Un confronto relativo al mese di marzo 2023 (in pratica quando stavamo uscendo dal picco speculativo dei prezzi energetici innescato dall’invasione russa dell’Ucraina) mostra che l’Italia ha il poco raccomandabile record mondiale per il prezzo dell’energia elettrica pagato dalle aziende industriali. Qualsiasi produzione che faccia largo uso di energia elettrica rischia di andare fatalmente “fuori mercato“. La causa di questa non invidiabile situazione va attribuita a molti fattori. Si tratta di un enorme problema per le nostre aziende che spesso viene sottovalutato e che invece dovrebbe essere messo al centro dell’agenda politica.
Il dato è stato pubblicato durante lo scorso mese di ottobre dal sito statista.com (che ha usato come sorgente dei dati il sito globalpetrolprices.com) ed è stato ripreso (talvolta senza citarne correttamente l’origine) da numerose altre fonti (incluso un articolo di Federico Fubini apparso recentemente sul Corriere della Sera).
Una analisi del prezzo medio dell’energia elettrica pagato dalle utenze industriali mostra che l’Italia si trova nella non invidiabile posizione di leader a livello mondiale. Il dato è riferito al mese di marzo 2023 e – nel frattempo – le cose potrebbero essere un po’ cambiate. Tuttavia 9 mesi fa stavamo già uscendo dal picco speculativo dei prezzi energetici che era stato generato un anno prima, al momento dell’invasione russa dell’Ucraina.
La situazione attuale registra un calo generalizzato dei prezzi rispetto allo scorso mese di marzo, ma non mi aspetto che la criticità del mercato elettrico italiano sia svanita (anche perché il costo dell’energia elettrica in Italia era nettamente superiore rispetto alla media dei prezzi europei anche prima della recente crisi energetica).
Il dato italiano è impressionante, decisamente più alto rispetto a quello di tutti gli altri Paesi considerati. Un prezzo nettamente più basso rispetto all’Italia può essere facilmente spiegato per quei Paesi che dispongono di ingenti riserve di combustibili fossili o di energie rinnovabili (ad esempio idroelettrico o geotermico). Come spiega bene Federico Fubini nel suo articolo, alcuni Paesi come la Cina per abbassare il costo industriale dell’energia elettrica incoraggiano le aziende a costruire centrali termoelettriche a carbone all’interno dei loro siti industriali, senza preoccuparsi minimamente dei danni ambientali e climatici provocati da questi impianti.
Anche il caso della Francia che nel marzo scorso aveva un prezzo pari a poco meno della metà rispetto a quello italiano può essere spiegato tenendo conto che i cugini d’Oltralpe producono la loro energia elettrica soprattutto grazie ad un sistema di centrali nucleari che hanno risentito solo indirettamente del recente aumento dei costi energetici. Ma non si spiega – ad esempio – come sia possibile che un Paese povero di risorse energetiche come la Spagna possa fornire energia alle sue industrie ad un prezzo pari a circa 1/3 del prezzo italiano.
Chiunque voglia discutere di sviluppo industriale del nostro Paese (che è comunque ancora – forse per poco – la seconda potenza manifatturiera d’Europa dopo la Germania) dovrebbe partire da questo dato.
Ovviamente il prezzo pagato dalle aziende dipende da tanti fattori, a partire dalle politiche di tassazione e di incentivazione che sono adottate dai Governi nazionali. Ci sono poi i costi di approvvigionamento, con l’Italia che si è trovata in una situazione di grave crisi energetica quando sono venute improvvisamente a mancare le forniture di gas russo a basso costo alle quali ci eravamo affidati in passato. Anni fa non facemmo una scelta lungimirante ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze.
Le cause sono diverse e sarebbe troppo lungo discuterle in dettaglio, una ad una. Risulta comunque evidente che il costo dell’energia elettrica grava sui bilanci delle industrie italiane in modo eccessivo, minandone alla base la competitività. Siamo in una situazione paradossale, con i costi energetici alle stelle, mentre gli stipendi dei lavoratori dipendenti sono nettamente inferiori rispetto a quelli dei nostri principali concorrenti europei. Sorge spontaneo il sospetto che ci sia “qualcosa che non va“.
Il Governo Meloni, invece di inventarsi con cadenza almeno settimanale una nuova “polemica di distrazione di massa“, farebbe bene a porre questo problema al centro dell’agenda politica, avviando urgentemente azioni concrete per porvi rimedio. Magari utilizzando anche i proventi della tassazione sugli extra-profitti delle aziende energetiche, quella stessa tassa che il Governo italiano ha recentemente deciso di ridurre.
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