Alcuni recenti articoli apparsi su Il Sole 24 Ore e sul Corriere della Sera fanno il punto sullo stato delle miniere italiane e sui piani che sono attualmente in fase di sviluppo per riattivare l’estrazione di alcuni materiali di particolare rilevanza strategica per la transizione energetica. Tali iniziative saranno inserite nell’ambito dell’European Critical Raw Materials Act che ha individuato un elenco di 34 materiali che sono particolarmente critici per il futuro dell’economia europea. L’obiettivo è quello di aumentare l’estrazione di tali materiali sul territorio europeo arrivando a coprire almeno il 10% del fabbisogno (dato da confrontare con il valore attuale che è pari a circa il 3%). Contemporaneamente l’Europa intende ampliare la sua capacità di raffinazione dei minerali in modo da coprire il 40% del fabbisogno e potenziare gli impianti di riciclo in modo da coprire almeno un ulteriore 15% dei consumi. Si tratta di un progetto molto ambizioso tenuto conto della situazione attuale e del pesante costo ambientale che i nuovi impianti potrebbero comportare. D’altra parte non possiamo continuare ad affidarci quasi esclusivamente alle importazioni provenienti dalla Cina (ma anche da altri Paesi come ad esempio la Turchia che fornisce il 99% del boro utilizzato a livello europeo).
Pur non essendo particolarmente ricco di risorse naturali, il nostro Paese ha storicamente ospitato una fitta rete di attività estrattive. Oggi – come si vede dalla mappa elaborata dal Ministero delle imprese – la gran parte delle miniere presenti in Italia è stata chiusa.
Attualmente in Italia risultano attive solo 2 miniere di fluorite e 20 miniere di feldspato, ben poca cosa rispetto ai nuovi obiettivi europei. Le potenzialità non mancano e – grazie alle nuove tecnologie – potrebbero diventare interessanti anche gli ingenti depositi di scarti minerari accumulati in alcune zone minerarie (nella sola Sardegna si stima che esistano 70 milioni di metri cubi di residui di estrazione che potrebbero essere rilavorati, estraendo metalli di un certo valore).
Spesso le attività di estrazione e di raffinazione hanno un pesante impatto dal punto di vista ambientale. In alcuni casi le potenziali miniere sono localizzate all’interno di parchi naturali o in pregiate aree a vocazione turistica (pensate ad esempio all’Isola d’Elba, zona di antiche miniere). Non è semplice pensare di riattivare vecchie miniere o di aprirne di nuove in queste località.
Alla fine del secolo scorso si è scelto di chiudere quasi tutte le attività di estrazione e raffinazione di metalli presenti in Italia, preferendo importare prodotti raffinati dalla Cina e da altri Paesi dove il basso costo della manodopera e la ridotta tutela dell’ambiente consentivano di ottenere costi di produzione decisamente inferiori rispetto a quelli italiani.
A lungo andare questo atteggiamento ha portato l’Italia (e più in generale l’Europa) a dipendere quasi integralmente dalle importazioni per la fornitura di numerosi materiali strategici. L’esperienza del gas naturale russo ci ha insegnato che l’eccessiva dipendenza dalle importazioni espone a ricatti di natura geo-politica. Ben venga quindi la nuova iniziativa per potenziare la produzione europea di metalli ed altri materiali strategici anche se non ci possiamo illudere di fare miracoli. Aprire una nuova miniera o un impianto di raffinazione comporta tempi tecnici lunghi ed investimenti cospicui, soprattutto se si vuole garantire che le nuove attività abbiano un ridotto impatto ambientale.
Un altro settore particolarmente interessante è quello del riciclo. Non è un mistero – ad esempio – che i rottami di dispositivi elettronici che conferiamo ai Centri di recupero dei materiali siano ricchi di metalli e di altri materiali pregiati. Oggi le attività italiane di riciclo del litio e di altri metalli impiegati dall’industria elettronica non sono ancora abbastanza sviluppate, ma si potrebbe realisticamente puntare ad un loro rapido potenziamento.
Un ultimo commento riguarda gli spazi di ricerca che si aprono nella prospettiva di una maggiore autonomia dell’Europa nella produzione di metalli ed altri materiali strategici. Molti degli attuali processi industriali utilizzati per la raffinazione ed il riciclo dei materiali strategici possono subire sostanziali miglioramenti sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale, così come ci sono ampi margini di miglioramento nella progettazione di nuovi prodotti (pensiamo ad esempio alle batterie al litio) in modo da rendere più efficace il loro processo di riutilizzo e di riciclo finale.
In conclusione, l’attuazione dell’European Critical Raw Materials Act pone molti problemi, ma apre anche interessanti opportunità per le imprese italiane. Sarà comunque fondamentale che il Governo accompagni queste iniziative con investimenti consistenti e ben mirati (il miliardo di Euro di cui parla il Ministro Urso sono ben poca cosa rispetto alle effettive necessità), garantendo nel contempo che le nuove iniziative rispettino rigorosi parametri dal punto di vista ambientale.
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