Una semplice modifica può migliorare in modo sostanziale la cattura di anidride carbonica tramite la produzione di alghe

La produzione di alghe permette di catturare anidride carbonica tramite un processo di fotosintesi in modo molto più efficiente rispetto a quanto possa avvenire coltivando alberi o qualsiasi altro tipo di produzione agricola. Purtroppo la crescita delle alghe porta anche ad una rapida copertura della superficie dei foto-bioreattori all’interno dei quali viene fatto avvenire il processo. Questo limita il rendimento e produce una forte crescita dei costi di esercizio degli impianti. Una ricerca sviluppata dal MIT di Boston (grazie ad un finanziamento dell’ENI) ha permesso di sviluppare un semplice metodo che riduce fortemente la deposizione di alghe sulla superficie dei foto-bioreattori, migliorando sensibilmente l’efficacia di tali sistemi.

In Natura, circa la metà dei processi di fotosintesi portano alla crescita di alghe e spesso si è discusso dello sviluppo di veri e propri sistemi per la coltivazione di alghe da utilizzare in alternativa rispetto alle colture agricole tradizionali.

Il metodo più efficace per coltivare alghe è basato sull’utilizzo di foto-bioreattori. In pratica si tratta di tubazioni trasparenti che vengono illuminate grazie alla luce solare (talvolta integrata da sistemi di illuminazione artificiale). All’interno dei tubi viene fatta scorrere acqua contenente le alghe e specifici elementi nutritivi (l’equivalente dei concimi usati nell’agricoltura tradizionale). La CO2 necessaria per alimentare il processo di fotosintesi viene ottenuta insufflando nell’acqua aria o miscele gassose ad alta concentrazione di anidride carbonica (ad esempio i gas di scarico di impianti industriali che bruciano metano o altri combustibili fossili).

Grazie all’elevata velocità di crescita delle alghe si possono sviluppare sistemi che hanno una notevole capacità di cattura. Purtroppo – da un punto di vista pratico – l’efficienza di tali sistemi è fortemente limitata dal rapido processo di deposizione delle alghe sulle pareti dei foto-bioreattori (fenomeno ben noto a chiunque abbia mai gestito un acquario). Il deposito delle alghe impedisce alla luce di raggiungere il liquido che scorre all’interno delle tubazioni, azzerando la produzione di nuove alghe. Questo costringe a bloccare l’impianto per procedere ad una costosa operazione di pulizia.

L’idea sviluppata dai ricercatori del MIT è molto semplice. Poiché sulla superficie delle alghe è tipicamente presente una piccola carica elettrica negativa è sufficiente caricare negativamente anche la superficie delle tubazioni del foto-bioreattore per contrastare il processo di deposizione. Il tutto viene ottenuto ricoprendo la parte interna delle tubazioni con due sottilissimi strati: il primo è costituito da un conduttore seguito da un dielettrico che lo isola elettricamente rispetto all’acqua che scorre all’interno del tubo. In pratica si costruisce un vero e proprio condensatore elettrico che – se opportunamente caricato – crea un campo elettrico che riduce fortemente il processo di adesione delle alghe alla superficie del tubo.

Le prove di laboratorio fatte fino ad oggi dimostrano che il sistema può funzionare. Tuttavia non si può escludere che – anche in presenza di un adeguato campo elettrico superficiale – il processo di deposizione superficiale delle alghe possa ancora avvenire, sia pure in forma molto rallentata. Questo potrebbe comunque richiedere un intervento di rimozione meccanica dei depositi (molto meno frequentemente rispetto a quanto avviene oggi quando si usano tubazioni con superfici non trattate). Gli Autori non affrontano il problema dei possibili danneggiamenti che la pulizia dei depositi potrebbe generare sul sottilissimo strato di materiale dielettrico depositato all’interno delle tubazioni (anche pochi semplici graffi sarebbero sufficienti per rompere l’isolamento vanificando il funzionamento del sistema).

Il nuovo approccio sviluppato da MIT è descritto in una pubblicazione che è apparsa recentemente su Advanced Functional Materials. La ricerca è stata finanziata dall’italiana ENI che viene ringraziata al termine dell’articolo, ma il brevetto è stato depositato da MIT. Al momento, non è chiaro se ENI intenda utilizzare tale brevetto per avviare una eventuale produzione di alghe per lo sviluppo di biocarburanti.

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