Il problema ancora irrisolto dell’immagazzinamento dell’idrogeno: il comunissimo bicarbonato di sodio potrebbe rappresentare una valida soluzione?

L’idrogeno – oltre ad essere un vettore energetico efficiente e pulito – potrebbe essere molto utile anche per l’accumulo a medio-lungo termine dell’energia. Purtroppo i metodi attuali di immagazzinamento dell’idrogeno presentano vari limiti, sia in termini di ingombro che di sicurezza. Da molto tempo si stanno studiando tecnologie alternative che prevedono la possibilità di immagazzinare l’idrogeno utilizzando sostanze solide o soluzioni acquose di determinati composti chimici. La rivista Green Chemistry ha recentemente pubblicato un articolo nel quale viene presentata una analisi dei diversi approcci che si possono seguire utilizzando soluzioni acquose del comunissimo bicarbonato di sodio integrato con un opportuno catalizzatore.

L’immagazzinamento dell’idrogeno è attualmente un problema tecnologico ancora lontano dall’aver trovato una soluzione ottimale. Il sistema più comunemente utilizzato è quello di comprimere il gas alla pressione di alcune centinaia di atmosfere. A tal fine, si utilizzano pesanti ed ingombranti bombole che richiedono l’adozione di particolari precauzioni per minimizzare il pericolo di scoppio.

La soluzione più efficiente dal punto di vista del rapporto massa accumulata/volume è senz’altro quella di liquefare l’idrogeno. Tuttavia la bassa temperatura di ebollizione dell’idrogeno liquido alla pressione atmosferica (-252,8 °C) impone l’utilizzo di complessi e costosi sistemi criogenici che comportano anche un elevato consumo energetico.

Da molti anni la ricerca sull’idrogeno si è concentrata sulla messa a punto di “spugne” in grado di assorbirlo efficacemente e di rilasciarlo in modo altrettanto semplice. Sono state proposte molte soluzioni, ma nessuna – almeno fino ad oggi – si è dimostrata veramente competitiva.

Ad oggi, la maggior parte dei sistemi di immagazzinamento dell’idrogeno fa ancora uso delle tradizionali bombole. Questo limita l’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico nei mezzi di trasporto “leggeri” (non a caso l’idrogeno viene proposto per alimentare autobus e camion, mentre l’applicazione alle auto è stata fin qui limitata ad alcuni prototipi di dimensioni relativamente grandi).

L’immagazzinamento non ottimale dell’idrogeno ha un riflesso anche su un altro settore industriale di grande rilievo, quello legato alla conservazione dell’energia per periodi medio-lunghi. Il crescente utilizzo di sorgenti energetiche rinnovabili richiede la disponibilità di adeguati sistemi di accumulo energetico in grado di tamponare i “buchi” produttivi che si possono generare durante lunghi periodi di assenza di sole e vento. Tali sistemi devono assorbire l’energia in eccesso che si rende disponibile durante i momenti di massima produzione, rilasciandola nei momenti di calo produttivo.

Le batterie elettriche possono aiutarci a garantire la stabilità delle forniture su breve periodo (tipicamente nell’arco delle 14 ore e fino ad un massimo di alcuni giorni), ma non sono adatte per soddisfare le esigenze di medio-lungo periodo (sulla scala di settimane-mesi). Una soluzione alternativa è costituita dagli impianti idroelettrici di pompaggio/turbinaggio, ma tali impianti hanno bisogno di ampi bacini lacustri separati da un forte dislivello. Non tutte le attuali centrali idroelettriche sono adatte a tale scopo e comunque la loro trasformazione in impianti di accumulo energetico di medio-lungo periodo richiede interventi costosi e – talvolta – ambientalmente complessi.

L’idrogeno potrebbe rappresentare una soluzione alternativa per la conservazione dell’energia sul medio-lungo periodo, purché – ovviamente – si trovi un metodo economico e veramente efficace per immagazzinarlo.

L’articolo che vi segnalo presenta una rassegna del lavoro di ricerca svolto fino ad oggi utilizzando soluzioni acquose del comunissimo bicarbonato di sodio (o di altri composti simili) che possono assorbire/rilasciare idrogeno grazie alla trasformazione tra bicarbonato (NaHCO3) e formiato di sodio (NaHCO2).

Tale approccio è stato oggetto di numerosi studi nel corso degli ultimi anni. La novità principale di questo nuovo articolo è la dimostrazione che tale metodo non è lontano dal raggiungere una reale competitività economica quando si progettano impianti industriali di dimensione medio-grande. Un elemento importante da sottolineare è quello della sicurezza perché l’utilizzo di soluzioni acquose riduce drasticamente i pericoli di incendio (a differenza di quanto accade per approcci alternativi che prevedono l’utilizzo di molecole organiche sciolte in alcol etilico).

Schema di principio per un impianto industriale basato sul ciclo bicarbonato/formiato. La figura è stata tratta dall’articolo citato

Senza entrare nei dettagli del processo (i lettori interessati possono accedere all’articolo che è disponibile in formato aperto al pubblico), quello che mi preme segnalare è il ruolo del catalizzatore che si deve aggiungere alla soluzione di bicarbonato per poter realizzare un efficiente sistema di accumulo/rilascio dell’idrogeno. Attualmente si usano catalizzatori che contengono platino, un composto che influisce significativamente sui costi di produzione. C’è quindi ancora del lavoro da fare, sia per individuare catalizzatori più economici, sia per migliorare ulteriormente le capacità di immagazzinamento. Attualmente l’idrogeno che si riesce ad immagazzinare è – a parità di volume – poco meno di 1/3 rispetto a quello che si ottiene liquefacendo l’idrogeno (circa 20 kg di idrogeno per m3, contro i 70 kg dell’idrogeno liquido).

In altre parole, l’opzione basata sulle soluzioni acquose di bicarbonato di sodio (o di altri composti simili) è certamente molto interessante, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento.

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