La pesca a strascico, oltre ai tanti danni ambientali, produce anche un significativo aumento delle emissioni di anidride carbonica

Il metodo della pesca a strascico è stato spesso criticato per i numerosi danni che produce all’ecosistema marino. Uno studio recente ha dimostrato che oltre ai danni ambientali, questo tipo di pesca ha un effetto negativo anche sul clima a causa del rilascio in atmosfera di una parte significativa dell’anidride carbonica immagazzinata nei sedimenti marini che vengono movimentati durante le operazioni di pesca.

Il mare è la maggiore riserva di anidride carbonica del pianeta. Una parte della CO2 è sciolta nelle acque marine, contribuendo ad abbassarne il pH, ma la maggior parte è contenuta nei sedimenti che si accumulano sui fondali marini.

Quando i sedimenti marini vengono mossi a causa dell’azione meccanica provocata dai pescherecci che praticano la pesca a strascico si verificano una serie di fenomeni che producono il rilascio di parte dell’anidride carbonica immagazzinata nei fondali. L’effetto immediato è quello di produrre un aumento dell’acidità localizzato nelle zone di pesca. Entro pochi anni almeno la metà della CO2 liberata viene rilasciata nell’atmosfera. Si stima che le emissioni annuali generate dalle pratiche di pesca a strascico ammontino a circa 350 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Secondo gli Autori, nel periodo compreso tra il 1996 ed il 2020 la pesca a strascico ha prodotto un aumento di 0,97 ppm della CO2 atmosferica. Ulteriori 0,2-0,5 ppm di CO2 potrebbero essere rilasciate entro il 2030. Tali valore sono in assoluto piccoli rispetto all’aumento complessivo di anidride carbonica che si registra annualmente (circa 2,4 ppm), ma non sono comunque trascurabili. D’altra parte va ricordato che se vogliamo abbattere le emissioni di CO2 bisogna agire su una molteplicità di fonti e non illuderci che il problema possa essere risolto agendo solo su un numero limitato di fattori.

La pesca a strascico fornisce circa 1/4 del pescato raccolto a livello mondiale (in Italia tale quota sale a circa 1/3) ed è stata pesantemente criticata per i danni che provoca all’ecosistema marino. Ora sappiamo che produce anche significativi danni climatici.

Continuare con questa pratica di pesca sostenendo che “non si debbono abbandonare le nostre tradizioni marinaresche” e prendendosela con l’Europa quando cerca (con scarsi risultati, ahimè) di imporre comportamenti più rispettosi per l’ambiente non risolve le criticità a lungo termine dei pescatori.

Il settore è gravato da una infinità di problemi che vanno dall’aumento dei costi energetici alla resa sempre più bassa dovuta alla combinazione di eccesso di pesca, inquinamento e aumento delle temperature dei mari. Talvolta la responsabilità dei problemi ricade sulle spalle degli stessi pescatori che poi si lamentano per le criticità che li affliggono (si pensi ad esempio all’annosa questione delle reti abbandonate sui fondali). La situazione è molto complicata e non ci sono ricette semplici per garantire alla pesca un futuro solido e sostenibile.

Le ultime prese di posizione del Ministro/cognato non ci fanno ben sperare. Così come lascia perplessi la il recente intervento di Legacoop Agroalimentare che si scaglia contro i progetti di installazione di centrali eoliche offshore perché ridurrebbero di poco più del 10% le aree marine dove in Italia si pratica la pesca a strascico.

Sembra che tutti siano arroccati su una visione ancorata al passato. Forse si illudono che i problemi si possano risolvere da soli, ma purtroppo non è così che vanno le cose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.