Tra le tante voci che hanno accompagnato il riservatissimo viaggio del premier Meloni in Albania, ce n’è una che potrebbe avere una forte incidenza sul futuro energetico nazionale. Secondo alcuni si sarebbe discusso della possibilità che l’Italia finanzi lo sviluppo in Albania di una centrale nucleare collegata al territorio italiano tramite un elettrodotto sottomarino. Al momento si tratta solo di voci non confermate. Alcuni hanno fanno notare gli alti rischi connessi ad una simile operazione.
A molti è sembrato strano che – proprio durante il periodo ferragostano – il premier Meloni abbia scelto di andare in Albania dove ha trascorso alcuni giorni ospite del suo omologo albanese Edi Rama. Qualcuno ha interpretato il gesto come un tentativo di mostrarsi in sintonia con le centinaia di migliaia di italiani “diversamente agiati” che quest’anno – di fronte ai prezzi troppo elevati del Bel Paese – hanno optato per le vacanze low-cost sulla costa albanese.
Ma tra le tante voci che hanno accompagnato le giornate albanesi del premier Meloni ce n’è una molto insistente che parla di una trattativa avviata tra Italia ed Albania per dotare il Paese balcanico della sua prima centrale nucleare. L’iniziativa sarebbe interamente finanziata da aziende italiane che si impegnerebbero ad acquistare gran parte dell’energia elettrica prodotta dalla nuova centrale.
I “bene informati” parlano di una centrale da 1,5 GW che sarebbe collegata alla rete di distribuzione italiana tramite un elettrodotto sottomarino.
Al momento tutti i soggetti industriali potenzialmente coinvolti nel progetto mantengono la massima riservatezza e francamente non è ancora possibile capire se si tratti di una notizia fondata o se dovremo archiviarla tra le boutade agostane (assieme ai lanzichenecchi di Alain Elkann e alle prove letterarie di un generale che si vede come la reincarnazione di Giulio Cesare o forse di Giordano Bruno).
Sappiamo che i partiti attualmente al potere sostengono la reintroduzione dell’energia nucleare in Italia anche se – quando si va a vedere cosa promettono veramente – non sempre dimostrano di avere le idee chiare. Forse, consci del fatto che i tempi per la costruzione di una centrale nucleare in Italia rischierebbero di diventare “geologici“, hanno scelto l’Albania come una comoda soluzione che permetterebbe di superare in un sol colpo molti problemi.
Attualmente l’Italia importa quasi il 15% dei suoi consumi elettrici dall’estero e questa energia è prodotta principalmente da centrali nucleari poste non lontano dai confini nazionali (ad esempio, in Francia ed in Slovacchia). L’ENEL ha finanziato la costruzione di alcuni di questi impianti e – di fatto – li cogestisce assieme ai Paesi ospitanti. Da qui forse è nata l’idea di sviluppare un analogo progetto in Albania.
Alcuni, allarmati dalle voci che stanno circolando, hanno fatto notare che – proprio per la vicinanza tra Italia ed Albania – eventuali perdite radioattive che si verificassero nell’impianto albanese avrebbero una ricaduta quasi certa anche in Italia ed, in particolare, in Puglia. Il problema c’è, ma prima di sollevare un allarme indiscriminato è essenziale capire quale tipo di impianto sarà eventualmente costruito.
In questo momento è impossibile avanzare qualsiasi ipotesi sulle tecnologie nucleari che potrebbero essere installate in Albania. Ad esempio, nell’impianto slovacco co-finanziato da ENEL si usano ancora reattori di costruzione russa (i cosiddetti VVER), integrati con sistemi di sicurezza di produzione tedesca (Siemens) e francese (Areva). Anche le forniture di uranio utilizzate per alimentare l’impianto slovacco provengono dalla Russia (a meno di blocchi recenti legati a nuove sanzioni).
Va detto con chiarezza che l’Italia non ha in casa tecnologie sufficienti per costruire una centrale nucleare (non le aveva neppure prima del referendum del 1987 che abrogò l’utilizzo dell’energia nucleare: la centrale di Caorso, ultima installata in Italia, fu costruita acquistando tecnologie canadesi). Esattamente come è successo recentemente in Slovacchia, il ruolo dell’Italia in un eventuale centrale nucleare albanese sarebbe solo finanziario, ma di “made-in-Italy” – aldilà della retorica meloniana – ce ne sarebbe davvero poco.
Rimane la preoccupazione di affidarci ad un Paese straniero dotato di scarse competenze tecnologiche dove ci potrebbe essere una attenzione insufficiente rispetto al rigoroso rispetto delle norme di sicurezza. Inoltre l’Albania è caratterizzata da un preoccupante livello di sismicità, particolarità che non la rende un luogo ideale per ospitare una centrale nucleare.
Cosa poi faranno delle scorie radioattive gli albanesi non è dato sapere. Qualcuno potrebbe ritenere che valga l’antico detto “occhio non vede, cuore non duole“, ma sappiamo che con le scorie radioattive non si può scherzare (sia per motivi di sicurezza, sia per il loro possibile utilizzo per scopi militari).
Francamente se proprio il Governo volesse costruire una centrale nucleare (cosa che personalmente mi sento di sconsigliare fortemente se si parla di una centrale di seconda o terza generazione) mi sentirei comunque più sicuro se fosse costruita in Italia, soggetta ai vincoli di sicurezza dettati dalle norme europee. Forse sarebbe anche la volta buona per decidere dove vada installato il deposito nazionale per le scorie radioattive che, dopo tanti anni, attende ancora di ricevere una collocazione definitiva.
Quella dell’Albania – se confermata – rischia di essere una costosa scorciatoia che potrebbe produrre più danni che benefici.
Lascia un commento