Come sottolinea Federico Fubini in un articolo apparso sul Corriere della Sera i tragici avvenimenti di Israele contribuiscono – tra l’altro – a rendere ancora più incerto il quadro energetico dei Paesi europei. Chi si illudeva di poter facilmente sostituire la Russia come fornitore di petrolio e gas, si ritrova ad avere a che fare con Paesi molto instabili ed – in taluni casi – potenzialmente ostili. Invece di perdere tempo con l’improbabile Piano Mattei l’Italia dovrebbe lavorare al perseguimento di una vera “sovranità energetica” riducendo il più rapidamente possibile la dipendenza dai combustibili fossili.
Le tragiche notizie che in queste ore provengono da Israele e dalla striscia di Gaza, oltre a generare ansia e orrore, fanno aumentare la preoccupazione per una progressiva destabilizzazione dell’area mediorientale.
Nel momento in cui tanti innocenti stanno perdendo la vita potrà apparire cinico preoccuparsi delle forniture energetiche dell’Europa. Tuttavia – come ci insegna la storia – le instabilità del Medio-Oriente producono fatalmente gravi conseguenze anche per noi. Ciò è particolarmente vero in questo momento che vede le forniture energetiche europee già in sofferenza a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Il quadro complessivo che emerge è caratterizzato da tensioni vecchie e nuove e potrebbe ulteriormente aggravarsi.
Nell’articolo apparso oggi sul Corriere della Sera, Federico Fubini fa una analisi della situazione energetica europea e delle azioni che l’Europa ha sviluppato nel corso dell’ultimo anno e mezzo per affrancarsi dalle forniture di petrolio e gas provenienti dalla Russia. Il quadro che emerge non è per nulla confortante anche se – almeno fino ad oggi – il 2023 non ha visto criticità del mercato energetico così ampie come quelle che si erano verificate un anno fa. Sull stesso argomento vi segnalo anche un libro uscito recentemente scritto da Andrea Greco e Giuseppe Oddo dal titolo “L’arma del gas – L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia“.
Oltre alle solite speculazioni dei mercati finanziari, il primo effetto della vera e propria guerra scoppiata a Gaza sarà probabilmente quello di abbandonare (o quantomeno di posporre sine die) l’ipotesi di costruzione del gasdotto EastMed, un gasdotto lungo 1.900 km di cui si parla ormai da 15 anni. EastMed dovrebbe collegare la Puglia alla zona marittima compresa tra Cipro, Israele ed Egitto dove diverse compagnie (tra cui ENI) hanno scoperto ingenti riserve di gas naturale.
Come ci insegna la recente esperienza di Nord Stream non è una buona idea contare sull’uso di gasdotti che passano in prossimità di zone di guerra. Purtroppo sabotare un gasdotto sottomarino è una operazione relativamente facile e produce danni enormi con il minimo sforzo.
C’è anche il timore che alcuni degli attuali fornitori dell’Italia potrebbero cambiare il loro atteggiamento nel prossimo futuro. Mi riferisco in particolare all’Algeria che nel 2023 ha sostituito la Russia come primo fornitore di gas naturale dell’Italia. L’Algeria è uno dei Paesi arabi che – almeno a parole – si è dichiarato più vicino ad Hamas. Nessuno può dire se nel caso di un probabile aggravamento del conflitto l’Algeria si limiterà ai proclami di solidarietà oppure se mostrerà un atteggiamento più ostile nei confronti dei Paesi occidentali agendo sui rubinetti dei suoi gasdotti.
Per non parlare del Qatar, principale produttore mondiale di gas naturale liquefatto (e quarto fornitore di gas naturale dell’Italia), ma anche principale finanziatore – assieme all’Iran – dei terroristi di Hamas.
La situazione potrebbe diventare molto più critica se la crisi attuale innescasse una guerra più ampia che coinvolga anche altri Paesi mediorientali. Anche la semplice minaccia di un blocco dello stretto di Hormuz attraverso cui transita quotidianamente una enorme quantità di petrolio e gas naturale liquefatto farebbe schizzare alle stelle il prezzo dei combustibili fossili.
Senza addentrarmi in ulteriori considerazioni, vorrei sottolineare come non abbia molto senso che l’Italia continui ad usare combustibili fossili come se niente fosse, illudendosi di sostituire i fornitori “cattivi” con fornitori “buoni“.
In particolare, l’Italia dipende troppo dai gasdotti che ci legano in modo indissolubile a specifici Paesi e, nell’ambito del fantomatico Piano Mattei, probabilmente ci sarà la proposta di costruirne altri. D’altra parte, appena si propone di installare quei rigassificatori che ci darebbero un minimo di flessibilità nella scelta dei fornitori di gas naturale, scatta la rivolta NIMBY e nessuno vuole ospitarli.
Uscire da questa situazione non sarà facile. Anche se taluni politici promettono di farlo, non si possono risolvere i problemi con la bacchetta magica!
Bisogna lavorare con una molteplicità di strumenti che vanno dal potenziamento del risparmio energetico (che comprende l’utilizzo – ovunque abbia senso farlo – delle pompe di calore) fino allo sfruttamento – il più esteso possibile – delle energie rinnovabili (le uniche di cui l’Italia dispone).
Non si possono eliminare i combustibili di origine fossile di punto in bianco, ma se ne possono ridurre progressivamente i consumi, rendendo meno critici gli approvvigionamenti. Senza dimenticare che in una logica di medio-lungo periodo anche l’energia nucleare potrebbe essere presa in considerazione, purché lo si faccia senza cercare facili scorciatoie ed avendo contezza di tutti gli aspetti che condizionano il funzionamento delle centrali nucleari.
L’auspicio di tutti è che il martoriato Medio-Oriente trovi finalmente un suo equilibrio e che la vita e la dignità di tutti i suoi abitanti siano rispettate. Purtroppo quello che sta succedendo in queste ore va esattamente nella direzione opposta.
Sperare nella pace e operare fattivamente per raggiungerla non è mai sbagliato, ma dobbiamo realisticamente considerare le potenziali conseguenze del conflitto e cercare di limitare i danni che saranno prodotti anche molto lontano dalle zone di guerra.
Chi crede che non si debbano abbandonare i combustibili fossili perché nega l’esistenza del riscaldamento globale, dovrebbe almeno essere convinto dell’importanza di perseguire la “sovranità energetica della Nazione” e agire di conseguenza.
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