Riscaldamento globale: troveremo un nuovo equilibrio o faremo la fine di Marte?

Ci sono numerose prove scientifiche che – in un lontanissimo passato – il pianeta Marte fosse ricco di laghi e fiumi, una situazione molto lontana rispetto alla desolata distesa di rocce e sabbia che oggi caratterizza la superficie marziana. Qualcuno ipotizza che – in assenza di efficaci correttivi – il riscaldamento globale potrebbe innescare anche sulla Terra un fenomeno di progressiva desertificazione, tale da mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’Umanità. Altri sostengono che il sistema Terra sia dotato di efficaci metodi di autoregolazione e che l’aumento delle temperature, pur generando innegabili disagi, non porterà comunque la Terra in condizioni estreme. In realtà, nessuna di queste due ipotesi è suffragata da prove scientifiche “robuste“. Ambedue si basano su congetture largamente indimostrate.

A parte qualche irriducibile negazionista, c’è ormai un diffuso consenso sul fatto che le temperature medie globali del pianeta Terra stiano progressivamente aumentando e che tale fenomeno sia accompagnato da fenomeni macroscopici come lo scioglimento dei ghiacciai o l’innalzamento del livello dei mari.

La stragrande maggioranza della comunità dei climatologi sostiene che il riscaldamento globale abbia come causa scatenante l’emissione di gas serra di origine antropica ed, in particolare, il rilascio di anidride carbonica legato al consumo di combustibili di origine fossile.

Alcuni (molto pochi per la verità) pur ammettendo che le temperature salgano, attribuiscono tale fenomeno ad una non meglio precisata “fluttuazione” che starebbe avvenendo a livello oceanico (gli oceani sono le più grande riserva naturale di CO2), una sorta di “El Niño” con una scala temporale dell’ordine del centinaio di anni. A mio parere, si tratta di una pura e semplice ipotesi, non suffragata da alcuna evidenza scientifica. Tra l’altro questa teoria non spiega il recente velocissimo aumento delle temperature globali che crescono ad un ritmo annuale mai osservato nel corso degli ultimi 1.000 anni.

Comunque – qualsiasi sia la causa (o le cause) – che sono alla base del riscaldamento globale, molti si domandano: “Dove andremo a finire? L’aumento delle temperature potrà mettere a repentaglio l’esistenza dell’Umanità?“.

Le risposte a queste domande possono coprire un ampio ventaglio che va dalla visione “catastrofica” fino a quella “negazionista“. In estrema sintesi:

  1. La visione catastrofista prevede un futuro dove le aree “vivibili” del nostro pianeta si ridurranno progressivamente fino a mettere a rischio la vita di intere popolazioni. I più pessimisti sostengono che la Terra sarebbe destinata a seguire il destino di Marte dove 1 miliardo di anni fa c’erano laghi e fiumi ed ora rimangono solo sabbia e rocce.
  2. All’opposto c’è chi ricorda che la Terra ha già subito nel suo passato enormi variazioni delle temperature globali dovute al fenomeno delle glaciazioni periodiche e che, malgrado tutto, la vita sulla Terra non è scomparsa, pur avendo dovuto seguire importanti processi di adattamento. In altre parole, il nostro sistema avrebbe una forte capacità di autoregolazione che limiterebbe i danni legati alle forti escursioni di temperatura. Quindi non ci dovremmo preoccupare troppo di quanto sta accadendo e tutto potrà proseguire “business as usual“.

In realtà ambedue queste posizioni sono basate su congetture che non hanno solide basi scientifiche. In particolare, non c’è dubbio che il clima terrestre abbia subito fortissime fluttuazioni a seguito delle glaciazioni periodiche, ma non dobbiamo dimenticare che quella che noi chiamiamo “Umanità” ha una storia molto recente rispetto a quella del pianeta Terra.

Gli unici dati a cui possiamo fare riferimento sono quelli dell’ultima glaciazione (che raggiunse il suo picco circa 20.000 anni fa e terminò circa 12.000 anni fa), periodo nel quale si stima che la popolazione mondiale fosse inferiore al milione di abitanti. L’ultimo massimo glaciale provocò una riduzione della popolazione preistorica dell’Europa (che era costituita da raccoglitori/cacciatori) pari a circa il 60%. Oggi siamo 8 miliardi (10 miliardi tra pochi anni). Pensare di produrre tutto il cibo che serve per la popolazione mondiale nel caso in cui crollasse la produttività di gran parte degli attuali terreni agricoli è un problema da far tremare i polsi anche al più inguaribile degli ottimisti.

Chi sostiene che – anche senza fare nulla – la Terra troverà comunque un suo nuovo equilibrio dimentica di specificare a quanto potrebbe scendere la popolazione mondiale nell’ambito di questo nuovo scenario. I cultori del laissez faire spesso evitano accuratamente di spiegarci quanto sarà “accettabile” il nuovo equilibrio da loro pronosticato. Problema non banale, a meno di non illudersi che riguardi esclusivamente gli “altri“.

D’altra parte, dare per scontato che la Terra si trasformi in un enorme grande deserto è qualcosa che non può essere giustificato sulla base dei modelli climatici disponibili. Talvolta sento parlare addirittura di una “soglia di non-ritorno” ovvero di un livello delle temperature che, una volta superato, innescherebbe un ulteriore fenomeno di crescita esponenziale, tale da portare appunto ad una estesa desertificazione del nostro pianeta. Questo discorso – oltre ad essere non giustificato dal punto di vista scientifico – rischia di togliere credibilità ai veri difensori dell’ambiente e del clima. Si rischia infatti di innescare un allarme del tipo “al lupo, al lupo” che alla fine porterebbe acqua al mulino dei negazionisti.

Certamente – man mano che la temperatura globale crescerà – aumenterà la carenza d’acqua dolce (che già oggi è un bene prezioso in molti Paesi) e sarà necessario attuare una profonda rimodulazione dei sistemi agricoli. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che – accanto ai sistemi di agricoltura e di allevamento tradizionali – stanno nascendo tecnologie alternative per la produzione del cibo che qualcuno oggi demonizza, ma che, in futuro, potrebbero giocare un ruolo importante per assicurare risorse alimentari adeguate per l’Umanità.

In conclusione, i prossimi decenni “non saranno una passeggiata“, ma – a mio avviso – non dobbiamo neppure dare spazio alle posizioni puramente catastrofiste. Di fronte ad un aumento delle temperature che c’è già stato e che potrà raggiungere livelli ancora più elevati, il pianeta Terra potrà raggiungere un nuovo equilibrio “accettabile” solo se riusciremo ad attuare – ciascuno per la sua parte di responsabilità – una opportuna combinazione di azioni di mitigazione del riscaldamento globale (riduzione delle emissioni di CO2) e di adattamento del territorio e del nostro stile di vita alle nuove condizioni climatiche.

Ciascuno può dare il suo contributo, senza aspettare che siano gli altri a risolvere i problemi. Solo una coscienza collettiva ed un approccio condiviso alle soluzioni possono consentirci di affrontare il futuro con una speranza sensata.

Augurandoci che, di fronte alle difficoltà, i cittadini non si illudano di trovare una facile via d’uscita facendosi abbindolare da quei movimenti politici che, per un pugno di voti, sono pronti a negare qualsiasi evidenza scientifica.

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