Da un po’ di tempo assistiamo ad un forte aumento dei prezzi. Abbiamo cominciato con l’inflazione legata alla ripresa dell’economia dopo le chiusure dovute alla pandemia. Superata questa fase c’è stata l’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente crisi che ha fatto schizzare alle stelle i costi energetici e – a cascata – ha provocato una violenta inflazione. Oggi i costi energetici sono rientrati entro livelli accettabili, ma quando andiamo a fare la spesa al supermercato non c’è traccia di una riduzione (o almeno di una stabilizzazione) dei prezzi. Recentemente ho sentito vari esponenti economici parlare di una inflazione “climatica“. La sensazione è che tutte le scuse siano buone per spennare i consumatori.
Nell’affannosa ricerca di nuove motivazioni per giustificare il continuo aumento dei prezzi, l’ultima novità riguarda la cosiddetta inflazione “climatica“.
L’inflazione italiana (misurata rispetto agli ultimi 12 mesi) è stata pari al 10% nel mese di gennaio 2023, valore sceso al 6,5% nel mese di giugno 2023. Il dato preliminare riferito al mese di luglio 2023 si attesta intorno al 6%. Parliamo di valori ancora molto lontani rispetto al livello “ideale” del 2% che costituisce l’obiettivo della BCE.
Da sempre i prezzi agricoli sono legati al livello della produzione che ovviamente dipende dall’andamento climatico. Tuttavia pensare di giustificare l’attuale andamento dell’inflazione in Italia dando la colpa principale al clima sembra veramente una ipotesi azzardata. In realtà – come ammettono sia pure con una certa reticenza anche talune fonti confindustriali – l’inflazione italiana è trainata da una forte componente speculativa. Chi può alza prezzi e listini, anche se ormai i prezzi energetici sono rientrati entro livelli accettabili e non c’è più la carenza di materie prime e prodotti semi-lavorati che aveva caratterizzato la parte finale della pandemia di Covid-19.
Se andiamo ad analizzare le componenti del processo inflattivo, si vede, ad esempio, che c’è un forte contributo legato ai cosiddetti “servizi“, ovvero ad attività che non scontano aumenti di prezzi particolarmente rilevanti a causa dei danni che il clima può aver provocato alle produzioni agricole.
Non casualmente – considerata la forte attenzione dell’opinione pubblica rispetto ai temi climatici – qualcuno ha pensato di inventare il termine inflazione “climatica“. L’argomento è di massima attualità e – a livello di comunicazione – l’idea può funzionare.
Se non agiremo presto e bene, il riscaldamento globale potrà generare severi problemi anche dal punto di vista economico, ma attribuire l’attuale inflazione ad una origine di tipo puramente “climatico” è – a mio avviso – solo una furbata.
Lascia un commento