Quando si parla di energia nucleare come alternativa ai combustibili fossili il pensiero va subito ai possibili disastri causati dagli impianti nucleari. L’argomento è tornato di grande attualità in questi giorni dopo che il Giappone ha annunciato l’avvio delle operazioni di scarico in mare delle acque radioattive che sono state accumulate nei pressi dell’impianto di Fukushima a seguito dell’incidente nucleare accaduto 12 anni fa. Vediamo come stanno le cose.
Le notizie arrivate dal Giappone hanno sollevato numerose preoccupazioni e le veementi proteste di alcuni Paesi asiatici. Si teme che lo scarico delle acque radioattive possa contaminare una vasta area dell’Oceano Pacifico rendendo potenzialmente pericolosi i prodotti ittici provenienti dai mari che circondano il Giappone.
Per capire come stanno effettivamente le cose, partiamo dai numeri che caratterizzano il problema:
- L’acqua di raffreddamento accumulata nel corso degli ultimi 12 anni in prossimità dell’impianto di Fukushima è stato filtrata per rimuovere la maggior parte dei radioisotopi presenti. Tale operazione ha consentito di portare ad un livello del tutto trascurabile quasi tutti gli inquinanti radioattivi con l’eccezione del trizio (3H), radioisotopo dell’idrogeno con massa pari a 3 unità atomiche e una vita media pari a circa 12 anni. Il trizio decade β– producendo 3He.
- In natura il trizio esiste perché è costantemente formato dal bombardamento dei raggi cosmici che colpiscono gli strati esterni dell’atmosfera. Da qui il trizio finisce nelle acque piovane e, alla fine, in mare. Il suo livello naturale è pari a circa 0,1 Bq/l (si legge Becquerel per litro). A questo si aggiunge il contributo legato al rilascio di acque debolmente radioattive provenienti da impianti nucleari oltre al “ricordo” delle emissioni radioattive generate negli anni ’50 del secolo scorso dalle esplosioni nucleari fatte nell’atmosfera. In pratica il livello complessivo di trizio presente nell’acqua marina può andare dal livello naturale fino ad alcuni Bq/l, livello che si trova spesso in prossimità degli scarichi delle acque di raffreddamento di impianti nucleari. I livelli più elevati si trovano nell’Oceano Artico a causa delle numerose esplosioni a cielo aperto fatte a suo tempo dall’Unione Sovietica.
- Dal punto di vista biologico il trizio non è un radioisotopo particolarmente pericoloso, a meno che non sia ingerito in grandi quantità. A differenza di altri radioisotopi, il trizio – se ingerito – non si fissa all’interno dell’organismo, ma viene espulso in un tempo pari mediamente a circa 10 giorni. Solo una dieta particolarmente ricca di trizio potrebbe arrecare danni alla salute. In Italia, il livello massimo di trizio ammesso nell’acqua potabile è pari a 100 Bq/l.
- La concentrazione media di trizio nelle acque raccolte nella centrale di Fukushima è dell’ordine di 1 MBq/l (milione di Bq/l). Complessivamente le acque di Fukushima contengono una quantità di trizio corrispondente a poco meno 1 PBq (si legge peta Becquerel ed è uguale a 1015 Bq). L’Oceano Pacifico contiene complessivamente isotopi radioattivi per un ammontare pari a circa 8 milioni di PBq, dovuti principalmente alla presenza (naturale) di 40K (isotopo 40 del potassio).
- Ricordo infine che tutti i prodotti naturali contengono elementi radioattivi. Ad esempio i cibi contengono 14C (isotopo 14 del carbonio) dovuto all’azione dei raggi cosmici con attività che vanno da 10 a 100 Bq/kg. Se mangiate una banana (o un qualsiasi altro cibo ricco di potassio) assumerete anche una certa dose di 40K radioattivo. Chi pretende di avere “radiazioni zero” dimentica che un certo livello di radioattività naturale è sempre presente nei cibi, indipendentemente dall’azione dell’uomo.
Da una rapida analisi dei numeri possiamo concludere che il rilascio delle acque di Fukushima non potrà avere un effetto di carattere globale, ma che le cose – a livello locale (parliamo di poche decine di chilometri di distanza dalla centrale) – potranno cambiare moltissimo a seconda della velocità di scarico e del livello di diluizione che sarà adottato.
Le Autorità giapponesi prevedono di diluire le acque radioattive prima dello smaltimento in un rapporto pari almeno ad 1:100 e comunque di non superare mai il livello di 1.500 Bq/l nel punto di rilascio in mare. I tempi necessari per completare lo scarico a mare di tutti i residui nucleari dovrebbero essere pari ad alcune decine d’anni.
Sono livelli che renderebbero l’acqua di scarico “quasi potabile“: per prudenza, non installerei comunque un allevamento di cozze nei pressi dello scarico.
A chi si preoccupa dello scarico delle acque di Fukushima (che sarà comunque un evento unico e – speriamo – irripetibile) ricordo che ogni anno gli impianti nucleari attivi a livello mondiale scaricano complessivamente in mare circa 16 PBq di trizio: sono livelli superiori per più di un ordine di grandezza rispetto alla quantità totale di trizio immagazzinata nei depositi di Fukushima!
In particolare, nella vicina Francia e precisamente a Cap la Hague (Canale della Manica) funziona da molti anni un sito che tratta le scorie radioattive provenienti dalle centrali nucleari francesi (e anche da altri Paesi). Questo centro recupera la parte ancora utilizzabile del combustibile nucleare, separando gli altri radioisotopi che saranno poi sepolti per tempi più o meno lunghi in attesa che si completi il loro processo di decadimento.
Gli scarichi del sito di Cap la Hague contengono – da soli – circa l’80% dell’ammontare complessivo del trizio rilasciato annualmente in mare (circa 12 PBq). Tenuto conto della quantità di trizio presente e dei tempi (decenni) di rilascio, lo scarico di trizio che è stato avviato a Fukushima è almeno 100 volte inferiore rispetto a quello che avviene da anni a Cap la Hague.
Invece di preoccuparci del pesce proveniente dal Giappone, forse faremmo meglio a preoccuparci delle ostriche di Saint-Malo!
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