Oggi il Governo presieduto dall’On. Meloni ha liberalizzato le attività di trivellazione in Adriatico. Nel 2016 l’On. Meloni dichiarava: “Voterò sì al referendum sulle trivellazioni … quella legge va abrogata perché non si può continuare a inquinare il nostro mare“. Che le trivelle in Adriatico possano inquinare il mare mi sembra il male minore. In realtà il vero problema è quello della subsidenza (abbassamento del fondale marino) provocato dall’estrazione del gas. C’è chi teme che le trivellazioni possano innescare terremoti. Sono timori fondati o si tratta solo di paure esagerate?
Quando nel 2016 fu fatto in Italia il referendum per l’abrogazione dei permessi di perforazione per l’estrazione di gas naturale (il cosiddetto referendum anti-trivelle) i partiti di centro-destra (oggi al potere) erano tutti schierati per il Sì. Abbandonando la loro naturale diffidenza nei confronti dei temi ambientali, Meloni, Salvini e Berlusconi non lesinavano le loro critiche all’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, accusato di “rovinare l’ambiente per fare gli interessi dei petrolieri“.
Sono passati solo 6 anni, ma lo scenario è cambiato radicalmente. Nel decreto odierno si liberalizzano le trivellazioni fino a 9 miglia dalla costa, garantendo che una parte importante della futura produzione sarà messa a disposizione ad un prezzo calmierato alle aziende italiane che fanno un largo uso di gas metano. La decisione ha scatenato la reazione di molte comunità locali, preoccupate per le conseguenze che si potranno generare sui loro territori. Il recente forte terremoto che è avvenuto nella zona adriatica ha ulteriormente contribuito ad aumentare le polemiche.
C’è un’ampia letteratura sul fatto che le estrazioni di gas o petrolio possano generare eventi sismici di modesta entità, soprattutto quando – nel caso del petrolio – l’estrazione viene seguita dall’iniezione nel sottosuolo delle acque che vengono separate al momento dell’estrazione. Si tratta di eventi che possono essere fortemente ridotti se si adottano delle corrette procedure di estrazione e nulla hanno a che fare con il forte terremoto avvenuto pochi giorni fa (causato dalla spinta tettonica che l’Appennino marchigiano esercita verso nordest nei confronti dell’antistante placca adriatica).
Il discorso è diverso se le estrazioni avvengono in terraferma, in zone abitate. Un caso ben noto è quello dei Paesi Bassi che possiedono i più grandi giacimenti di gas naturale presenti in Europa. La zona che ospita i giacimenti è sistematicamente colpita da terremoti di piccola e media intensità legati soprattutto all’uso della tecnica del fracking (frantumazione idraulica delle rocce del sottosuolo per favorire il rilascio del gas). Questi terremoti hanno causato danni significativi agli edifici rendendo la vita impossibile per i cittadini che vivono al di sopra dei pozzi di estrazione. A causa di questo fenomeno, il Governo dei Paesi Bassi ha deciso di chiudere tutte le attività di estrazione presenti sul suo territorio, limitando le estrazioni solo ai giacimenti marini che sono posti ad una sufficiente distanza dalla costa.
Ma il vero problema che riguarda le estrazioni in Adriatico ( e che potrebbe essere importante anche per i campi di estrazione marini dei Paesi Bassi) è quello legato alla subsidenza ovvero all’abbassamento del fondale marino che può avvenire intorno ai pozzi di estrazione. Il fenomeno è accentuato nel punto in cui è localizzato il pozzo di estrazione, ma si estende anche nella zona circostante, Non a caso le estrazioni sono assolutamente vietate in prossimità di Venezia anche se si stima che nell’Alto Adriatico esistano giacimenti di una certa entità.
Molte zone della costa adriatica sono già ad alto rischio a causa dell’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale. L’eventuale abbassamento dei terreni legato all’estrazione del gas potrebbe rendere la situazione ancora più critica (da questo punto di vista avere ridotto da 12 a 9 miglia marine la distanza minima tra la costa e la posizione delle trivelle certamente non aiuta).
Vorrei però ricordare che – a differenza di quanto accadeva in passato – oggi esistono tecniche satellitari che consentono di rilevare l’insorgenza di eventuali fenomeni di subsidenza in maniera continua e molto accurata. Se si vuole, il fenomeno può essere messo sotto controllo. Questo però significa che – appena ci fosse evidenza del fenomeno – i pozzi di estrazione responsabili del fenomeno dovrebbero essere immediatamente chiusi. Siamo sicuri che – una volta rilasciata la concessione per l’estrazione – si possa davvero fare?
Aldilà dei problemi di subsidenza, rimane l’incognita sui tempi di messa in funzione degli impianti di estrazione e sui risultati che si potranno ottenere in termini di volumi estratti. Temo che chi pensa che le nuove trivelle possano produrre effetti a breve termine resterà deluso. In particolare:
- Non ci sono finanziamenti pubblici destinati a sostenere l’installazione dei nuovi impianti per l’estrazione del gas. Gli investimenti saranno a carico dei privati che otterranno la concessione, ma ovviamente chi investe non lo fa per beneficenza. Questo significa che deve avere garanzie in termini di durata della concessione e soprattutto sul prezzo di vendita. In particolare, se il Governo intende fornire il gas estratto alle aziende italiane a prezzo calmierato, qualcun altro dovrà pagare la differenza.
- Il decreto esclude che si possano rilasciare licenze per giacimenti con una capacità inferiore al mezzo miliardo di metri cubi. Molti giacimenti presenti nell’Adriatico hanno una capacità di poco superiore rispetto a tale limite e ci sono seri dubbi sulla loro effettiva convenienza da un punto di vista commerciale (le spese di investimento da sostenere prima di iniziare le estrazioni sono troppo grandi). Non sarà facile trovare privati pronti ad investire per sfruttare tali giacimenti.
- I tempi di costruzione dei nuovi impianti non saranno brevi perché non basta costruire ed installare le trivelle, ma poi bisogna collegarle alla rete dei metanodotti. Nel caso più ottimistico ci potrebbero volere 12 mesi dal momento del rilascio della concessione, ma potrebbero essere molti di più.
Tutto questo mi fa temere che – almeno nel breve periodo – le nuove estrazioni italiane di gas naturale non mostreranno un incremento particolarmente sensibile. Probabilmente i giacimenti più promettenti sono quelli localizzati nel Canale di Sicilia, dove non ci sono problemi di subsidenza, ma si tratta spesso di giacimenti in acque relativamente profonde e quindi più complicati e costosi da coltivare.
A mio avviso, non possiamo oscillare tra posizioni proibizioniste (come quelle sostenute dai movimenti ambientalisti e condivise dai partiti di centro-destra nel non lontano 2016) e posizioni orientate ad una completa liberalizzazione. C’è spazio per riavviare una seria campagna di valutazione delle risorse effettivamente disponibili (cosa che non si fa più dal lontano 2008) e per una attenta analisi del rapporto costi-benefici (includendo nei costi tutto, anche gli eventuali danni ambientali).
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