Il nucleare “sostenibile” italiano: annunci che lasciano perplessi

Il Ministro Pichetto Frattin oggi ha annunciato la preparazione di un documento programmatico per lo sviluppo in Italia di un sistema di produzione di energia nucleare che lui definisce “sostenibile“. Chiarito che non intende avviare la costruzione di centrale di terza generazione, il Ministro sembra far riferimento ai cosiddetti impianti SMR e alle tecnologie nucleari di IV generazione. Il Ministro parla anche di “opportunità di crescita della filiera industriale nazionale già operante nel settore“, filiera che – per la verità – si è ormai ridotta al lumicino e sarebbe tutta da ricostruire.

Quello del nucleare “sicuro e sostenibile” è uno slogan che l’attuale Governo si porta dietro fin dalla campagna elettorale dello scorso anno, slogan che – come avevo discusso in un post precedente – in realtà non ha molto significato. Va bene per le promesse elettorali, ma poi quando si affrontano i problemi reali si rivela vuoto e inconsistente.

Oggi, nel corso di un convegno dedicato al rilancio dell’industria nucleare in Italia, il Ministro Pichetto Fratin ha annunciato la preparazione – entro 9 mesi a partire da oggi – di un documento di programmazione che dovrebbe portare ad un rilancio dell’energia nucleare in Italia.

Come avrete capito leggendo i miei precedenti post sull’argomento, personalmente non sono affatto contrario a discutere del possibile uso dell’energia nucleare purché il problema venga affrontato nella sua interezza considerando tutti le possibili criticità ed in particolare gli aspetti legati a costi, tempi di progettazione e realizzazione, sicurezza e smaltimento delle scorie radioattive.

Mi auguro che il documento annunciato dal Ministro affronti queste tematiche seriamente e vada oltre agli slogan elettorali. Quando sarà presentato non mancherò di commentarlo. Per il momento mi limito a chiosare alcune delle dichiarazioni fatte oggi dal Ministro.

Noto con piacere che nessuno sembra intenzionato ad avviare la costruzione anche in Italia di un costoso impianto di III generazione. Forse, durante questo primo anno di “apprendistato” il Ministro Pichetto Fratin ha trovato il tempo per farsi un giro a Flamanville per verificare con mano il disastro associato alla costruzione del primo reattore di III generazione francese. Secondo i piani ufficiali l’impianto sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2014 con un costo di realizzazione pari a circa 5 miliardi di Euro. Dopo una catena infinita di rinvii, la previsione per la data di inizio delle operazioni è stata spostata al 2024, mentre i costi (reali) di costruzione sono già più che triplicati.

Archiviata l’idea di costruire una centrale di III generazione, sembra che il Ministro stia valutando 2 alternative: il passaggio diretto alle centrali di IV generazione oppure l’utilizzo delle tecnologie modulari di tipo SMR.

Sulla seconda opzione ho già espresso le mie valutazioni. Talvolta le tecnologie SMR (Small Modular Reactor) vengono spacciate come centrali di IV generazione, ma è una definizione sbagliata. In realtà si tratta di piccoli reattori di tipo classico (a neutroni lenti) che hanno il vantaggio di potere essere costruiti “in serie” e di essere eventualmente collegati “in parallelo“.

A differenza delle grandi centrali che devono essere realizzate direttamente nel luogo di utilizzo, la costruzione di piccoli reattori modulari può essere effettuata all’interno di stabilimenti specializzati, con un consistente abbattimento dei costi e dei tempi di produzione. I moduli vengono poi trasportati sul luogo di utilizzo dove possono rapidamente entrare in funzione. Collegando più moduli in parallelo si possono ottenere livelli di potenza discreti, anche se inferiori rispetto a quelli soddisfatti da una grossa centrale nucleare tradizionale.

Attualmente gli Stati Uniti stanno proponendo a vari Paesi di installare reattori modulari SMR nei siti delle vecchie centrali termoelettriche a carbone. Forse si ritiene che le dimensioni relativamente piccole rispetto ad una centrale nucleare tradizionale e l’assenza di fumi rendano gli impianti SMR più accettabili rispetto alle vecchie centrali termiche a carbone.

Purtroppo – proprio a causa delle loro ridotte dimensioni – i reattori SMR hanno un rendimento più basso rispetto alle centrali nucleari tradizionali. Questo vuol dire che il costo del combustibile incide maggiormente sul prezzo finale dell’energia elettrica prodotta e – a parità di energia generata – si producono più scorie radioattive.

In Italia il problema delle scorie radioattive è ancora totalmente irrisolto. Recentemente il Ministro ha lanciato un appello ai Comuni italiani affinché avanzino manifestazioni di interesse per ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive che – almeno fino ad oggi – nessuno ha voluto accogliere. Mi auguro che almeno il Comune di residenza dell’On. Salvini si faccia avanti.

Per quanto riguarda i reattori di IV generazione (a neutroni veloci), si tratta di una tecnologia (ancora non completamente verificata) che potrebbe dare un taglio molto significativo al problema delle scorie radioattive e su cui – secondo me – vale senz’altro la pena di avviare una sperimentazione approfondita. Attualmente alcune aziende italiane partecipano ad attività localizzate in Romania per aggirare i limiti imposti dal vecchio referendum contro le centrali nucleari.

Personalmente ritengo che si dovrebbe sbloccare – anche in Italia – la sperimentazione sulle tecnologie nucleari di IV generazione, ma bisogna essere chiari sui tempi di una eventuale realizzazione degli impianti di questo tipo. Al momento non c’è – a livello mondiale – nessuna centrale nucleare di IV generazione funzionante. Molti stanno lavorando a progetti più o meno avanzati, ma siamo appunto ancora nella fase della sperimentazione.

Poiché le tecnologie nucleari hanno bisogno di tempi di certificazione e di accreditamento particolarmente lunghi parliamo di un progetto che deve avere davanti a sé una prospettiva di almeno una decina d’anni prima di poter pensare ad una sua implementazione pratica. Può essere un interessante investimento per il futuro e potrebbe integrarsi bene in un sistema energetico nazionale che usi una elevata frazione di energie rinnovabili, ma non è certamente la soluzione per il breve termine.

Quanto all’industria nucleare italiana permettetemi una notazione di carattere strettamente personale. Quando ero un giovane neo-laureato in fisica ricevetti una interessante proposta di lavoro da parte di quella che oggi è diventata Ansaldo Nucleare. Erano i primi anni ’70: a quel tempo stava lavorando sul progetto della centrale di Caorso, costruita utilizzando tecnologie ad acqua bollente BWR4 importate dal Nord-America. Non accettai quell’offerta perché preferivo dedicarmi alla ricerca, ma soprattutto perché mi sembrava che il settore non avesse solide prospettive.

Avevo visto giusto perché, anche prima del referendum del 1987, l’Italia non ha mai avuto una industria nucleare di dimensioni rilevanti ed in grado di sviluppare tecnologie originali su scala industriale. Siamo sempre stati tributari di tecnologie di importazione e – dopo il referendum del 1987 – le poche competenze nucleari presenti nel nostro Paese si sono ulteriormente rarefatte.

Parlare di “made-in-Italy” quando si fa riferimento alla costruzione di una centrale nucleare (grande o piccola che sia) è pura “fuffa“.

Se l’Italia decidesse che gli investimenti nucleari fanno parte della sua strategia di lungo periodo sarebbe necessario ricostruire le competenze in questo specifico settore. Non partiremmo da zero, ma ci vorranno comunque cospicui investimenti e tanto tempo.

A meno che il rilancio dell’energia nucleare in Italia non si riduca ad una pura operazione commerciale che garantirà facili guadagni ai fortunati intermediari, lasciando il Paese completamente dipendente dalle tecnologie nucleari di importazione.

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