I dati – ancora provvisori – sul mercato italiano del gas naturale mostrano che nel corso del 2022 c’è stato un calo significativo dei consumi. I minori flussi di gas russo sono stati compensati dall’aumento delle importazioni provenienti da altri Paesi, mentre la produzione nazionale è rimasta pressoché uguale rispetto a quella dell’anno precedente. Nel frattempo, il Governo italiano si appiattisce sulle posizioni di ENI e lancia il “Piano Mattei”.
2022 | 2021 | Variazione % | |
Produzione nazionale | 3,4 | 3,3 | 3,0% |
Importazione | 67,9 | 72,7 | -6,6% |
Algeria | 23,7 | 21,2 | 11,8% |
Libia | 2,4 | 3,2 | -25,0% |
Russia | 11,2 | 29,1 | -61,5% |
Norvegia e Paesi Bassi | 7,4 | 2,2 | 236,4% |
Azerbaijan | 10,2 | 7,2 | 41,7% |
GNL | 13,0 | 9,8 | 32,7% |
Esportazione | 2,4 | 1,5 | 60,0% |
Consumo | 69,9 | 76,1 | -8,1% |
Nel corso del 2022 c’è stato un calo significativo dei consumi di gas naturale in Italia, diminuiti di circa l’8% rispetto all’anno precedente. Tenuto conto del fatto che i consumi di metano utilizzato per alimentare le centrali termoelettriche sono stati di poco superiori rispetto a quelli del 2021, se ne deduce che il calo registrato a livello complessivo è frutto sia dei piani di risparmio adottati dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, sia del clima particolarmente mite che ha caratterizzato i mesi autunnali del 2022.
Tutti ricordiamo la crisi registrata durante la scorsa estate quando i Paesi europei si facevano una spietata concorrenza per riempire le loro riserve strategiche. Sembra paradossale che dopo aver speso cifre folli per importare gas, l’Italia sia riuscita – nel corso del 2022 – ad aumentare del 60% le sue esportazioni. In realtà si tratta di un fenomeno transitorio che avevamo già discusso in un post di qualche mese fa: nel mese di ottobre 2022, con le riserve ormai quasi piene e con temperature decisamente superiori alla media, l’Italia non riusciva a consumare tutto il gas che stava importando. Il gas in eccesso è stato esportato verso il Nord Europa.
Notiamo che nel corso del 2022 la produzione italiana di gas naturale è rimasta sostanzialmente uguale rispetto a quella dell’anno precedente. Questo fatto non è sorprendente: la stragrande maggioranza dei pozzi italiani attivi è ormai in fase di esaurimento e per attivare nuovi pozzi serve tempo (oltre ad ingenti investimenti). Tra l’altro, va ricordato che le riserve potenzialmente più ricche si trovano nel canale di Sicilia, in acque relativamente profonde ed il loro sfruttamento non è affatto semplice. Vedremo cosa succederà nel corso del 2023, ma non possiamo aspettarci miracoli.
Per quanto riguarda le importazioni, si osserva un vero e proprio crollo del gas proveniente dalla Russia (-61% circa) ed un ulteriore calo è previsto per l’anno in corso. L’Algeria è diventata il primo fornitore di gas naturale per l’Italia, ma anche per l’Algeria non mancano le preoccupazioni di carattere geopolitico, considerata l’instabilità politica del Paese.
La Libia ha fornito una quota piuttosto ridotta dei consumi italiani, anche se potenzialmente le sue forniture potrebbero facilmente superare i 10 miliardi di m3. Purtroppo le condizioni del Paese non sono tali da garantire la necessaria stabilità delle forniture.
La crisi energetica è stata affrontata anche grazie all’impennata delle forniture provenienti dal Nord Europa (Norvegia e Paesi Bassi), forniture che l’Italia ha pagato a carissimo prezzo, alla faccia della tanto strombazzata “solidarietà europea“.
Le forniture dell’Azerbaijan (via TAP) sono cresciute considerevolmente (41% circa) e già si pensa di raddoppiare l’infrastruttura. Fortunatamente il gasdotto TAP è entrato in funzione appena in tempo (non oso immaginare cosa sarebbe successo se i no-TAP fossero riusciti a bloccare o anche solo a ritardare lo sviluppo del gasdotto che oggi è essenziale per garantire un minimo di flessibilità nella scelta dei fornitori stranieri).
A proposito di flessibilità, notiamo il forte aumento del GNL (gas naturale liquido) arrivato grazie agli impianti di rigassificazione già esistenti (La Spezia, Rovigo e Livorno). I nuovi impianti di Piombino e Ravenna potranno consentire di raddoppiare le importazioni di GNL.
Per quanto riguarda il 2023, le previsioni parlano di una possibile ulteriore riduzione delle importazioni dalla Russia, compensata dalle importazioni di GNL che passeranno attraverso il rigassificatore di Piombino (che – salvo intoppi di natura giuridico-amministrativa – dovrebbe entrare in funzione entro la primavera 2023). Se riusciremo ad arrivare alla prossima primavera con le riserve ancora abbastanza piene (almeno il 40%), la situazione del 2023 potrebbe richiedere attenzione, ma non dovrebbe diventare eccessivamente critica.
Pur in presenza di un prezzo del gas metano decisamente più alto rispetto a quello che c’era prima della fine della fase critica della pandemia e della guerra in Ucraina, ci sono buone probabilità che riusciremo ad evitare i picchi speculativi osservati durante l’estate 2022.
Nel medio-lungo periodo, l’Italia dovrà prendere importanti decisioni strategiche sul suo futuro energetico. Continuare a puntare sul gas come risorsa energetica dominante, pensando addirittura di trasformare l’Italia in una sorta di “hub energetico” del Sud Europa (iniziativa che viene pomposamente chiamata “Piano Mattei”) è un’idea di cui sentiamo spesso parlare da politici tanto entusiasti, quanto impreparati quando parlano di temi energetici.
La mia impressione è che molti politici nostrani si limitino a ripetere a “pappagallino” le lezioncine apprese dai vertici di ENI che – lo ricordo – è una grande impresa che ha il suo business incentrato intorno ai combustibili fossili (aldilà dei veri e propri casi di greenwashing a cui assistiamo quotidianamente quando sentiamo ENI parlare di ambiente e clima).
Comprensibilmente i vertici di ENI (successori di quei manager che a suo tempo ci infilarono nel cappio delle forniture energetiche russe) premono per mantenere i combustibili fossili al centro delle forniture energetiche nazionali, ma non è detto che gli interessi di ENI e quelli dell’Italia siano sempre perfettamente coincidenti.
In particolare, per quanto riguarda l’idea di trasformare l’Italia nell’hub metanifero del Sud Europa, mi pare che si stiano sottovalutando problemi di varia natura. Ci sono innanzitutto gravi aspetti di natura geopolitica: come ci insegna il caso della Libia, l’Italia non ha la forza né politica, né tanto meno militare per difendere i suoi interessi energetici nel bacino del Mediterraneo. Illudersi di riuscire a farlo senza chiedere l’aiuto dei nostri alleati (e concorrenti sul mercato energetico) mi sembra un grave errore di sottovalutazione.
Dal punto di vista strutturale, come insegna il caso di Nord Stream, affidarsi solo ai gasdotti non è una buona idea perché può esporre gli acquirenti del gas a devastanti attacchi di natura terroristica. L’alternativa sarebbe quella di puntare sui rigassificatori, ma non si capisce perché le navi metaniere (ed in futuro quelle che potrebbero trasportare idrogeno) dovrebbero preferire l’Italia alla Spagna o alla Germania che sono molto più avanti dell’Italia nell’organizzazione della loro rete di rigassificatori (mentre – come ci insegna il caso di Piombino – l’Italia rischia di perdere tempo prezioso a causa dei suoi problemi di localismo esasperato).
Forse l’Italia dovrebbe investire maggiormente nelle energie rinnovabili (solare, eolico ed impianti di accumulo dell’energia necessari per livellare i picchi di assorbimento della rete), riducendo progressivamente l’uso dei combustibili fossili (che – in parte – continueranno comunque a servire come materia prima per le nostre industrie chimiche). A mio avviso, sarebbe indispensabile anche riconsiderare l’utilizzo del nucleare di nuova generazione per dare maggiore stabilità a reti elettriche che facciano un uso predominante di fonti di energia rinnovabile.
Tutti presi dall’emergenza energetica, guardiamo quotidianamente al prezzo del gas naturale, dimenticando che il problema vero non è quello di superare questo o il prossimo inverno, ma che bisognerà essere capaci di rimodellare il futuro energetico del nostro Paese, diminuendo la dipendenza dalle importazioni dall’estero e affrontando con decisione le sfide poste dal riscaldamento globale.
Ci riusciremo? Io qualche dubbio ce l’ho!
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