Nella babele di annunci (a cui raramente seguono i fatti) a cui ci ha abituato il Governo italiano, spiccano le dichiarazioni del Ministro Salvini che si è detto disposto ad ospitare a Milano, vicino a casa sua, un nuovo reattore nucleare del tipo SMR (Small Modular Reactor). Gli SMR sono una tecnologia di nuovo tipo che si caratterizza per la possibilità di utilizzare moduli standard che possono essere costruiti in fabbrica per poi essere posizionati direttamente nel luogo di utilizzo. Ciò dovrebbe consentire di ridurre sia i costi che i tempi di costruzione. Ma gli SMR hanno una taglia che al massimo può arrivare fino a 300 MW, circa un terzo rispetto agli impianti nucleari tradizionali. Questo significa che un singolo SMR può produrre una quantità di energia elettrica tutto sommato marginale. Senza contare che, rispetto ai reattori tradizionali, gli SMR hanno una resa minore e producono – a parità di energia generata – più scorie nucleari.
Il tentativo in atto di far ripartire una industria nucleare italiana punta sulla tecnologia SMR come elemento di punta per convincere l’opinione pubblica che avrà presto a disposizione una sorgente di energia economica, pulita e sicura.
Le tecnologie SMR sono attualmente in fase avanzata di sviluppo e secondo i dati IAEA ci sono attualmente 80 impianti in fase di costruzione o di progetto a livello mondiale. Due piccolissimi impianti sono entrati recentemente in funzione. L’idea di fondo è quella di costruire impianti adatti per essere completamente assemblati in fabbrica in modo da poterli installare nel punto di utilizzo finale senza necessità di lunghi lavori così come avviene per i reattori nucleari “tradizionali“. Questo dovrebbe favorire sia la riduzione dei costi di costruzione che dei tempi di realizzazione. Va detto tuttavia che tutti i dati che sentiamo ripetere rispetto a costi e tempi di costruzione sono basati su semplici stime, perché – al momento – non c’è ancora una sufficiente esperienza acquisita nella costruzione di SMR.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla sicurezza, i diversi progetti si caratterizzano per la presenza di sistemi di intervento passivo, tali cioè da agire automaticamente in caso di malfunzionamento, senza bisogno di un intervento umano. Questo dovrebbe ridurre i rischi di guasto. Va anche detto che la struttura di molti dei reattori SMR che sono stati progettati non è adatta per resistere ad eventi catastrofici come – ad esempio – la caduta di un aereo di linea che dovesse precipitare sull’impianto (come viene invece richiesto per le centrali nucleari dette di terza generazione). Gli SMR sono anche molto sensibili a possibili allagamenti della zona in cui sono installati e non si possono localizzare in siti soggetti al rischio di alluvioni.
Il fatto che gli impianti siano piccoli e contengano una minore quantità di combustibile nucleare riduce i pericoli legati alle eventuali fughe radioattive, ma non li elimina completamente. Parlare di impianti assolutamente “sicuri” non è quindi appropriato, anche se il livello di sicurezza è certamente migliore rispetto a quello delle vecchie centrali nucleari di seconda generazione.
L’altro aspetto che spesso viene sottaciuto dai sostenitori degli SMR è quello del rendimento, parametro che – a causa delle dimensioni limitate – è inferiore rispetto a quello delle centrali nucleari tradizionali. Minore rendimento significa maggiori costi di esercizio e maggiore produzione di scorie nucleari che – tra l’altro – sono simili a quelle degli impianti di seconda e terza generazione e contengono radioisotopi con tempo di decadimento estremamente lungo.
Queste scorie – dopo opportuno trattamento – devono essere immagazzinate in siti sicuri su una scala di tempo “geologica” (a meno che non vogliamo lasciare in eredità alle future generazioni pericolose scorie radioattive che – prima o poi – si disperderanno nell’ambiente). Come ho ripetuto in tanti precedenti post, l’Italia non è ancora riuscita a identificare un luogo dove installare il deposito nazionale delle scorie nucleari. Pensare di costruire un nuovo reattore senza risolvere con assoluta priorità questo problema mi sembra un approccio totalmente irresponsabile.
Una considerazione finale va riservata al ruolo che gli impianti SMR potrebbero giocare all’interno del sistema italiano di produzione dell’energia elettrica. Il fatto di essere piccoli comporta fatalmente che sarà relativamente piccola anche la quantità di energia elettrica prodotta. A meno di non accatastare nello stesso sito un numero elevato di moduli (ma in questo caso salterebbero le considerazioni sulla ridotta pericolosità dell’impianto associata alle piccole dimensioni) un reattore SMR potrebbe svolgere solo un ruolo integrativo, garantendo – ad esempio – il bilanciamento di reti che sfruttino una quantità elevata di sorgenti rinnovabili (notoriamente soggette ad elevata volatilità dal punto di vista produttivo).
In alternativa ad un reattore SMR, la stessa funzione potrebbe essere affidata a sistemi di accumulo a batteria, oppure ad un impianto idroelettrico adattato per svolgere operazioni di pompaggio-turbinaggio con tempi di inversione ridotti. Sono tutte soluzioni tecniche che presentano vantaggi e svantaggi e che andrebbero valutate in alternativa ai reattori SMR per capire quale sia l’approccio migliore da seguire.
In conclusione, un impianto SMR (potenza elettrica tipica 100-200 MW, massimo 300 MW) non potrebbe certamente svolgere all’interno della rete il ruolo di principale produttore di energia elettrica. In altre parole, potrebbe essere utile (se si capisce cosa fare delle scorie radioattive), ma non risolutivo.
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