Sci e turismo invernale: un settore esposto a seri rischi a causa del riscaldamento globale

Un articolo apparso recentemente su Nature Climate Change esamina l’effetto del cambiamento climatico sul turismo invernale legato allo sci nel caso in cui, tra pochi anni, si registrasse un aumento medio delle temperature globali pari a +2°C rispetto ai valori tipici del periodo pre-industriale. Tale livello è leggermente superiore rispetto a quello fissato dagli accordi di Parigi e tiene conto della lentezza con cui si stanno avviando azioni concrete per il contenimento del riscaldamento globale. Molte delle attuali località sciistiche registrerebbero una seria carenza di neve che potrebbe essere compensata solo ricorrendo sistematicamente all’innevamento artificiale. Aldilà della scarsa attrattività dello sci praticato su neve esclusivamente artificiale, il settore potrebbe essere messo in crisi anche dagli alti costi finanziari (oltre che ambientali) legati all’utilizzo intensivo dei cannoni da neve.

Mentre in Trentino taluni politici hanno avviato la loro campagna elettorale per le ormai imminenti elezioni provinciali promettendo la costruzione di nuovi bacini idrici destinati ad alimentare gli impianti di innevamento artificiale, qualcuno sta cercando di capire quale potrebbe essere il prossimo futuro delle località sciistiche invernali europee. Vari segnali di “scricchiolio” sono stati già avvertiti negli anni recenti, ma la situazione potrebbe precipitare drammaticamente se – continuando con l’andazzo attuale – non si farà nulla per scongiurare un ulteriore aumento delle temperature medie globali.

Se alla fine riuscissimo a contenere l’aumento di tali temperature entro 2 gradi rispetto ai valori pre-industriali, si stima che oltre il 50% dei 2.234 comprensori sciistici attualmente presenti in Europa sarebbe esposto ad un serio rischio di chiusura, a meno che non si faccia un uso intensivo degli impianti di innevamento artificiale. La frazione di stazioni sciistiche a rischio si ridurrebbe al 27% se la capacità di produzione degli impianti di innevamento artificiale riuscisse a coprire il 50% della neve complessivamente utilizzata nel corso della stagione invernale.

Parliamo evidentemente di un dato medio riferito a tutta Europa e non dell’andamento di una specifica località. Ad esempio, gli impianti sciistici italiani posti negli Appennini si troverebbero quasi tutti nella zona a rischio più elevato, mentre la situazione sarebbe decisamente meno drammatica per gli impianti d’alta quota localizzati nelle Alpi.

Il ricorso all’innevamento artificiale è stato originariamente pensato per estendere la stagione dello sci invernale, preparando le piste prima della caduta della neve naturale e per mantenerle in buono stato anche durante i momenti nei quali le precipitazioni nevose non sono particolarmente intense. Ma se l’innevamento artificiale dovesse diventare la principale fonte di approvvigionamento della neve assisteremmo ad un completo stravolgimento del settore.

Aldilà del possibile calo di domanda legato ad effetti di natura puramente estetica e tecnica (a nessuno piace sciare su sottili lingue di neve artificiale stese su un terreno secco e brullo), molte località sciistiche potrebbe essere messe in crisi dagli alti costi legati alle elevate quantità di acqua e di energia elettrica che sarebbero necessarie per poter garantire l’apertura delle piste.

Tra l’altro, come abbiamo visto nel corso dell’ultima forte siccità, in caso di carenza d’acqua si instaura una concorrenza feroce tra i diversi utilizzatori (impianti da sci, centrali idroelettriche ed agricoltura). Qualcuno racconta che l’acqua utilizzata per produrre la neve artificiale viene comunque riassorbita dal terreno e ritorna in ciclo, ma dimentica di dire che i tempi di recupero possono durare anche molti anni e questo può aggravare la situazione in caso di forti siccità.

Benché si discuta di questi temi ormai da molti anni ed esistano rapporti scritti che illustrano dettagliatamente i rischi futuri per il nostro turismo invernale, sembra che il Trentino veda le cose in modo stranamente “dissociato“. La stessa Provincia autonoma che sponsorizza i convegni sui cambiamenti climatici poi continua a sostenere la proposta di costruire nuovi invasi idrici per raccogliere l’acqua destinata all’innevamento artificiale, magari spacciandoli per attrattive turistiche dedicate alle passeggiate estive. Nessuno sembra porsi il problema di chi pagherà le bollette legate all’uso intensivo dei cannoni da neve, bollette che saranno sempre più salate se l’innevamento artificiale dovesse diventare un vero e proprio sostituto della neve naturale.

Probabilmente sono molto ingenuo quando affermo che in Trentino una campagna elettorale seria dovrebbe affrontare anche questi problemi, chiarendo quali siano i limiti (non solo ambientali, ma anche finanziari) che non ha senso valicare (ad esempio, stabilendo una quota minima sotto la quale non si usino soldi pubblici per sostenere investimenti per lo sci) e domandandoci come si possa riorganizzare l’offerta turistica del Trentino alla luce dei mutamenti indotti dal cambiamento climatico.

Purtroppo sembra che tutti si preoccupino esclusivamente di lupi ed orsi e che tutti gli altri problemi siano spariti.

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