Dopo un lungo periodo di siccità, finalmente sono arrivate le piogge. Purtroppo in Emilia-Romagna e Marche le piogge sono state accompagnate da un vero e proprio ciclone che ha provocato danni gravissimi e la perdita di numerose vite umane. Siccità ed alluvioni ci sono sempre state, ma nei prossimi anni dobbiamo aspettarci un aumento della frequenza dei fenomeni meteorologici estremi. Chi – in nome della sostenibilità “economica” – rimanda sine die ogni serio intervento per ridurre le cause e gli effetti del riscaldamento globale dovrebbe essere consapevole delle gravi ipoteche che sta ponendo sul futuro del nostro Paese. Capisco che taluni politici preferiscano ignorare il problema accontentandosi di raccattare qualche voto in più tra l’elettorato non sufficientemente informato. Talvolta li sento dileggiare chi si preoccupa per i problemi del clima attribuendo loro le etichette di “fighetti radical chic” o di giovani “gretini”. In realtà, stiamo segando il ramo su cui siamo seduti e se non ci sarà a breve termine una risposta robusta e largamente condivisa i problemi legati al riscaldamento globale produrranno danni sempre più gravi.
Uno degli effetti più importanti del riscaldamento globale è quello di “depositare” più energia nell’atmosfera. Questo eccesso di energia determina, alle nostre latitudini, la comparsa di fenomeni che, fino a qualche decennio fa, erano esclusiva delle zone più calde del pianeta. Parliamo infatti di una progressiva “tropicalizzazione” del nostro clima con un sensibile aumento della frequenza di fenomeni meteorologici estremi.
La recente alluvione che ha interessato l’Emilia-Romagna e le Marche è un tipico esempio di tali fenomeni. I flussi di aria calda ed umida provenienti dall’Africa si sono scontrati con le masse di aria fredda provenienti dal Nord. L’evento è stato favorito dalla concomitanza di più fattori avversi. In particolare, a causa della conformazione dei territori interessati, c’è stato il sostanziale blocco di un intenso ciclone sul versante nord dell’Appennino tosco-emiliano. La situazione è stata aggravata dai venti di bora presenti sulle coste del Mare Adriatico che hanno rallentato il deflusso dell’acqua dai fiumi in piena verso il mare.
Non è certamente la prima volta che accade un evento del genere e non sarà neppure l’ultima. La situazione attuale è stata però aggravata dalla particolare intensità del fenomeno (legata, come ricordato precedentemente, all’ingente quantità di energia immagazzinata nell’atmosfera) e dalla situazione preesistente (lunga siccità che ha reso i terreni appenninici particolarmente vulnerabili).
Se teniamo conto anche di analoghi fenomeni recenti (ad esempio le alluvioni di Ischia e Senigallia) possiamo renderci conto degli ingenti danni umani ed economici che i fenomeni meteorologici estremi stanno causando nel nostro Paese.
Quando tali eventi succedono c’è chi liquida il tutto come un “fenomeno eccezionale ed imprevedibile ” e chi ci ricorda l’esistenza di varie concause a partire dall’eccessiva “cementificazione” dei nostri territori. In realtà non c’è un’unica semplice spiegazione anche se il progressivo aumento delle temperature globali è certamente la causa fondamentale della maggiore frequenza dei fenomeni meteorologici estremi. Di fronte a questa situazione tutti, politici e comuni cittadini, dovrebbero porsi una semplice domanda: “cosa dovremmo fare per evitare un ulteriore degrado della situazione e per attenuare i rischi futuri?”.
La risposta ovvia è che se vogliamo fare davvero qualcosa dobbiamo prendere piena consapevolezza dei rischi che stiamo correndo ed essere disposti a fare qualche sacrificio.
Oggi sento molti politici parlare di “contrastare i problemi ambientali e climatici tenendo conto della sostenibilità economica e sociale delle azioni da intraprendere”. Si tratta – a mio avviso – di una formulazione molto ipocrita e miope. In pratica ci stanno dicendo che “se volessimo contrastare veramente i problemi ambientali e climatici dovremmo fare dei sacrifici (non solo economici, ma legati anche al nostro stile di vita) che – in realtà – vorremmo evitare”. Mettere in contrapposizione la sostenibilità ambientale e climatica con quella economica e sociale è un modo per intercettare il consenso della parte di opinione pubblica meno informata o egoisticamente focalizzata su interessi di breve periodo, scaricando sulle future generazioni l’onere di rimediare agli errori che oggi continuiamo pervicacemente a fare.
L’altra domanda che sento ripetere frequentemente è “perché dovremmo fare sacrifici per limitare le emissioni di anidride carbonica e contrastare il riscaldamento globale se poi gli altri Paesi (a cominciare dal India e Cina) non si preoccupano di limitare le loro emissioni ?”.
Qui il discorso rischierebbe di diventare molto lungo perché quello che conta dal punto di vista climatico non sono solo le emissioni di oggi, ma quelle accumulate in passato. Alcuni Paesi che una volta venivano definiti “in via di sviluppo” ci farebbero notare che in realtà il ricco Occidente ha scaricato ingenti emissioni industriali nell’atmosfera da almeno 2 secoli e rivendicano un loro “diritto” a scaricare la loro parte di emissioni. Si tratta di un discorso difficilissimo che deve trovare un’intesa a livello governativo. Oggi i rischi del riscaldamento globale valgono – sia pure con diversa intensità – per tutti e tutti devono fare la loro parte per ridurli. Tuttavia non possiamo chiedere ad un Paese povero di rinunciare al suo sviluppo per salvaguardare il clima, ma si deve trovare un sistema basato su incentivi e compensazioni che tuteli i diritti dei più deboli con l’obiettivo di salvaguardare il clima di tutti. Non sarà facile trovare un punto di equilibrio e serviranno ingenti investimenti finanziari. Tutto sarebbe più semplice se l’Umanità non sprecasse gran parte delle sue risorse per sostenere le guerre, ma questo è un altro discorso.
Tornando al riscaldamento globale, credo che tutti debbano fare il massimo sforzo possibile per limitare le emissioni di anidride carbonica. Non sarà una passeggiata, ma le cose diventerebbero meno difficili se, invece di discutere solo dei sacrifici da fare, iniziassimo ad analizzare anche le opportunità economiche e sociali di uno sviluppo “amico del clima” (a cominciare dalla creazione di un gran numero di posti di lavoro non “delocalizzabili“). Personalmente non condivido le posizioni di taluni militanti del clima che vedono come unica soluzione al problema una decrescita più o meno “felice“. Si possono coniugare sviluppo economico e sociale con il rispetto dell’ambiente e del clima se si affrontano i problemi in modo non ideologico e se si sfruttano le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, sapendo che ogni tecnologia può avere pro e contro e che solo una società informata e democratica può gestire tali fenomeni nel modo ottimale.
Come per tutti i sistemi complessi non esistono soluzioni “semplici” per il riscaldamento globale, ma bisognerà adottare un approccio multipolare, misurando l’effetto delle nostre azioni, correggendole se necessario.
Realisticamente, sarebbe già un enorme successo se il contrasto al riscaldamento globale riuscisse a limitare l’aumento delle temperature entro i livelli fissati dall’accordo di Parigi (un aumento massimo di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali). Io temo che tale limite sarà sforato, ma spero di essere contraddetto.
Comunque vada, nei prossimi decenni l’Umanità dovrà convivere con temperature mediamente più alte e quindi si pone il problema di mitigare gli effetti del riscaldamento globale, adattando il nostro modo di vivere alle mutate condizioni climatiche.
Questo processo di adattamento rappresenta per l’Italia una sfida da far tremare i polsi. I danni che possono essere provocati da eventi meteorologici estremi sono certamente aggravati dalla politica di cementificazione esasperata che ha interessato il nostro Paese durante l’ultimo secolo, ma – anche in assenza di interventi umani che hanno aggravato la situazione – ci sono intere parti del nostro territorio che sono comunque a serio rischio idrogeologico. Se l’Italia vuole adattarsi al passaggio dal clima mediterraneo “tradizionale” al nuovo clima più simile a quello “tropicale” deve programmare una serie di costosi ed impegnativi interventi.
Dopo ogni disastro ambientale puntualmente viene messa in evidenza la necessità di adottare un Piano nazionale di prevenzione ed adattamento, ma – appena è finita l’emergenza – la questione viene dimenticata e passa in bassa priorità. Fino alla prossima emergenza!
Di fronte ai disastri ambientali non basta potenziare la nostra Protezione Civile (di cui siamo giustamente orgogliosi), ma dobbiamo impegnarci in un programma di interventi preventivi ad ampio spettro. Le forze politiche italiane riusciranno a prendere coscienza di tali problemi e ad affrontarli con la necessaria priorità e con uno spirito unitario che vada aldilà delle contrapposizioni di parte?
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