Centrali nucleari di IV generazione: se si usano male i dati le conclusioni sono sbagliate

Milena Gabanelli è una brava giornalista e la sua rubrica DATAROOM contiene molti spunti interessanti. Ma anche ai bravi giornalisti capita talvolta di interpretare superficialmente i dati e di arrivare a conclusioni quantomeno discutibili. Mi riferisco in particolare ad un articolo apparso oggi sul Corriere della Sera – a firma Milena Gabanelli e Massimo Sideri – nel quale si discute delle future centrali nucleari di IV generazione. Mescolando un po’ di dati veri con affermazioni campate per aria, gli Autori concludono che il nucleare di IV generazione non sia una strada percorribile e che non vada neppure considerato come un’opportunità nell’ambito dello sviluppo di un paniere energetico ad emissioni zero. A mio avviso le cose non stanno così e se avrete la pazienza di leggere questo post vi spiegherò quali sono le mie argomentazioni.

Il dibattito sul nucleare in Italia è spesso condizionato da pregiudizi ideologici e da tifoserie di natura politica. Eppure – a mio avviso – questo sarebbe il momento giusto per avviare una seria e pacata discussione sul possibile utilizzo dell’energia nucleare. Un tale dibattito diventerà ancora più urgente se – come tutti auspichiamo – nel corso dei prossimi anni assisteremo ad un considerevole aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili (principalmente solare ed eolico) le quali hanno tanti punti di forza, ma purtroppo sono caratterizzate da un elevatissimo livello di volatilità produttiva.

Oggi – in Italia – molti ritengono che il dibattito sul nucleare sia stato definitivamente affossato dal referendum del lontano 1987. Nel frattempo molte cose sono cambiate e la situazione attuale appare – per molti versi – paradossale. Non è un mistero che gran parte dell’energia elettrica che l’Italia importa quotidianamente dall’estero (oltre il 10% dei consumi totali) sia prodotta da centrali nucleari costruite all’estero, ma localizzate a breve distanza dai nostri confini nazionali. Nel frattempo, la nostra Ansaldo Nucleare partecipa attivamente allo sviluppo delle centrali nucleari di IV generazione a piombo fuso, ma la sua attività non può avvenire in Italia ed è stata delocalizzata in Romania.

Nessuno pensa di adottare modelli francesi che hanno fatto del nucleare la principale sorgente energetica nazionale, ma – a mio avviso – se l’Italia non si doterà di una adeguata capacità produttiva anche da fonti nucleari rischia di rimanere ancorata ai combustibili fossili, fallendo tutti i futuri obiettivi di drastica riduzione delle emissioni di CO2.

L’articolo apparso oggi sul Corriere della Sera discute della opportunità di sviluppare anche in Italia le tecnologie nucleari di IV generazione prendendo spunto dal programma elettorale di Giorgia Meloni che prometteva di usare energia nucleare “pulita e sicura“. Avevo commentato questa promessa in un post scritto durante la recente campagna elettorale nel quale spiegavo sommariamente la differenza esistente tra le varie “generazioni” di centrali nucleari, mettendo in luce pregi e difetti delle diverse tecnologie.

In particolare, le centrali future di IV generazione saranno senz’altro la migliore approssimazione possibile rispetto all’obiettivo di avere un nucleare “pulito e sicuro” (almeno fino a che non sarà effettivamente disponibile il nucleare da fusione), ma purtroppo si tratta di sistemi che si trovano ancora in fase di sviluppo e che non potranno diffondersi prima di 10-15 anni a partire da oggi.

Spacciare le centrali nucleari di IV generazione come una soluzione immediata è pura fuffa (come tante altre promesse elettorali), ma – secondo me – sbaglia anche chi assimila le future centrali di IV generazione alle centrali basate sulle tecnologie precedenti e le liquida come una soluzione poco interessante, se non addirittura dannosa.

Sul fatto che le centrali nucleari di IV generazione non siano ancora disponibili commercialmente siamo tutti d’accordo, ma le sperimentazioni in corso sono numerose e molte di loro sono ormai prossime alla conclusione. Pensare di poter disporre delle prime centrali nucleari di IV generazione durante il prossimo decennio non è una speranza campata per aria e tali tecnologie potrebbero risultare preziose nell’ambito dei piani energetici che saranno sviluppati da qui fino al 2050.

Come ho spiegato diffusamente in un post precedente, le centrali di IV generazione sono intrinsecamente sicure (si spengono automaticamente in caso di malfunzionamento) e – rispetto alle centrali nucleari attuali (di II o III generazione) presentano indiscutibili vantaggi rispetto alla produzione di scorie radioattive (che per le centrali di IV generazione saranno drasticamente ridotte sia in termini di quantità che di vita media e soprattutto non potranno essere utilizzate per scopi militari).

Uno degli argomenti forti contro le centrali di IV generazione avanzato da Gabanelli e Sideri è quello dei costi elevati. Per supportare la loro affermazione citano il caso della centrale francese di III generazione che la Francia sta costruendo a Flamanville. Avevo affrontato tale argomento in un post precedente nel quale discutevo le attuali criticità del sistema nucleare francese. Ma estrapolare il caso di Flamanville alle centrali di IV generazione è una operazione totalmente arbitraria. Infatti mentre le centrali di III generazione mantengono sostanzialmente la struttura di base della II generazione, introducendo nuovi complessi e costosi dispositivi per raggiungere la cosiddetta sicurezza “passiva” (in pratica, gli impianti si devono spegnere automaticamente in caso di incidente senza che sia necessario l’intervento umano), nelle centrali di IV generazione ci sarà un radicale cambio della struttura e dei principi di funzionamento. Scalare i costi di una centrale di III generazione ad una di IV generazione non ha alcun senso.

Con le centrali di IV generazione si abbandonerà il concetto introdotto da Enrico Fermi che prevedeva di rallentare (moderare) i neutroni per favorire i processi di fissione del combustibile radioattivo. Si passerà all’uso di neutroni veloci che – oltre ad avere una efficienza molto maggiore nell’utilizzo del combustibile nucleare – “bruceranno” tutte le scorie ad altissimo tempo di decadimento e/o utilizzabili per la produzione di armamenti nucleari. Non è poco perché attualmente lo stoccaggio per decine di migliaia di anni delle scorie radioattive è un grosso problema sia sotto il profilo della sicurezza che per quanto riguarda i costi.

Non sappiamo ancora quali saranno i costi effettivi dell’energia prodotta con le future centrali nucleari di IV generazione, ma le stime di cui disponiamo attualmente forniscono valori decisamente inferiori rispetto a quelli della centrale di Flamanville o di altri analoghi impianti.

L’altro argomento utilizzato da Gabanelli e Sideri per demonizzare le centrali nucleari di IV generazione è quello della scarsità di uranio, le cui riserve minerarie potrebbero esaurirsi nell’arco di circa un secolo. A parte il fatto che da qui ad un secolo ci saranno sicuramente degli sviluppi nel campo della energia da fusione nucleare (che non userà più uranio come combustibile), il problema che oggi abbiamo di fronte è quello di abbandonare il più rapidamente possibile l’uso di combustibili fossili, riducendo drasticamente le emissioni di CO2. Più che preoccuparci di dove trovare l’uranio tra cent’anni, dovremmo evitare che il pianeta Terra vada “arrosto” dal 2050 in poi.

Pensare di arrivare a questo risultato basandosi solo sul risparmio energetico e sulle fonti di energia rinnovabile (come proposto da Gabanelli e Sideri) è – a mio avviso – una pia illusione perché si rischia di costruire un sistema energetico fortemente instabile (che non sarebbe sempre in grado di produrre tutta l’energia elettrica che viene richiesta dagli utenti). A meno di non pensare ad un futuro caratterizzato da pericolosi e continui black-out, se vogliamo minimizzare l’uso dei combustibili fossili dovremo disporre anche di sorgenti energetiche ad emissioni “zero” in grado di funzionare in modo continuativo, sorgenti che – a loro volta – dovranno essere integrate in un sistema di accumulo dell’energia (batterie, centrali idroelettriche dotate di sistemi di pompaggio/turbinaggio) in grado di garantire il regolare funzionamento delle reti energetiche.

Il nucleare di IV generazione potrebbe dare una risposta (sia pure temporanea e parziale) a questa esigenza e non considerarlo tra le opzioni da valutare sarebbe – a mio avviso – un grave errore.

Una decisione appropriata sull’eventuale uso del nucleare di IV generazione si potrà prendere solo tra qualche anno quando sarà più chiaro il rapporto costi/benefici di questa nuova tecnologia. Ma – nel frattempo – sarebbe importante rimuovere – al più presto possibile – i vincoli che impediscono di condurre la sperimentazione sui sistemi nucleari di IV generazione in Italia. Se vogliamo disporre di tecnologie adeguate senza essere eccessivamente dipendenti dal know-how di importazione dobbiamo evitare di far morire le competenze che ancora esistono a livello nazionale e sostenere adeguatamente la ricerca e lo sviluppo di nuovi prototipi.

Tutti devono capire che il nucleare di IV generazione non va considerato come una alternativa alle energie rinnovabili, ma come un loro naturale complemento, in grado di fornire un maggiore grado di stabilità alle future reti energetiche che faranno un uso dominante delle energie rinnovabili.

Le soluzioni ai problemi complessi sono – purtroppo – sempre complicate e non sono facilmente riconducibili a semplici slogan. Affrontare il tema del nucleare di IV generazione con serietà e senza utilizzare argomentazioni fallaci è un dovere per tutti, soprattutto per chi ha l’opportunità di influenzare l’opinione pubblica scrivendo su uno dei principali quotidiani nazionali.

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