Il Ministero dell’ambiente ha trasmesso alla Commissione Europea la sua proposta di aggiornamento del PNIEC 2030, il piano che descrive gli impegni assunti dal nostro Paese per concorrere ad un significativo abbattimento delle emissioni di CO2 entro l’anno 2030. Il documento costituisce un aggiornamento rispetto alla precedente versione approvata nel 2019 e sarà oggetto di una trattativa con Bruxelles che dovrebbe durare circa 1 anno. Al momento la proposta di aggiornamento del documento è nota solo agli “addetti ai lavori“, ma conosciamo alcune anticipazioni che sono state diffuse tramite i comunicati stampa ministeriali.
Il Piano nazionale integrato energia e clima è un importante documento di programmazione che ciascuno Stato europeo elabora per descrivere i provvedimenti che intende adottare per ottenere, da qui al 2030, una sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra garantendo, nel contempo, una adeguata disponibilità di energia. Il documento originale è stato approvato nel dicembre 2019 e alla fine dello scorso mese di giugno è partita la procedura per l’aggiornamento periodico del piano. Si prevede che le proposte di aggiornamento elaborate dagli Stati europei saranno discusse ed approvate entro la fine del 2024.
L’aggiornamento di quest’anno è particolarmente importante perché interviene dopo due avvenimenti assolutamente non previsti (pandemia ed invasione russa dell’Ucraina) che hanno pesantemente influenzato l’andamento economico ed energetico del vecchio continente durante gli ultimi anni.
La pandemia è stata una sorta di “punto di svolta” perché ha evidenziato le criticità associate al processo di globalizzazione esasperata dell’economia mondiale. Benché la pandemia sia terminata da molti mesi, l’Europa non è ancora riuscita a ricostituire una efficace catena di rifornimento per alcuni dispositivi elettronici e per altri materiali provenienti dalla Cina e da altri fornitori mondiali. L’idea di delocalizzare qualsiasi produzione alla ricerca del costo del lavoro più basso (o di minori vincoli legati alla tutela dell’ambiente) ha mostrato tutti i suoi limiti, ma ci vorrà tempo prima che l’Europa si riappropri di talune capacità produttive strategiche a cui aveva inopportunamente rinunciato. Lo sviluppo futuro delle energie rinnovabili potrebbe soffrire a causa di tali limiti, ma proprio per questo sarebbe importante avviare coraggiosi programmi di ricerca e sviluppo atti a ridurre la nostra dipendenza tecnologica dalla importazioni di materiali e tecnologie strategiche provenienti dall’estero.
Essere stati costretti – nostro malgrado – a rinunciare all’abbondante flusso di gas naturale proveniente dalla Russia ci impone di riconsiderare la distribuzione delle nostre fonti energetiche. I combustibili fossili, oltre a produrre seri danni dal punto di vista ambientale e climatico, provengono in gran parte da aree geografiche potenzialmente molto instabili. Sostituire i combustibili fossili con energie rinnovabili non ha solo un effetto positivo su ambiente e clima, ma rende il nostro Paese meno sensibile a problemi di natura geo-politica.
Ci ricordiamo tutti quando una anno fa temevamo di dover passare l’inverno 2022-23 al freddo e si ipotizzava addirittura di dover sospendere molte attività industriali per risparmiare energia. Poi un inverno particolarmente mite, combinato con alcune modeste misure di risparmio energetico e con l’identificazione di alcuni fornitori alternativi ci ha permesso di disporre dell’energia necessaria, anche se tutti abbiamo pagato un prezzo assai pesante legato al forte aumento dell’inflazione.
Nel corso dell’ultimo biennio l’inflazione ha eroso circa il 15% del potere d’acquisto degli italiani, ma paradossalmente ha posto le condizioni per un uso più esteso delle energie rinnovabili, riducendo ed – in alcuni casi – azzerando il gap di prezzo esistente tra energie rinnovabili ed energie di origine fossile.
Il documento che il Ministero dell’Ambiente ha mandato a Bruxelles pochi giorni fa avrebbe potuto cogliere l’occasione per rilanciare con coraggio gli investimenti legati allo sviluppo delle energie rinnovabili. In realtà – almeno sulla base di quanto sappiamo dagli scarni comunicati stampa – non sembra che l’approccio sia stato particolarmente innovativo.
Il documento pone molta enfasi sulla riduzione delle emissioni che si potrebbe ottenere incentivando l’uso dei mezzi pubblici. Peccato che questa proposta si scontri con la realtà di un Paese dove i mezzi pubblici (soprattutto quando parliamo di trasporto locale) sono pochi e scarsamente efficienti. Le carenze dei sistemi di trasporto pubblico in città come Roma o in molte Regioni del Sud del Paese sono cosa nota, ma anche il “profondo Nord” non se la passa troppo bene. Proprio in questi giorni è giunta la notizia che in Trentino c’è stata una riduzione delle corse di autobus legata alla carenza di autisti, per non parlare della quasi-chiusura della linea ferroviaria della Valsugana a causa di problemi tecnici di cui non si riesce a venire a capo. Pensare di convincere gli Italiani ad abbandonare l’auto privata per utilizzare i mezzi pubblici sarebbe una battaglia di rilevante importanza. Ma non basta auspicare che si usino maggiormente i mezzi pubblici. Bisogna offrire servizi adeguati e per farlo bisogna trovare le risorse per effettuare ingenti investimenti. Riusciremo a trovare i fondi necessari oppure qualcuno preferirà mantenere lo status quo per evitare che un miglioramento dei trasporti pubblici possa danneggiare i produttori di auto?
Il PNIEC prevede di aumentare la dotazione di centrali fotovoltaiche e di impianti eolici, ma i numeri annunciati, per quanto importanti, sembrano essere molto al di sotto delle effettive potenzialità. In particolare, c’è – a mio avviso – una incidenza ancora troppo bassa dei cosiddetti impianti offshore (impianti costruiti in mare ad una adeguata distanza dalla costa) che per un Paese circondato dal mare come l’Italia potrebbero rappresentare una fonte energetica molto interessante.
Tra gli altri aspetti del documento vorrei soffermarmi sul tema dell’idrogeno. Il PNIEC aggiornato propone di utilizzare idrogeno “verde“ per sostituire poco meno della metà dell’idrogeno di origine fossile che attualmente viene utilizzato a livello industriale. Questo significa però che non viene considerato un adeguato sviluppo dell’utilizzo dell’idrogeno verde per trazione, specialmente per i mezzi pesanti (TIR) ed i treni che circolano su linee ferroviarie non elettrificate.
Pensiamo ad esempio al sostanziale miglioramento della qualità dell’aria della Valle dell’Adige se una parte sostanziale dei TIR che scorrono quotidianamente lungo l’A22 – invece di usare motori diesel – fosse dotata di motori elettrici alimentati da idrogeno e celle a combustibile. Se puntassimo decisamente verso i nuovi sistemi di trazione pesante ad idrogeno – oltre a ridurre le emissioni di CO2 – si otterrebbero sensibili vantaggi ambientali, soprattutto per le grandi vie di valico alpino. Su un tema come questo l’Europa potrebbe essere molto sensibile e potrebbe mettere a disposizione importanti finanziamenti. Peccato che – almeno per quanto appreso dalle anticipazioni di stampa – la versione aggiornata del PNIEC non ponga particolare enfasi su tali aspetti.
Mi pare che nel documento manchi anche qualsiasi accenno alle possibilità di un maggiore sfruttamento delle risorse geotermiche. Non mi riferisco agli impianti tipo “Lardarello” che sono oggettivamente vicini al limite delle loro potenzialità, ma non trovo un approccio sistematico verso l’utilizzo di impianti geotermici sia a bassa profondità (in combinazione con pompe di calore) sia a profondità maggiori.
Sono tecnologie non prive di problemi sia per il potenziale inquinamento della falde acquifere, sia per la possibilità di innescare fenomeni sismici nel caso in cui le acque estratte a grande profondità non siano adeguatamente reimmesse nel terreno. Nessuna fonte energetica è priva di controindicazioni, ma – analogamente a quanto si sta facendo in altri Paesi – un approccio coordinato e controllato alle fonti geotermiche potrebbe rivelarsi molto interessante. Temo – ma questo è solo un mio pensiero malizioso – che tali tecnologie non abbiano sponsor “di peso” e che quindi abbiano trovato poco spazio nel PNIEC aggiornato (ma mi riservo di esprimere un giudizio più esaustivo quando avrò letto il documento completo).
Concludo con un avviso per i miei concittadini trentini che forse sono preoccupati dal fatto che la Regione Veneto abbia avviato la progettazione di una nuova diga al confine con la Provincia Autonoma di Trento senza fare alcun tipo di concertazione con i territori trentini interessati dal nuovo bacino (diga del Vanoi). Nel documento ministeriale c’è un passaggio che mi ha fatto “drizzare le antenne“.
In particolare si ricorda che l’Italia è riuscita a concludere entro il termine di 5 mesi l’iter autorizzativo per l’installazione di 2 nuovi impianti di rigassificazione del gas naturale destinati a garantire al Paese un flusso stabile di metano, tale da compensare il crollo delle forniture provenienti dalla Russia. Nello stesso documento si accenna all’importanza di attivare nuove invasi idrici da utilizzare sia come riserva d’acqua per prevenire i danni delle possibili future siccità, sia per aumentare la produzione di energia elettrica.
Sappiamo che l’iter da seguire per approvare la costruzione di un nuovo impianto è estremamente complicato, anche a causa della frammentazione dei poteri tra le diverse autorità nazionali e regionali. Secondo anticipazioni di stampa, la bozza aggiornata del PNIEC fa riferimento esplicito alla procedura accelerata adottata per l’installazione dei nuovi rigassificatori proponendo di adottare analoghe procedure anche per i nuovi invasi idrici. “A pensar male si fa peccato“, ma vuoi vedere che il nostro vicino Zaia non stia pensando proprio ad una procedura di questo tipo per costruire la sua nuova diga sul Vanoi?
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