Il trasporto aereo produce un rilevante impatto sia dal punto di vista ambientale che da quello climatico. Aldilà del tentativo, per il momento solo allo stato embrionale, di arrivare alla costruzione di aerei completamente elettrici, ci sono varie proposte volte a ridurre l’impatto climatico ed ambientale dei voli. In questo post vi segnalo 2 pubblicazioni dove si discute della possibilità di sostituire i combustibili avio di origine fossile con biocarburanti e dove si propone l’adozione di una sorta di “marmitta catalitica” per aerei ibridi, atta a ridurre le emissioni diverse dalla CO2, con particolare riferimento agli ossidi di azoto.
Il trasporto aereo rappresenta una sorgente importante sia di gas serra che di inquinanti che producono un impatto rilevante a livello ambientale. La crescita continua dei voli fa presagire che la rilevanza dei danni climatici e ambientali legati ai trasporti aerei sia destinata ad aumentare nel corso dei prossimi decenni.
Non è un caso se molti laboratori di ricerca stanno lavorando per ridurre l’impronta climatica e ambientale dei trasporti aerei. C’è infatti il rischio che prima o poi – sotto la pressione dell’opinione pubblica – le Autorità finiscano per imporre severe limitazioni ai viaggi aerei, magari sotto forma di nuove tasse “ambientali“.
In questo post vi segnalo un primo articolo (Uludere Aragon, N.Z., Parker, N.C., VanLoocke, A. et al. “Sustainable land use and viability of biojet fuels“, Nature Sustainability (2022)) dove si valuta la possibilità di sostituire i combustibili avio di origine fossile con biocarburanti. Lo studio ha riguardato solo gli Stati Uniti e non è detto che possa essere facilmente esteso anche ad altre realtà, ma è comunque interessante perché ha affrontato il problema fin nei dettagli, proponendo soluzioni concrete.
In particolare, è stato valutato che per produrre tutto il biocarburante necessario per l’aviazione degli Stati Uniti bisognerebbe dedicare circa 23 milioni di ettari di terreni cosiddetti “marginali” alla coltivazione di miscanto (Miscanthus giganteus), un’erba perenne nota anche come “erba elefantina“.
Lo spazio da dedicare a tale coltivazione dovrebbe essere molto esteso (corrisponde più o meno alla superficie coltivabile dello Stato del Wyoming), ma permetterebbe di produrre circa 30 miliardi di galloni di biocarburante avio all’anno, al prezzo medio di circa 4 US$/gallone. Tale produzione sarebbe in grado di soddisfare le richieste dell’aviazione americana, tenuto conto anche del possibile aumento dei voli che si potrebbe verificare da oggi fino al 2040. Il prezzo di produzione è circa doppio rispetto al costo attuale dei combustibili avio di origine fossile, ma secondo gli Autori potrebbe essere accettabile, soprattutto alla luce dei recenti aumenti dei carburanti di origine fossile.
I risultati di questo studio ci fanno capire quanto sia difficile sostituire i combustibili fossili con biocarburanti. In un mondo che proprio in questi giorni ha raggiunto gli 8 miliardi di abitanti, le terre coltivabili stanno diventando un bene prezioso e dovrebbero essere utilizzate primariamente per produrre cibo sufficiente per tutti.
La credibilità della proposta dipende molto da cosa si definisce esattamente per terreni “marginali“. Aldilà dell’impatto ambientale che andrebbe comunque valutato, la proposta potrebbe essere presa in considerazione solo se coinvolgesse terreni abbandonati od utilizzati solo come pascoli. In tal caso, potremmo pensare di dedicarli alla coltivazione dei vegetali necessari per produrre biocarburanti, rinunciando solo a qualche bistecca, ma senza sacrificare coltivazioni di cibo.
Ammesso e non concesso che si riescano a sostituire i combustibili avio di origine fossile con biocarburanti, rimane il problema delle emissioni di gas diversi dalla CO2 ed, in particolare, degli ossidi di azoto che vengono rilasciati dagli aerei in volo. Per ovviare a questo problema, si può pensare di utilizzare aerei a propulsione ibrida. Si tratta di aerei dotati di motori elettrici che vengono alimentati tramite l’energia elettrica generata a bordo tramite turbine alimentate da combustibile avio.
In particolare, un gruppo di ricercatori del MIT di Boston ha valutato la possibilità di trattare gli scarichi delle turbine che generano l’energia elettrica tramite una sorta di “marmitta catalitica” che potrebbe ridurre le emissioni nocive fino al 95% rispetto ad un aereo convenzionale.
Anche in questo caso non mancano i problemi. Analogamente a quanto succede per un’auto ibrida, anche un aereo ibrido è caratterizzato da una elevata complessità (devono coesistere 2 sistemi) che può ridurre i rendimenti ed aumenta il rischio di guasti. Inoltre i propulsori jet alimentati ad energia elettrica esistono solo allo stadio di prototipo e quindi il progetto è – almeno per il momento – poco più di un’idea di principio. Ma si tratta di un’idea interessante, soprattutto se – analogamente a quanto è stato fatto per le auto – le Autorità internazionali introdurranno limiti più severi anche per le emissioni dell’aviazione.
In conclusione, la strada verso un aereo a propulsione puramente elettrica è ancora decisamente lunga e non è neppure detto che questa sia la strada da percorrere. Ci sono proposte alternative che potrebbero ridurre drasticamente l’impronta climatica ed ambientale dell’aviazione, ma – come dicono gli americani – non possiamo aspettarci che “i tacchini chiedano di anticipare la festa del Ringraziamento“.
Fuor di metafora, se non ci saranno interventi rigorosi da parte delle Autorità di controllo internazionali, non possiamo aspettarci che le aziende aeronautiche e le compagnie aeree spingano più di tanto per ridurre le loro emissioni. Possiamo aspettarci che introducano miglioramenti per ridurre i consumi (e quindi anche le emissioni) degli aerei tradizionali e ci saranno senz’altro molte misure “di facciata“, ma si tratterà probabilmente solo di puro greenwashing.
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