Polemiche ferragostane: perché la benzina costa così tanto?

Puntuale come il solleone, a Ferragosto arriva la polemica sull’aumento del prezzo della benzina. Il premier Meloni che quando se ne stava all’opposizione prometteva di eliminare le accise sulla benzina, una volta arrivata al Governo ci ha fatto sapere tramite il suo fido Ministro Adolfo Urso che “le tasse sulla benzina servono per raccogliere fondi per le famiglie italiane“. Peccato che siano le stesse famiglie che si svenano per fare il pieno alla loro automobile. Ma come stanno davvero le cose?

La polemica sull’aumento del prezzo della benzina è una costante del periodo ferragostano. Nel momento in cui milioni di italiani si spostano per le vacanze c’è un picco dei consumi di carburante, compensato solo in parte dal calo del traffico di natura commerciale. Fatalmente si registrano aumenti del prezzo pagato alle pompe di benzina e puntuali partono le polemiche.

Il Ministro Alfredo Urso se l’è presa con i benzinai, accusati di lucrare sulle spalle dei poveri automobilisti e ha promesso di “metterli in riga” costringendoli ad esporre il prezzo medio praticato a livello nazionale. Il provvedimento si è rivelato un vero e proprio flop, innescando addirittura un aumento dei prezzi nei distributori che si collocavano sotto alla media (e contribuendo così a far aumentare ulteriormente la media dei prezzi praticati).

Per cercare di capire come stanno effettivamente le cose conviene andare all’origine di tutto, ovvero al prezzo pagato a livello internazionale per acquistare il petrolio greggio. Come riferimento ho scelto il cosiddetto “Brent” che è la quotazione del petrolio estratto nel Mare del Nord. Il petrolio proveniente da altri giacimenti ha un prezzo leggermente differente a causa della diversa composizione, ma l’andamento generale dei prezzi è comunque simile.

Andamento del prezzo del petrolio greggio di tipo “Brent” espresso in US$/barile dall’inizio del 2022 fino ad oggi. (Crediti: Il Sole 24 Ore)

Siccome siamo in Europa, bisogna tener conto del fatto che il prezzo reale espresso in Euro dipende anche dall’andamento del cambio tra Euro e US$. Ecco come è variato il cambio nel corso dell’ultimo anno:

Andamento del cambio tra Euro e Dollaro americano nel corso dell’ultimo anno. Notiamo che nell’arco degli ultimi 12 mesi l’Euro si è rivalutato di circa il 10% rispetto al Dollaro.

Complessivamente osserviamo che nella primavera-estate 2022 il petrolio aveva raggiunto quotazioni intorno a 120 dollari al barile, con un cambio Euro/US$ pari a circa 1. Nel corso del 2023 l’Euro si è progressivamente rivalutato nei confronti del dollaro americano mentre il prezzo del greggio è oscillato intorno a circa 80 US$/barile.

L’effetto delle oscillazioni di prezzo sul costo finale dei carburanti può essere valutato considerando che da un barile di petrolio si estraggono complessivamente circa 120 litri tra benzina, gasolio e cherosene. Al cambio attuale, una variazione di 10 US$ del prezzo del greggio ha un impatto pari a circa 7,5 centesimi di Euro/litro sul prezzo del carburante (al netto delle imposte applicate dallo Stato).

Durante le ultime settimane c’è stato un certo incremento del prezzo del greggio, ma siamo ancora nell’ambito delle fluttuazioni osservate in corso d’anno. I prezzi attuali del greggio sono simili rispetto a quelli che c’erano all’inizio del 2023 e decisamente inferiori rispetto a quelli della scorsa estate.

Aldilà delle fisiologiche oscillazioni di mercato non c’è in atto una carenza di prodotto tale da sostenere aumenti particolarmente violenti. L’aumento del prezzo del greggio osservato durante le ultime settimane è stata attribuito all’annuncio di tagli della produzione OPEC. Tuttavia – secondo l’opinione di molti analisti – l’incerto andamento dell’economia cinese sta facendo scendere al ribasso le previsioni sui consumi globali di idrocarburi e questo dovrebbe produrre un effetto calmieratore sul prezzo futuro del greggio.

Possiamo quindi tranquillizzare chi si dice preoccupato attribuendo all’Arabia Saudita l’intenzione di far salire alle stelle il prezzo del greggio per recuperare i soldi spesi per comprare Ronaldo e – forse – anche l’ormai ex-allenatore della nazionale azzurra.

Il prezzo pagato al distributore comprende varie voci, tra cui – in particolare – quello che viene definito “margine di raffinazione” ovvero la differenza tra il prezzo del greggio ed il prezzo a cui vengono venduti i prodotti raffinati (principalmente benzina, gasolio e cherosene).

Questo costo è soggetto a forti fluttuazioni e recentemente è stato pesantemente influenzato dall’arrivo da India e Cina di prodotti raffinati ottenuti dal petrolio russo venduto sottocosto (quello stesso petrolio che i Paesi occidentali hanno smesso di importare direttamente). Tale situazione ha creato una forte concorrenza contribuendo a comprimere i margini di guadagno delle raffinerie presenti nel Mediterraneo.

I dati delle ultimissime settimane non sono ancora noti, ma nel mese di luglio i margini di raffinazione nel Mediterraneo (indice EMC reference margin) erano pari a 9,6 US$/barile (valore medio mensile). Nell’ultimo trimestre del 2022 erano pari a circa 13 US$/barile, mentre sono scesi mediamente a 10 US$/barile nel primo trimestre 2023, raggiungendo un minimo di circa 4 US$/barile nel secondo trimestre 2023.

Andamento settimanale del margine di raffinazione medio delle raffinerie localizzate nel Mediterraneo (indice EMC reference margin) durante i primi 7 mesi del 2023. I valori sono espressi in US$/barile (crediti: tratto da saras.it)

Come abbiamo visto precedentemente, nel secondo trimestre 2023 i margini di raffinazione nel Mediterraneo sono stati particolarmente bassi (circa 4 US$/barile come valore medio) toccando un minimo prossimo allo zero alla fine del mese di aprile. Da allora è in atto una risalita fino ad arrivare al valore medio mensile di 9,6 US$/barile registrato nel mese di luglio.

La controprova di questo andamento è rappresentata dai dati del bilancio di SARAS riferiti al primo semestre 2023. SARAS (gruppo Moratti) è una grande società basata in Italia che si occupa della raffinazione del petrolio. Durante il secondo trimestre 2023 – quando i margini di raffinazione erano particolarmente bassi – il bilancio di SARAS è stato molto deludente ed ha mostrato una fortissima contrazione degli utili rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Secondo il Ministro Urso, sempre alla ricerca di un colpevole, il recupero dei margini di raffinazione registrato da inizio luglio in poi sarebbe stato “eccessivo“, ma – almeno fino a fine luglio – l’accusa del Ministro non sembra essere veramente fondata. Bisognerà attendere i dati sui margini di raffinazione del mese di agosto per poter capire quale sia stato il comportamento delle aziende raffinatrici durante le settimane intorno a Ferragosto.

In attesa che siano pubblicate tali informazioni, possiamo comunque osservare l’andamento del costo industriale complessivo dei carburanti (costo che comprende al suo interno anche i margini di raffinazione ed è calcolato al netto delle imposte). Questo dato è pubblicato settimanalmente dal Ministero presieduto dall’On. Urso:

Andamento del prezzo medio settimanale della benzina e del gasolio per autotrazione (dato espresso in Euro per 1.000 litri di carburante) al netto delle imposte dal 1 gennaio 2022 fino ad oggi (crediti: Ministero dell’Industria e del Made in Italy)

Il grafico mostra che dal momento dell’invasione russa dell’Ucraina e fino a circa metà 2023 il gasolio per autotrazione è stato caratterizzato da un prezzo industriale particolarmente elevato, decisamente superiore rispetto a quello della benzina. Si tratta di un effetto temporaneo legato al venir meno delle forti importazioni di gasolio proveniente dalle raffinerie russe. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha prima rallentato e poi bloccato completamente questo flusso di carburante. La situazione è rimasta piuttosto critica fino a che il gasolio russo non è stato rimpiazzato dal gasolio proveniente da raffinerie indiane e cinesi (alimentate dal greggio russo!) e dalle raffinerie nazionali che si sono riorganizzate per aumentare la produzione di gasolio. Da maggio 2023 in poi i prezzi industriali di gasolio per autotrazione e benzina si sono riallineati.

Aldilà di questo effetto transitorio, osserviamo che a metà maggio 2023 sia la benzina che il gasolio hanno toccato il loro minimo annuale, in coincidenza con il crollo dei margini di raffinazione discusso precedentemente. Attualmente il prezzo industriale dei carburanti è in risalita, mostrando un andamento coerente con l’incremento del prezzo del greggio avvenuto nel corso delle ultime settimane.

Riassumendo, l’idea del “cartello dei prezzi medi” non si è rivelata particolarmente efficace ed, in alcuni casi, potrebbe aver spinto il margine di distribuzione verso l’alto. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il margine tipico dei distributori può variare tra 3 e 6 centesimi di Euro al litro (in modalità self-service). Se anche tutti i distributori avessero deciso di applicare il livello più alto, da soli non potrebbero aver influito più di tanto sul prezzo finale del carburante.

Per quanto riguarda i margini di raffinazione, c’è stato un secondo trimestre 2023 caratterizzato da livelli particolarmente bassi, insostenibili nel lungo periodo perché avrebbero determinato la chiusura di molte raffinerie. A luglio i margini sono cresciuti riportandosi su valori medi vicini a quelli del primo trimestre 2023. Quando avremo i dati relativi al mese di agosto potremo dire qualcosa di certo sul ruolo svolto dalle industrie raffinatrici nel corso delle ultime settimane.

La cosa importante è che malgrado gli aumenti delle ultime settimane il prezzo dei carburanti (al netto delle imposte) è ancora nettamente inferiore rispetto ai picchi speculativi del 2022.

Allora, perché la benzina costa così tanto? La risposta è molto semplice: la principale causa di aumento del prezzo dei carburanti è stata l’eliminazione – decisa dal Governo Meloni – del taglio parziale delle accise (30 centesimi di Euro al litro) che era stato introdotto all’inizio del 2022 dal Governo Draghi come misura provvisoria per attenuare gli effetti più critici della crisi energetica.

Passata la fase acuta della crisi, il Governo Meloni ha fatto due conti e si è reso conto che prolungare il taglio delle accise avrebbe creato una voragine nei conti pubblici. L’ineffabile Ministro Adolfo Urso ha riconosciuto che le accise italiane sono tornate ad essere tra le più alte d’Europa, spiegandoci che – contrariamente a quanto sosteneva Giorgia Meloni prima di diventare premier – non si possono tagliare perché i soldi delle accise “servono per le famiglie“.

Incidenza percentuale delle imposte (fetta rossa) confrontata con il prezzo industriale (somma del prezzo del greggio, dei costi di raffinazione e di distribuzione, rappresentato dalla fetta di colore blu) di benzina e gasolio. In Italia, meno della metà del prezzo finale è determinato dalla componente industriale: tutto il resto sono tasse. Dati relativi alla settimana di Ferragosto 2023, elaborati dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica

Tradotto dal “politichese“, a settembre il Governo dovrà mettere mano alla legge finanziaria 2024 e si prevede già un buco di almeno 20-30 miliardi di Euro (soldi che non ci sono, ma che serviranno per soddisfare almeno parzialmente alcune delle numerose promesse elettorali). Se tagliassero anche le tasse sulla benzina, l’Italia rischierebbe il fallimento.

La morale della favola è sempre la stessa: finché si fa opposizione è facile ammaliare gli elettori con promesse irrealizzabili, ma poi – davanti ai numeri di bilancio – chi governa deve far tornare i conti.

Le accise sui combustibili fossili sono una delle entrate principali dello Stato Italiano. A differenza delle imposte sui redditi delle persone fisiche che ormai colpiscono quasi esclusivamente lavoratori dipendenti e pensionati, le accise sui carburanti le pagano (quasi) tutti.

Se gli italiani fossero dei veri “patrioti” dovrebbero essere orgogliosi di pagare così tante tasse quando fanno il pieno alla loro auto.

A questo punto, mi aspetto che in una delle sue prossime esternazioni il premier Meloni additi come “nemici della Patria” coloro che, preoccupati per la qualità dell’ambiente e per il riscaldamento globale, cercano di usare la loro auto il meno possibile, riducendo al minimo il consumo di carburante.

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