Tutti ne parlano, ma nessuno l’ha mai visto: il piano Mattei

Il premier Meloni non manca di citarlo in ogni occasione. Si tratta del cosiddetto “piano Mattei“, un programma di sostegno allo sviluppo dei Paesi africani che prende il nome dal fondatore dell’ENI Enrico Mattei, famoso manager italiano deceduto tragicamente nel 1962. Secondo alcuni il piano si ridurrebbe a poche pagine scritte da ENI nelle quali sono riassunte le principali iniziative che la compagnia energetica italiana ha già avviato o intende avviare in Africa. Per altri sarebbe una nuova versione del ben noto “aiutiamoli a casa loro” e dovrebbe contribuire a disincentivare l’arrivo di nuovi migranti provenienti dal continente africano. Personalmente, temo che il piano Mattei sia incentrato sugli interessi di ENI e fortemente orientato a mantenere sostanzialmente invariato l’utilizzo dei combustibili fossili. Purtroppo non sempre ciò che va bene per ENI va bene anche per l’Italia.

Tutti ne parlano, ma nessuno l’ha mai letto perché – fino ad oggi – il piano Mattei non è ancora stato reso pubblico. Secondo le anticipazioni del premier Meloni dovrebbe diventare la spina dorsale della politica italiana in Africa e consentire al nostro Paese di stabilire nuove ed estese forme di partenariato con i Paesi africani, specialmente quelli dotati di rilevanti risorse energetiche. L’Italia ambirebbe a diventare una sorta di hub energetico dell’Europa, in grado di importare energia sotto varie forme dal Nord Africa, in modo da soddisfare non solo le necessità italiane, ma anche quelle di altri Paesi europei. Il tutto in una logica “non predatoria” che prevede lo sviluppo dell’economia dei Paesi africani coinvolti nel piano, con la creazione in loco di un numero consistente di posti di lavoro.

Vasto programma” si sarebbe detto una volta. Perché anche se ENI è ben presente nel mercato energetico africano, deve comunque tenere conto della agguerrita concorrenza delle multinazionali energetiche americane, inglesi e francesi, senza contare i “nuovi arrivi” di peso rappresentati da Turchia, Russia e Cina.

Negli anni ’50 del secolo scorso Enrico Mattei era riuscito con un approccio diretto e abbastanza spregiudicato a scalfire quello che allora era definito il monopolio delle cosiddette “7 sorelle“. Ho scritto “scalfire” perché i successi di ENI furono più di immagine che di sostanza e dopo la misteriosa morte del suo fondatore anche ENI fu costretta a rientrare rapidamente nei ranghi.

L’attuazione del piano Mattei richiede – tanto per cominciare – ingentissime risorse finanziarie. Solo per dotare l’Italia delle infrastrutture energetiche che sarebbero necessarie per trasformarla nell’hub energetico europeo per il Mediterraneo servirebbero – subito – investimenti per almeno 20 miliardi di Euro. A questi andrebbero aggiunti i finanziamenti necessari per attivare le diverse iniziative da realizzare nei Paesi africani coinvolti nel piano Mattei. Se prendiamo come riferimento l’insieme degli investimenti cinesi in Africa (somma di investimenti diretti, prestiti ed altri tipi di interventi) – per avere un impatto non del tutto trascurabile – il piano Mattei dovrebbe disporre di almeno 10 miliardi di Euro all’anno.

Inoltre non vanno sottovalutati i problemi politici perché abbiamo a che fare con Paesi caratterizzati da forti instabilità legate alla situazione interna (pensiamo ad esempio agli effetti dell’esplosione demografica, agli scontri di natura tribale e religiosa e alle crisi economiche generate dalle politiche predatorie di vecchi e nuovi colonialisti).

Un terzo elemento da mettere in conto è quello della disponibilità di una adeguata forza militare. Sembra cinico, ma come sanno bene tutte le aziende petrolifere a cominciare da ENI, in molte zone serve una presenza militare adeguata per proteggere gli impianti energetici ed il relativo personale. Non a caso in Africa c’è un continuo via vai di truppe ONU, distaccamenti militari di Paesi “amici“, “contractor” e bande di mercenari. Senza contare le sedicenti milizie rivoluzionarie che tengono in scacco parti rilevanti di molti Paesi.

D’altra parte, l’Africa è anche la terra di origine di milioni di migranti che ogni anno sono costretti a lasciare la loro casa a causa di guerre, effetti del riscaldamento climatico o semplicemente perché sono in cerca di condizioni di vita meno misere. L’Italia è stata per molto tempo terra di migranti e queste cose dovrebbe capirle molto bene.

Sul fatto che ci sia bisogno di un cambio di passo e che si dovrebbero trovare nuovi e più efficaci metodi per sostenere lo sviluppo del continente africano siamo tutti d’accordo. Ma sorge forte il dubbio che la piccola Italia, con le sue finanze pubbliche disastrate e la sua irrilevanza politica (e militare) non possa ambire da sola a giocare un ruolo da vera protagonista.

L’esperienza – fin qui deludente – fatta con l’autocrate di Tunisi (malgrado i prematuri e immotivati annunci di successo) dovrebbe metterci in guardia e farci capire quanto sia difficile operare in quel contesto. L’Italia potrebbe senz’altro giocare un ruolo significativo nell’ambito di un progetto più ampio, ma per fare questo il premier Meloni deve decidere quale parte vuole interpretare e possibilmente non cambiare personaggio a seconda dell’interlocutore con cui ha a che fare. E – soprattutto – dovrebbe lavorare con una prospettiva di lungo periodo, dimenticando le uscite estemporanee tipiche della politica italiana immersa in una campagna elettorale permanente.

Quando dico che il premier Meloni deve scegliere intendo che non può credere di assumere un ruolo guida a livello europeo e continuare a solleticare i sentimenti sovranisti di chi – come Orban – ritiene che l’Europa sia foriera di valori morali negativi, ma sia comunque un comodo bancomat a cui accedere quando se ne ha bisogno.

Il premier Meloni sbaglia quando accusa la Germania di essere la causa dell’arrivo incontrollato di migranti sulle nostre coste (invece di pensare agli errori fatti dal suo Governo) e – contemporaneamente – si propone alla Baviera come fornitrice di energia importata nell’ambito del futuribile piano Mattei.

Per quanto riguarda i rapporti con la Francia, bisogna realisticamente tenere conto che ENI e la francese Total sono due storiche concorrenti. Possono trovare punti di interesse comune e tessere alleanze, ma bisogna essere chiari: senza un accordo ratificato dai rispettivi Governi, ENI e Total continueranno a farsi reciproci sgambetti (con il rischio di favorire l’arrivo di altri competitori, magari turchi).

Il patto di amicizia tra Italia e Francia firmato a Roma il 26 novembre 2021 da Emmanuel Macron e Mario Draghi poteva costituire la base per favorire una alleanza anche in campo energetico. Il premier Meloni ha trascorso un intero anno alternando fasi di tensione e di breve riappacificazione con il suo omologo francese mettendo praticamente in soffitta l’accordo firmato da Draghi. Forse sarebbe il caso che riprendesse in mano il patto e provasse a darne pratica attuazione.

Il piano Mattei non è solo fumoso ed indefinito nei suoi contenuti e negli obiettivi da raggiungere, ma non si vede neppure una strategia politica adeguata per convincere gli altri Paesi europei a sostenerlo.

Per il momento sembra che l’idea si riduca ad un semplice slogan e che di chiaro ci siano solo i possibili vantaggi economici per ENI, interessata – aldilà di qualche operazione di greenwashing – ad estendere sine die l’uso intensivo dei combustibili fossili, consolidando i suoi contratti di fornitura in terra africana.

Mi pare che il Governo italiano si sia limitato – almeno fino ad oggi – ad adottare in modo del tutto acritico gli obiettivi di ENI, accontentandosi dell’effetto annuncio, ma senza dotarsi di una opportuna strategia politica capace di sviluppare le necessarie alleanze e di trovare le enormi risorse che ci vorrebbero per dare un contributo significativo al futuro sviluppo dei Paesi africani.

Speriamo che il piano Mattei non si riduca ad una comoda scusa per rinunciare ad un rapido passaggio alle energie rinnovabili, continuando a bruciare combustibili fossili come se il riscaldamento globale non esistesse.

Risposte a “Tutti ne parlano, ma nessuno l’ha mai visto: il piano Mattei”

  1. Avatar Stefano
    Stefano

    Polemica al fulmicotone a Otto e Mezzo (La7) tra Rita Lofano, direttrice dell’Agi, agenzia stampa di proprietà Eni, e il filosofo Massimo Cacciari sui primi 11 mesi del governo Meloni.

    Lofano contesta l’intervento di Cacciari, bollandolo come disfattista, e sciorina tutti i presunti successi della premier: “Meloni dal punto di vista della politica estera e della prudenza fiscale sui conti si muove indubbiamente nel solco di Draghi. Il Guardian l’ha definita la leader più potente d’Europa. Quello che le viene riconosciuto è proprio la sua capacità di muoversi con abilità in politica estera.

    Abbiamo visto – continua – il plauso di Macron sulle politiche per l’Africa. Meloni si è rivelata atlantista ed europeista, è stata ricevuta alla Casa Bianca, Macron ha detto che intende appoggiare l’Italia per il piano per l’Africa. Insomma, io vedo il bicchiere mezzo pieno”.

    Cacciari dissente: “Cosa va raccontando Meloni di una politica per l’Africa? Ma vogliamo far ridere? Quale politica per l’Africa vuoi che ci sia da un paese europeo singolo? Soltanto una grande Europa potrebbe fare una politica per l’Africa. E invece la stanno facendo i cinesi con tanto di investimenti, non con le chiacchiere”.

    Lofano replica: “La politica per l’Africa può essere fatta anche da un solo paese, come abbiamo visto con Draghi”.

    “Ma per carità di Dio, dai”, commenta Cacciari che gesticola in modo eloquente per esprimere la sua contrarietà, mettendo anche le mani al viso.

    “Nel pieno della crisi energetica – continua la direttrice dell’Agi – l’Italia non è rimasta senza energia. Potrei sembrare di parte, però io ricordo che l’ad dell’Eni accompagnò in Nord Africa il ministro degli Esteri del governo Draghi”.

    “E questa sarebbe la politica per l’Africa?”, insorge Cacciari.

    “No, però è una filosofia”, ribatte Lofano. [FORSE ERA UNA BATTUTA INVOLONTARIA…]

    Ma il filosofo non ci sta: “Ma quando mai è mancata la politica italiana di approvvigionamento petrolifero? E se l’è inventata la Meloni? Ma robe da matti. Questa è malafede palese”.

    “No, non se l’è inventata la Meloni – risponde la giornalista – tant’è che al piano per l’Africa ha dato un nome evocativo (Mattei, ndr)”.

    “Lei sta parlando in malafede totale – ribadisce Cacciari – C’è sempre stata una politica energetica, c’è sempre stata una politica di approvvigionamento del petrolio. Ma che roba è, una invenzione della Meloni se compriamo metano e petrolio in Tunisia e in Algeria?”.

    “Io intendevo un’altra cosa”, replica Lofano, che sottolinea l’importanza di fare accordi coi paesi del Nord Africa.

    “Oh, mamma mia”, commenta Cacciari, che alla fine si abbandona allo sconforto e declina l’invito della conduttrice Lilli Gruber a dire la sua, rispondendo: “Cosa vuole che dica? Faccia parlare gli altri”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/26/governo-meloni-lofano-agi-loda-i-successi-e-il-piano-per-lafrica-e-cacciari-insorge-ma-roba-da-matti-lei-e-in-totale-malafede-su-la7/7304021/?pl_id=1&pl_type=category

  2. Avatar Stefano
    Stefano

    Energia, migranti, sviluppo:
    il Piano Mattei annunciato da Giorgia Meloni non esiste

    (di Andrea Lanzetta – tpi.it)

    Forse sarà annunciato a ottobre, ma è un anno che Giorgia Meloni ne parla. L’ormai noto “Piano Mattei” è famoso soprattutto perché (ancora) non esiste. Tutto ciò che sappiamo è stato annunciato dalla stessa Presidente del Consiglio.

    I propositi sono chiari e nobili: se i Paesi africani da cui provengono o dove transitano i migranti aumentassero il proprio grado di sviluppo, i flussi dovrebbero interrompersi. A tale scopo serve un piano di investimenti per promuovere la crescita di questi Stati e, perché no, con l’occasione ottenere quelle risorse, in primis energetiche, necessarie ad alimentare la nostra economia. Insomma, chiudere il rubinetto dei migranti e aprire quelli di gas, petrolio, e altre materie prime.

    Il problema è che l’Italia investe già molto in questo senso ma il tanto sperato sviluppo in Africa non s’è visto. Tra il 2013 e il 2021, secondo Sace, l’agenzia di credito controllata dal Mef, lo Stato ha sostenuto 27 progetti in Africa emettendo circa 7,2 miliardi di euro sotto forma di assicurazione del credito, finanziamenti diretti, fideiussioni o altre garanzie.

    Tra questi figura lo sviluppo di un giacimento di gas in Mozambico gestito da Eni (1,6 miliardi), la costruzione della più grande raffineria africana in Nigeria da parte del gruppo locale Dangote (300 milioni) e di tre dighe in Kenya (altri 300 milioni con la partecipazione di banche e imprese italiane).

    I fondi hanno finanziato i singoli progetti ma le annunciate iniziative per lo sviluppo locale non sono mai state completate, alimentando il sospetto che non sia un problema di risorse.

    Ad ogni modo, per quanto riguarda la cooperazione, il nostro Paese è già tra i più impegnati al mondo, anche senza il Piano Mattei. Nel 2021, ultimo dato disponibile secondo Openpolis, l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia era pari allo 0,29% del reddito nazionale lordo, circa 5,145 miliardi di euro, in aumento del 36% annuo, il maggior incremento tra gli Stati del Comitato per l’assistenza allo sviluppo dell’Ocse.

    Per questo motivo Meloni cerca sponde all’estero, non solo in Africa, ma soprattutto in Europa e all’Onu per trovare le ingentissime risorse necessarie a raggiungere obiettivi così ambiziosi.

    Il punto però è a chi andranno i fondi del Piano Mattei perché, come ammette anche la premier, spesso si tratta «di Paesi instabili o governati da personalità che non dimostrano interesse per lo sviluppo della loro collettività». «Ma per questo serve portare investimenti strategici: perché se è vero che la democrazia porta sviluppo, è vero anche il contrario». Purtroppo molti esempi, Cina in primis, dimostrano che non è sempre così.

  3. Avatar Stefano
    Stefano

    Troppa gente, molto fumo e poco arrosto:
    istituita la cabina di regia per il fantomatico “piano Mattei”

    (Public Policy) – Roma, 02 novembre

    E il piano Mattei di Giorgia Meloni ha finalmente un volto. E assomiglia alla tradizionale cooperazione internazionale, con un coordinamento centralizzato a palazzo Chigi senza però stanziare fondi significativi e, soprattutto, senza spiegare quale sia davvero “il piano” per l’Africa.

    Il documento complessivo sembra debba essere pronto per GENNAIO, ma intanto il governo istituisce la struttura operativa offrendo le prime coordinate di quale sia l’approccio verso l’Africa.

    Piano Mattei, ecco il decreto di Meloni per accentrare tutto a Palazzo Chigi: ma nel testo IL PIANO non c’è.

    “È istituita la Cabina di regia per il Piano Mattei, presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri e composta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, della società Cassa depositi e prestiti S.p.A. e della società Sace.

    Della cabina di regia fanno altresì parte rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

    Lo si legge nella bozza dl Piano Mattei preso in visione da Public Policy, all’ordine del giorno del pre-Cdm di oggi. “Su delega del presidente – si legge – la Cabina di regia è convocata e presieduta dal vicepresidente. Per la partecipazione alla Cabina di regia – si sottolinea -non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati”.

    1. Avatar Davide Bassi

      Speriamo che il piano non sia il frutto di contatti “diplomatici” del premier Meloni basati su telefonate simili a quella che abbiamo ascoltato recentemente.
      Un aspetto della telefonata “burla” che mi ha particolarmente colpito è quello dell’astio palesato nei confronti dei francesi ed, in particolare, del presidente Macron. Se l’idea del piano Mattei è quello di competere con la Francia per conquistare “un posto al sole” in Africa credo che il piano abbia scarsissime probabilità di successo.
      Una maggiore collaborazione tra Europa ed Africa è senz’altro auspicabile e siccome gli interessi dei diversi Paesi europei non sono omogenei bisognerebbe – prima di tutto – trovare un’intesa a livello europeo per attivare azioni concordate e condivise. Se ciascuno agisce per conto suo il rischio concreto è quello di essere irrilevanti.

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