La via europea verso “Net Zero”: è solo un obiettivo caro ai militanti del clima o conviene anche dal punto di vista economico?

Un rapporto rilasciato recentemente dall’Institut Rousseau fa il punto sulla riduzione delle emissioni climalteranti europee da oggi fino al 2050. Il documento è stato commissionato dai Verdi europei in previsione delle prossime elezioni europee. Si tratta quindi di un documento che potrebbe essere affetto da un forte bias ideologico. Tuttavia – prima di liquidarlo sommariamente come un documento “di parte” varrebbe la pena che chiunque facesse uno sforzo per leggerlo senza pregiudizi. Oggi l’Europa spende centinaia di miliardi all’anno per importare combustibili fossili e per incentivarne l’uso. Se la metà di quei soldi fosse investita correttamente potremmo liberare l’Europa dai combustibili fossili. L’Europa – da sola – non risolverebbe certamente il problema del riscaldamento globale, ma potrebbe migliorare considerevolmente la qualità dell’aria delle sue città, riconquistando la sovranità energetica che ha perso a causa delle importazioni di gas e petrolio. Alla fine – oltre all’ambiente e al clima – ci guadagnerebbero anche i nostri portafogli.

Il documento rilasciato recentemente dall’Institut Rousseau (un centro di ricerca francese che si occupa di tematiche ambientali e climatiche) fa il punto sul processo di riduzione di emissioni climalteranti che è in atto in Europa. La tendenza generale è quella verso una progressiva riduzione delle emissioni, anche se – a normativa vigente – siamo ancora molto lontani dall’obiettivo di arrivare ad emissioni “zero” entro il 2050.

A differenza di quanto sta accadendo in altre zone del mondo (prime fra tutte la Cina e l’India) i Paesi europei hanno superato ormai da molti anni il punto di picco delle emissioni climalteranti ed hanno già avviato numerosi programmi dedicati ad una loro ulteriore riduzione. Il grafico seguente ci mostra l’andamento registrato fino ad oggi e le previsioni per il futuro:

Emissioni annuali di gas climalteranti (espresse come milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Le proiezioni WEN si riferiscono all’andamento previsto se saranno mantenuti gli impegni già assunti, senza fare ulteriori passi in avanti per la riduzione delle emissioni (crediti: figura Institut Rousseau)

Arrivare a zero emissioni richiede l’attuazione di una molteplicità di interventi che vanno da un uso più razionale dell’energia fino a pratiche efficaci di riutilizzo e di riciclo dei prodotti. Un ruolo fondamentale dovrà essere assicurato dalle energie rinnovabili, mentre calerà progressivamente il contributo dei combustibili di origine fossile.

Il rapporto non fa alcun cenno all’energia nucleare (anche il rapporto completo costituito da ben 179 pagine non cita mai l’energia nucleare) e questo appare paradossale considerato che è stato scritto in Francia. Probabilmente – tenuto conto che era stato commissionato dal partito Verde – si è preferito glissare sull’argomento e questa – a mio avviso – non è stata una buona scelta.

Comunque – pur con i suoi limiti – il documento mette in evidenza alcuni numeri difficilmente confutabili. In particolare:

  1. Il livello degli investimenti attuali e di quelli già programmati per il futuro per favorire la transizione energetica dell’Europa non è sufficiente per raggiungere il livello di emissioni “zero” entro il 2050.
  2. Gli investimenti aggiuntivi necessari sono ingenti. Si stima che bisognerebbe aggiungere poco più del 2% del PIL europeo. Per intenderci stiamo parlando più o meno della stessa cifra che l’Europa investe per gli armamenti. Investire per il clima può apparire – a prima vista – qualcosa di insensato anche perché la “piccola” Europa – per quanto virtuosa – non incide più di tanto sulle emissioni globali, dominate dalle economie asiatiche in forte crescita (India e Cina prime fra tutte).
  3. Le cose cambiano se andiamo a vedere quanto spende ogni anno l’Europa per importare gas naturale e petrolio e per sostenere l’utilizzo di queste forme di energia (ad esempio attraverso gli incentivi che vengono dati alle aziende più energivore). Contrariamente al mantra che ci viene ripetuto ogni giorno dai politici amici dei petrolieri, le energie fossili non sono più una fonte di energia facilmente reperibile e a basso costo come poteva essere 50 anni fa. Oggi l’Europa spende annualmente centinaia di miliardi di Euro per i combustibili fossili. Se la metà di questi soldi fosse oculatamente investita per sostenere estesi programmi di risparmio energetico e di sviluppo delle energie rinnovabili potremmo ridurre drasticamente le importazioni di combustibili fossili, risparmiando molti soldi e soprattutto sottraendoci ai ricatti di natura geo-politica dei nostri fornitori esteri.

Il messaggio principale che mi sento di condividere è che abbandonare il più rapidamente possibile i combustibili fossili non è solo un’azione importante per migliorare l’aria delle nostre città e per contribuire a ridurre le emissioni climalteranti. Uscire dai combustibili fossili significa – per l’Europa – conquistare una “sovranità energetica” che attualmente l’Europa non ha.

Ovviamente per raggiungere tale risultato c’è bisogno di impostare un programma di medio-lungo termine che valorizzi il contributo dei diversi Paesi e favorisca la nascita di un settore industriale europeo legato alla transizione energetica che non sia dipendente dalla Cina o da altri Paesi.

C’è bisogno di visione e servono investimenti cospicui. Solo una soluzione europea può avere la massa critica necessaria per raggiungere obiettivi così ambiziosi, ma – come sta dicendo da mesi Mario Draghi – o l’Europa si impegna veramente verso obiettivi ambiziosi, oppure si ridurrà ad un “castello di carte” che prima o poi crollerà.

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