Tra le tante polemiche quotidiane che puntano a farci dimenticare i problemi dell’inflazione galoppante, l’ultima riguarda il contrasto alla carne coltivata. La questione è stata sollevata da Coldiretti ed è stata prontamente rilanciata da diversi esponenti politici a cui si è accodato anche il Presidente pro-tempore della Provincia Autonoma di Trento. La cosa ha suscitato una certa sorpresa, tenuto conto che la PAT ha recentemente sostenuto la nascita di una start-up dedicata proprio allo sviluppo di nuovi metodi per la produzione di carte coltivata.
Il tema della carne coltivata l’avevo affrontato in tempi non sospetti, prima del clamore sollevato dall’autorizzazione rilasciata dall’americana Food and Drug Administration (FDA) ad una azienda californiana che produce carne di pollo partendo da cellule staminali immortalizzate. La decisione ha stimolato una campagna di Coldiretti che lancia l’allarme contro le carni coltivate, presentate come la nuova frontiera dei cosiddetti “cibi Frankenstein“, il tutto accompagnato da una vasta raccolta di firme.
Che il possibile sviluppo delle carni coltivate possa distruggere molti posti di lavoro nel settore dell’allevamento l’avevo scritto nel mio post, citando i risultati di uno studio fatto negli Stati Uniti che – pur con le necessarie cautele – può essere esteso anche all’Italia. Il problema sociale esiste, così come – d’altra parte – esiste il problema ambientale e climatico generato dagli allevamenti intensivi (soprattutto quelli dei bovini).
Coltivare la carne in vitro piuttosto che macellare animali potrebbe rappresentare anche una (parziale) risposta rispetto alla tendenza – sempre più diffusa soprattutto tra le giovani generazioni – verso abitudini alimentari vegane (o quantomeno vegetariane). Il cambio delle abitudini alimentari sta provocando una progressiva riduzione dei consumi di carne, aggravando le difficoltà di un settore economico – quello dell’allevamento – che da molti anni mostra crescenti segni di sofferenza.
Come è successo spesso nel corso della storia, la rivolta degli allevatori nei confronti della carne coltivata rischia di assumere i toni della protesta neo-luddista. Si bolla il nuovo con il marchio dell’infamia (cibo Frankenstein) e si cerca in qualche modo di bloccare i possibili sviluppi di mercato.
Capisco l’atteggiamento degli allevatori che temono per il loro futuro, ma non credo che la politica potrà fare più di tanto. Il Governo si è subito schierato contro la carne di sintesi assicurandoci che “non arriverà mai in Italia“: in fondo anche gli allevatori votano e quindi è meglio blandirli. In tale contesto, molti hanno notato l’incoerenza del Presidente pro-tempore della Provincia Autonoma di Trento che si è prontamente allineato alla linea di Coldiretti, dimenticando che recentemente la PAT ha attivamente sostenuto l’avvio di una start-up dedicata proprio allo sviluppo di carni coltivate.
Se l’evoluzione tecnologica andrà nella direzione che spaventa gli allevatori, ci sarà – con buona pace di Coldiretti e del Ministro Lollobrigida – una profonda trasformazione del settore, soprattutto per quanto riguarda gli allevamenti intensivi (diverso è il discorso per gli allevamenti di nicchia che potrebbero ritagliarsi una ricca fetta di mercato se riusciranno a puntare su prodotti di elevata qualità).
Ma se vogliamo dire la verità, oggi la discussione sulla bistecca Frankenstein è solo “preventiva” e la possiamo annoverare a tutti gli effetti tra le tante polemiche sul nulla che il nuovo Governo alimenta con grande passione. In realtà, oggi la carne coltivata non è ancora – dal punto di vista tecnologico – una reale alternativa rispetto alla carne “tradizionale“.
Per quanto a mia conoscenza, attualmente ci sono al mondo solo 2 ristoranti che hanno incluso nei loro menu costosissime (e insipide) polpette di carne di pollo coltivata. Una attrazione per pochi curiosi fanatici delle biotecnologie, ma siamo ancora lontani rispetto ad un prodotto di massa.
Come ho evidenziato nel mio post precedente – ci sono ancora molti problemi da risolvere prima che si dimostri l’effettiva affidabilità e competitività dei metodi per la produzione della carne coltivata (e non è neanche detto che si possano effettivamente risolvere). La FDA ha solo verificato la compatibilità con la salute umana della carne di pollo coltivata realizzata dall’azienda americana che ha ricevuto l’autorizzazione. Da qui a dimostrare che sia un prodotto buono, economico ed eticamente accettabile, ce ne passa.
In conclusione, se non avete ancora scelto di diventare vegani, mangiatevi pure ogni tanto un buon pollo arrosto, ma assicuratevi che sia un prodotto di qualità e che non provenga da un allevamento intensivo.
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