L’idrogeno “verde” secondo la Commissione europea

Dopo lunghe discussioni, la Commissione europea ha pubblicato la proposta dei criteri tecnici per definire l’idrogeno “verde” nell’Ue. L’idrogeno potrà essere chiamato green se prodotto con energia elettrica rinnovabile, ma anche con energia elettrica proveniente da reattori nucleari (energia a bassissimo tasso di emissioni carboniche, ma certamente non “rinnovabile“). Entro il 2030 si prevede che l’Unione europea consumerà complessivamente circa 20 milioni di tonnellate di idrogeno “verde“, di cui circa la metà prodotta in Europa, mentre l’altra metà sarà importata da Paesi extra-europei.

Dopo circa 6 mesi di durissimo confronto, la Commissione europea è finalmente arrivata alla formulazione di una proposta che identifica i criteri tecnici in base ai quali l’idrogeno utilizzato nei mercati europei potrà essere definito verde. Il documento sarà trasmesso al Parlamento ed al Consiglio europeo che avranno 2 mesi di tempo per adottarlo o rigettarlo (ma non potranno emendarlo).

Lo scontro ha visto da una parte la Germania che sosteneva la definizione più restrittiva ovvero che si potesse chiamare “verde” solo ed esclusivamente l’idrogeno prodotto partendo da fonti rinnovabili. Alla fine ha prevalso la posizione sostenuta dalla Francia che estende la definizione di “verde” anche all’idrogeno prodotto utilizzando energia elettrica proveniente da centrali nucleari.

In realtà, il testo approvato dalla Commissione europea, non parla esplicitamente di energia nucleare, ma ricorre ad un curioso giro di parole considerando “verde” “l’idrogeno ricavato da energia elettrica prodotta tramite fonti non rinnovabili che durante l’intero ciclo di vita emettano quantità di gas ad effetto serra inferiori di almeno il 70% rispetto a quelle del gas naturale fossile“. Il criterio da adottare per identificare queste fonti a basso effetto serra sarà definito entro la fine del 2024, ma non c’è dubbio che la norma sia stata scritta su misura per includere l’energia elettrica prodotta da centrali nucleari, anche se l’aggettivo “nucleare” non appare mai nel documento europeo.

Una interpretazione molto “estensiva” del criterio inventato per assimilare l’energia nucleare alle fonti rinnovabili potrebbe servire per assimilare all’idrogeno “verde” anche quello “blu” prodotto dissociando gas naturale e sequestrando la CO2 generata dalla reazione. Leggendo il documento nella sua interezza, risulta che gli spazi per una interpretazione così estensiva sono praticamente nulli. Tutto il documento è basato sull’idea di bloccare la produzione di idrogeno partendo dai combustibili fossili e di passare senza indugio alla produzione di idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua.

Come al solito, l’Italia “non ha toccato palla” assistendo passivamente allo scontro tra Francia e Germania, anche se – come discuteremo più avanti – l’impatto della decisione europea potrebbe essere molto rilevante anche per il nostro Paese.

Secondo le stime della Commissione europea, i consumi europei di idrogeno “verde” arriveranno a circa 20 milioni di tonnellate annue entro il 2030. La capacità produttiva installata in Europa consentirà di coprire circa la metà dei consumi, mentre il resto dell’idrogeno “verde” sarà importato da Paesi extra-europei che dovranno dimostrare di rispettare gli stessi limiti sulle emissioni di gas serra che saranno adottati in Europa. Entro il 2050, alcune stime predicono che il consumo di idrogeno “verde” in Europa potrebbe arrivare fino a 70 milioni di tonnellate all’anno.

Gli investimenti legati a questo processo di trasformazione sono enormi: potrebbero superare i 400 miliardi di Euro nell’arco dei prossimi 25 anni. Attualmente L’Europa ha una capacità produttiva di idrogeno “verde” inferiore ad 1 milione di tonnellate annue, ancora decisamente ridotta rispetto agli obiettivi del 2030.

Gli effetti di medio-lungo periodo di questa nuova direttiva potrebbero essere molteplici:

  1. Ci sarà senz’altro una forte crescita del mercato europeo dell’idrogeno, sia come vettore energetico per i mezzi di trasporto pesanti, sia per la decarbonizzazione di importanti processi produttivi (pensiamo ad esempio alla produzione degli acciai).
  2. La proposta adottata dalla Commissione europea fornirà un forte impulso al rilancio della produzione di energia elettrica nucleare da parte della Francia. Il piano di nazionalizzazione e di rifinanziamento con ingenti fonti statali (aiuti di Stato) della principale azienda elettrica transalpina a cui sta lavorando il presidente Macron va esattamente in tale direzione.
  3. Come ricordato precedentemente, viene decisamente contrastato l’uso dell’idrogeno prodotto partendo dal metano. Questa scelta ha una grande rilevanza, soprattutto per l’Italia che sta cercando di accreditarsi come hub energetico europeo e che propone di riconvertire alcuni dei metanodotti che la collegano al Nord-Africa proprio per favorire l’importazione di idrogeno. Ammesso e non concesso che tale conversione sia tecnicamente fattibile, la proposta italiana potrebbe avere un certo appeal soprattutto se – in attesa di poter disporre di adeguate quantità di idrogeno “verde” – ci fosse un certo spazio anche per l’idrogeno “blu“. Basterebbe dotare alcune raffinerie già presenti in Algeria e Paesi limitrofi di impianti di “steam reforming” del metano, accoppiati a sistemi di sequestro della CO2. Chiudendo la strada all’uso estensivo dell’idrogeno “blu“, la Commissione europea ha di fatto messo in dubbio alcune delle assunzioni che sono alla base di quello che il Governo italiano ha pomposamente battezzato “Piano Mattei” (piano che – a quanto pare – il Governo italiano ha sviluppato sotto la guida di ENI, “scordandosi” di confrontarsi con le iniziative portate avanti dai principali partner europei).
  4. Ci sono anche degli effetti positivi per alcune aziende italiane. In particolare, ci aspettiamo un forte aumento dell’installazione di elettrolizzatori con un mercato che da oggi al 2030 potrebbe arrivare fino a 40 miliardi di Euro (con evidenti benefici per l’italiana De Nora, uno dei leader mondiali nella produzione di impianti di grandi dimensioni).
  5. Un altro effetto di cui bisogna tenere conto potrebbe essere legato ad una profonda modifica dell’andamento dei consumi elettrici nell’arco delle 24 ore. La domanda proveniente dagli elettrolizzatori (combinata con quella legata alla ricarica del numero crescente di auto elettriche) potrebbe far crescere sensibilmente la richiesta di energia elettrica nel corso della notte, scompaginando le abitudini di Paesi come l’Italia che è abituata ad importare energia elettrica nucleare a basso costo durante la notte (quando le centrali nucleari continuano a produrre energia elettrica pur in presenza di un calo della domanda), immagazzinandola nei suoi impianti idroelettrici dotati di sistemi di pompaggio/turbinaggio. La disponibilità di energia elettrica notturna a basso costo potrebbe crollare, costringendoci a modificare profondamente le nostre politiche di approvvigionamento energetico.

In conclusione, mentre gli italiani erano distratti dalle polemiche festivaliere e dal mancato invito del nostro Premier alla cena con Zelensky all’Eliseo, la Commissione europea ha adottato una presa di posizione che potrebbe modificare sensibilmente il futuro energetico dell’Europa.

Tra qualche mese, quando a Roma qualcuno si accorgerà di quello che è successo, mi aspetto che scattino le polemiche e ci sia la solita sfilata di politici che si ergono a difesa degli interessi nazionali. Forse sarebbe stato meglio se avessero seguito la questione a tempo debito e non avessero lasciato la decisione al solito duo franco-tedesco.

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