L’IEA discute del futuro di gas e petrolio e dei limiti dei sistemi di cattura dell’anidride carbonica

In un rapporto pubblicato recentemente, l’IEA (International Energy Agency) discute del futuro di gas e petrolio mettendo in evidenza come da qui al 2050 tale settore sarà destinato ad un significativo ridimensionamento. Molto dipenderà dalle scelte politiche che saranno adottate e dal rispetto degli impegni assunti, ma la tendenza sarà comunque al ribasso. I metodi di cattura e sequestro dell’anidride carbonica che spesso le aziende del settore propagandano come una soluzione per continuare a fare largo uso di combustibili fossili non sembrano essere veramente praticabili: si tratta di tecniche troppo costose e di non facile implementazione. Malgrado i numerosi annunci fatti, il loro contributo alla cattura di CO2 è – almeno fino ad oggi – insignificante.

L’IEA ha rilasciato un interessante rapporto nel quale vengono presentate le previsioni per le aziende che operano nel settore del petrolio e del gas naturale da qui fino al 2050. Saranno gli anni più critici per evitare che il fenomeno del riscaldamento globale si trasformi in un disastro di dimensioni planetarie.

Eppure – aldilà degli annunci che spesso si riducono a puro greenwashing – le aziende del settore reinvestono solo una parte assolutamente marginale dei loro lauti profitti per favorire la transizione energetica. Si tratta di una scelta miope che mette davanti a tutto gli interessi di pochi anche se in gioco c’è il destino di tutti.

Il rapporto IEA (scritto da un vasto gruppo di qualificati esperti internazionali e non da qualche giovane attivista del clima che potrebbe essere sospettato di non tenere un atteggiamento professionale e obiettivo) discute nelle sue 224 pagine diversi aspetti relativi allo stato attuale e alle prospettive future del settore petrolifero e del gas naturale. Impossibile riassumere in un breve post tutti i punti salienti di questo importante documento. Qui mi limiterò ad alcune informazioni essenziali.

Il primo aspetto riguarda il calo atteso per i consumi di petrolio e di gas naturale da qui fino al 2050. L’andamento dipenderà criticamente dalle scelte politiche che saranno adottate. In particolare vengono discussi due scenari: APS acronimo che identifica la situazione in cui i diversi Stati mantengano le promesse in tema di transizione energetica che hanno fatto fino ad oggi (anche quelle che si sono impegnati a realizzare nel prossimo futuro) e NZE corrispondente allo scenario più ottimista che vede la comunità internazionale assumere ulteriori impegni tali da arrivare a zero emissioni nette di CO2 nel 2050.

I consumi petroliferi sono destinati a calare sensibilmente in ambedue gli scenari, principalmente a causa della progressiva elettrificazione dei trasporti (con evidenti benefici non solo per il clima, ma anche per la qualità dell’aria che tutti noi respiriamo):

Previsioni IEA per i consumi petroliferi secondo i due diversi scenari APS e NZE

Un andamento simile è previsto per il gas naturale. Per questo combustibile fossile si prevede che il calo dei consumi sia legato alla maggiore disponibilità di energia rinnovabile a costi competitivi costituita essenzialmente dall’energia fotovoltaica e da quella eolica.

Previsioni IEA per i consumi di gas naturale secondo i due diversi scenari APS e NZE

Tra le tante altre osservazioni contenute nel rapporto ho trovato molto interessante quella relativa alle tecniche CCS ovvero ai metodi di cattura e sequestro della CO2 (a partire da pag. 90 del rapporto) che spesso vengono presentate dalle aziende del settore come una sorta di panacea che consentirebbe di continuare ad utilizzare combustibili fossili evitando che la CO2 prodotta sia dispersa nell’atmosfera.

In realtà queste tecnologie sono ancora troppo costose e di non semplice implementazione perché per funzionare in modo ottimale richiedono che i siti di cattura siano localizzati a distanza relativamente breve rispetto a quelli di immagazzinamento sotterraneo (tipicamente vecchi pozzi di gas o petrolio ormai esauriti).

Ovviamente uno potrebbe sperare che il futuro possa riservare significativi miglioramenti anche in questo settore. Tuttavia – a meno di innovazioni del tutto inaspettate – non sembra che ci siano grandi margini di miglioramento.

Il metodo che attualmente viene utilizzato consiste nel catturare l’anidride carbonica e nell’iniettarla in pozzi sotterranei che diano sufficienti garanzie di ritenzione su una scala di tempo che sia superiore ad almeno 1 secolo. Si tratta di una tecnologia “matura” con la quale non si possono fare “miracoli“.

L’alternativa – oggetto di studi molto intensi talvolta citati anche in questo blog – consiste nel trasformare l’anidride carbonica catturata in un prodotto chimico che possa essere utilizzato in alternativa a quelli prodotti partendo da combustibili fossili. In tal caso ci sono comunque dei limiti invalicabili legati alla termodinamica di reazione. La trasformazione chimica richiede un assorbimento netto di energia legata alle differenze delle entalpie di formazione dei prodotti e dei reagenti. Per mantenere il carattere “green” del processo è necessario che questa energia sia fornita da sorgenti rinnovabili (o da centrali nucleari, al netto del problema dello smaltimento delle scorie).

Ma a questo punto uno si domanda: “perché dovremmo energia rinnovabile per catturare la CO2 emessa dai combustibili fossili invece di usarla direttamente, lasciando i combustibili fossili sotto terra?”. La risposta è che l’operazione non ha senso in generale, ma solo quando i combustibili fossili sono la materia prima insostituibile per la sintesi di prodotti chimici (ad esempio fertilizzanti, farmaci, ecc.).

La convenienza ci sarebbe solo in specifiche condizioni, a meno che gli Stati – sotto la pressione delle potenti lobby dei petrolieri – non intervengano coprendo una parte consistente degli onerosi costi di gestione con finanziamenti pubblici (pagati con le tasse di tutti i cittadini). Si tratta di un rischio non banale e l’opinione pubblica deve stare molto attenta a non farsi abbindolare dalle sirene dei falsi amici del clima che in realtà lavorano per i signori del petrolio e del gas.

Attualmente tutti gli impianti operativi a livello mondiale riescono ad intercettare circa 45 milioni di tonnellate di CO2, una goccia nel mare delle emissioni di origine antropica. Molti progetti nuovi sono stati annunciati, ma poi non sempre i fatti seguono gli annunci.

Le previsioni per il futuro sviluppo di tali impianti sono le seguenti:

Previsioni IEA per lo sviluppo dei sistemi di cattura e di immagazzinamento della CO2 secondo i due diversi scenari APS e NZE. Per avere un’idea del contributo di tali tecnologie basta ricordare che nel 2022 l’utilizzo dei combustibili fossili è stato responsabile dell’emissione di circa 36,8 Gt di CO2 (di cui 15,5 Gt dovute al solo carbone).

Come si vede, nello scenario APS (rispetto degli impegni presi) il ruolo dei sistemi di cattura ed immagazzinamento della CO2 è e rimarrà piuttosto limitato (almeno fino al 2030). Un aumento più sensibile si potrebbe verificare se si realizzasse lo scenario emissioni zero (NZE). Ma anche in questo scenario oltremodo ottimista dal punto di vista climatico, si nota che il grosso della cattura avverrebbe a livello di grandi impianti industriali (eliminando la CO2 dalle emissioni degli impianti prima che vengano disperse nell’atmosfera) e solo una quota minore proverrebbe dalla cattura della CO2 direttamente dalla atmosfera. Quindi chi afferma: “continuiamo a usare le auto con i motori a combustione interna e poi – se serve – togliamo la CO2 dall’atmosfera” mente sapendo di mentire.

Il dato incontestabile è che le aziende del settore petrolio e gas continuano a presentare i metodi di cattura e immagazzinamento come uno strumento che consentirebbe loro di continuare a lavorare in una modalità “business as usual“, senza che ci sia alcun bisogno di passare alle energie rinnovabili. Almeno fino ad oggi, c’è stata una valanga di annunci, ma gli investimenti concreti sono stati estremamente limitati, anche perché le aziende legate ai combustibili fossili sanno benissimo che le attuali tecnologie di cattura ed immagazzinamento dell’anidride carbonica non sono economicamente sostenibili.

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