Auto ibride “plug-in”: una tecnologia utile per la transizione energetica oppure un vero e proprio “bidone”?

Gli ultimi sondaggi ci dicono che – in caso di acquisto di un’auto nuova – i consumatori italiani sarebbero molto più propensi ad acquistare un’auto ibrida “plug-in” (le cosiddette PHEV) piuttosto che un’auto completamente elettrica. Eppure non mancano le segnalazioni sui limiti delle ibride “plug-in che consumano molto più di quanto appaia dai test ufficiali e hanno costi di manutenzione molto più elevati rispetto ad un’auto elettrica.

Il mercato automobilistico italiano è decisamente in ritardo rispetto al passaggio all’auto elettrica. Molti consumatori ritengono che le auto completamente elettriche siano adatte esclusivamente per un uso cittadino o comunque per percorrere distanze limitate. L’idea di programmare un viaggio su lunghe distanze dovendo tener conto della localizzazione dei (pochi) punti di ricarica rapida disponibili spaventa molti automobilisti che preferiscono scegliere modelli di tipo ibrido, considerati come un buon compromesso tra funzionalità e rispetto dell’ambiente e del clima.

Tale atteggiamento è alimentato anche dai dati sulle emissioni di CO2 delle auto PHEV che vengono diffusi dalle case produttrici. I dati di emissione sono basati sui test ufficiali noti come WLTP e sono decisamente contenuti (tipicamente inferiori a 40 g di CO2 per km).

Peccato che questi dati – pur essendo stati ottenuti rispettando rigorosamente le specifiche internazionali WLTP – siano assolutamente fuorvianti. Infatti, le normative attualmente in vigore prevedono che le auto PHEV inizino il test WLPT con la batteria completamente carica. I valori di emissione che vengono rilevati non sono realistici perché non tengono conto dell’energia ceduta dalla batteria nel corso del test.

Quando un’auto PHEV viene utilizzata nel mondo reale i consumi di carburante (e le emissioni di CO2) sono decisamente superiori rispetto a quanto specificato dai parametri WLTP. Tali differenze sono state evidenziate da prove su strada indipendenti effettuati da diverse organizzazioni.

Un’auto PHEV soddisfa le specifiche di emissione WLPT solo se viene utilizzata per percorrere brevi tratti di strada (poche decine di km) dopo aver completamente caricato la batteria grazie ad un impianto alimentato da energie rinnovabili (ad esempio, un impianto fotovoltaico domestico).

Quando la percorrenza supera le poche decine di km, la batteria si scarica inesorabilmente ed i consumi (con le relative emissioni) salgono. Ciò è dovuto anche al maggior peso di un’auto PHEV rispetto ad un modello a combustione interna tradizionale oppure ad un’auto completamente elettrica. Infatti un’auto PHEV somma il peso dei motore a combustione interna tradizionale con quello del motore elettrico e della relativa batteria.

Oltre ai consumi elevati dovuti al peso, le auto PHEV hanno anche costi di manutenzione molto alti perché ambedue i sistemi di trazione richiedono specifici interventi (ad esempio cambio oli e sostituzione di filtri e guarnizioni per la parte a combustione interna e sostituzione della batteria dopo alcuni anni di esercizio per la parte elettrica).

L’unico effettivo vantaggio delle auto PHEV è quello della flessibilità. Infatti con un’auto PHEV è possibile percorrere sia brevi percorsi in contesti urbani dove le auto a combustione interna non sono ammesse (purché la batteria sia carica!), sia lunghi percorsi autostradali senza doversi preoccupare di effettuare una ricarica della batteria.

Nel corso degli ultimi anni l’acquisto di auto PHEV è stato sostenuto in molti Paesi grazie a generose sovvenzioni pubbliche. Se facessimo il conto delle emissioni reali dei veicoli PHEV, potremmo domandarci se tali fondi siano stati effettivamente ben spesi.

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