coscienti dei loro limiti. Il Trentino non è una terra vocata per l’energia eolica: il vento è poco e intermittente e solo la zona del Baldo presenta delle condizioni (sia pure non ottimali) per ospitare impianti eolici. Quanto al solare fotovoltaico, parliamo di una soluzione certamente valida per utenze medio-piccole, ma le condizioni di insolazione del Trentino non sono tali da giustificare investimenti di maggiore dimensione (decisamente meglio farli nel Sud del Paese dove il rendimento medio degli impianti è di almeno il 50% superiore rispetto ad una analogo impianto localizzato in Trentino).
  4. Rimangono le biomasse ed – in particolare – quelle prodotte dalla filiera del legno. Qui sono stati fatti investimenti importanti e forse ci sono ancora ulteriori margini di miglioramento. Ma anche qui dobbiamo stare attenti a valutare se sia il caso di radere al suolo i nostri boschi per trasformarli in pellet oppure se sia meglio conservarli per tutelare la qualità dell’aria e del paesaggio.
  5. C’è infine un aspetto non secondario per il Trentino che è sovente una terra di transito per le persone e per le merci. Aldilà degli importanti investimenti che sono stati avviati per spostare i trasporti dalla gomma alla ferrovia, rimarrà comunque un traffico importante, con un grande impatto per l’ambiente delle valli alpine attraversate. Una parte della soluzione del problema potrebbe essere basata sull’idea di sostituire progressivamente i mezzi di trasporto pesanti (autobus e camion) con mezzi moderni a trazione elettrica, dotati di celle a combustibile alimentate ad idrogeno. Attualmente stiamo passando dalle sperimentazioni isolate ad una vera e propria fase di implementazione. Per accelerare tale trasformazione sarà necessario dotare l’asse del Brennero (e magari anche la povera Valsugana martoriata dalla SS 47 ed i principali centri cittadini) di una rete di distributori che siano alimentati da idrogeno “verde (prodotto da sorgenti rinnovabili). In mancanza di eolico e con un solare non particolarmente efficiente, la produzione di idrogeno potrebbe essere considerata come una alternativa rispetto al pompaggio dell’acqua quando gli impianti idroelettrici locali producono energia in eccesso rispetto alle richieste di rete. Un’altra sorgente di idrogeno verde potrebbe essere rappresentata dal syngas che si può ricavare partendo da biomasse.
  6. L’idrogeno verde potrebbe essere utilizzato anche per ridurre l’impronta carbonica di alcune attività industriali presenti sul territorio provinciale. Il Trentino si potrebbe distinguere per un utilizzo avanzato dell’idrogeno verde, ma per raggiungere tale obiettivo dobbiamo sviluppare adeguati sistemi di produzione di questo importante vettore energetico.

In conclusione, un eventuale ritorno degli impianti idroelettrici del Trentino sotto il controllo pubblico non basterebbe per poter sostenere che il Trentino si sia dotato di una adeguata politica in termini di transizione energetica.

Bisognerebbe fare nuovi costosi investimenti e ci vorrebbe un approccio ad ampio spettro che non sia appiattito sul privilegio garantito da impianti idroelettrici che oggi sono in grado di fornire energia elettrica a costi estremamente contenuti.

Il Trentino sarà all’altezza del compito che lo attende? Difficile dirlo. L’unica cosa certa – secondo me – è che non basterà fare ricorso alla retorica dell’Autonomia. Se ci sarà un progetto del Trentino, dovrà essere accompagnato dall’impegno di fare qualcosa di utile e importante anche per il resto del Paese. Occorreranno scelte politiche lungimiranti e coraggiose e strutture tecnico-scientifiche competenti in grado di realizzarle.

Risposte a “Forse l’idroelettrico tornerà al Trentino: poi cosa ce ne faremo?”

  1. Avatar la banda dello sternuto
    la banda dello sternuto

    Articolo interessante, come sempre, ma mi permetto un appunto sull’idea di un sistema a pompaggio: un ipotetico impianto di pompaggio che utilizzi il lago di Garda come bacino inferiore potrebbe fungere al più per l’accumulo giornaliero, non quello stagionale: andando a spanne servirebbe un bacino in quota di almeno 20 milioni di metri cubi perché possa diventare utile per accumulare energia da un mese all’altro, ben difficile da realizzare in zona.

    Progetti analoghi ipotizzati in passato https://www.ladige.it/economia/2009/03/24/benassi-e-mazzalai-nella-megacentrale-1.2821947 prevedevano un bacino di accumulo superiore di un milione e mezzo di metri cubi, che significa che o si riempirebbe in una sola giornata.

    A meno di non costruire uno sbarramento più ampio che riempia completamente una valle laterale: come peraltro è stato fatto in passato, già ora il lago di Ledro e il lago di Valvestino, nel bresciano, sono collegati a centrali idroelettriche di produzione e pompaggio (nel caso del lago di Ledro però, trattandosi di un lago di origini naturali, è ammessa un’escursione limitata del livello del bacino).

    Dovendo scegliere, suggerirei piuttosto di ricostruire la centrale di Malga Boazzo con maggiore potenza e con anche un gruppo a pompaggio, in modo da sfruttare il dislivello trai due laghi artificiali della Val di Daone.

    1. Avatar Davide Bassi

      Lascio volentieri agli esperti del settore il compito di indicare quali siano le soluzioni tecniche migliori. Credo comunque che sia importante sottolineare il nuovo ruolo strategico che i sistemi idroelettrici possono svolgere come accumulatori di energia nell’ambito di un sistema nazionale di produzione dell’energia elettrica che sia progressivamente decarbonizzato.

      Il nuovo impianto svizzero che ho descritto nel mio post è stato realizzato intervenendo su un impianto degli anni ’50, innalzando di circa 20 metri la diga del bacino a monte per aumentarne la capacità. Le nuove turbine possono passare dalla fase di turbinaggio a quella di pompaggio nell’arco di circa 5 minuti e questo fornisce all’impianto una grande flessibilità.

      Se vogliamo veramente passare all’eolico e al solare fotovoltaico come sorgenti primarie di energia (migliorando ambiente, clima e portafoglio) l’Italia dovrà dotarsi di un numero adeguato di impianti di accumulo idroelettrico ed il Trentino potrà giocare un ruolo di non secondaria importanza.

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