Anche Trino si ritira e adesso dove le mettiamo le scorie nucleari?

Il sindaco di Trino Vercellese ha ufficialmente ritirato la candidatura del suo comune per ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari. La proposta era stata molto criticata a causa del potenziale pericolo di inondazioni che caratterizza il territorio dove si sarebbe dovuto costruire il deposito. Fino ad oggi, nessuno dei 51 comuni che erano stati identificati come tecnicamente idonei per accogliere le scorie nucleari italiane (Trino Vercellese non era tra loro) ha manifestato la sua disponibilità ad ospitare l’impianto. Un bel guaio perché continuiamo a non sapere dove mettere le scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali dismesse dopo il referendum abrogativo del 1987 e quelle che vengono continuamente prodotte dai centri di ricerca, dalle aziende e dagli ospedali. Per non parlare delle scorie che si potrebbero aggiungere se l’Italia dovesse costruire nuove centrali nucleari.

Quello delle gestione delle scorie nucleari è un bel problema per tutti i Paesi, ma per l’Italia è un problema particolarmente grave considerata la fragilità idro-geologica e la natura sismicamente “ballerina” di gran parte del nostro Paese. A questo si aggiunge un atteggiamento della popolazione che sembra ispirato al più totale “Not In My BackYard“.

In Italia abbiamo accumulato fino ad oggi circa 31 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. Si tratta di materiale rimasto dopo lo smantellamento delle (poche) centrali nucleari che hanno operato in Italia fino al 1987 (anno del referendum abrogativo del nucleare) e dei rifiuti radioattivi che vengono prodotti dai laboratori di ricerca, dagli ospedali e da alcune attività industriali.

Va sottolineato che la maggior parte delle scorie radioattive presenti nelle barre di combustibile delle vecchie centrali nucleari italiane non si trova in Italia. Il combustibile esausto è stato “temporaneamente” esportato all’estero (in Francia ed in Gran Bretagna) dove è stato trattato per estrarre le componenti riutilizzabili ed ora attende di essere reimportato in Italia.

Chi sperasse che lo scorrere del tempo faciliti l’individuazione di una soluzione non si faccia illusioni: si tratta di radioisotopi che hanno una vita media che può arrivare fino a centinaia di migliaia di anni!

Trovare una sistemazione “definitiva” per questo materiale non è una cosa semplice perché i depositi di scorie nucleari – oltre ad essere esenti da rischi idro-geologici e sismici ed essere lontani da grossi centri abitati – devono garantire una stabilità strutturale su tempi di scala geologica.

Il problema dell’individuazione di un sito adatto per conservare le scorie nucleari non è semplice e l’Italia non lo mai affrontato seriamente. Attualmente le scorie presenti sul territorio nazionale sono distribuite in diverse località (Trino Vercellese è una di queste perché a suo tempo ospitava una piccola centrale nucleare). La dispersione del materiale nucleare su una molteplicità di siti pone problemi di natura economica e soprattutto di sicurezza. Senza contare che alcuni siti sono assolutamente inidonei allo scopo perché soggetti a rischio di inondazioni o di terremoti.

La individuazione di un unico sito nazionale nel quale concentrare tutte le scorie nucleari italiane è una condizione essenziale se si vuole dare credibilità ai programmi di rilancio dell’energia nucleare in Italia di cui abbiamo tanto sentito parlare da quando si è insediato il Governo Meloni. Lo sviluppo di nuove centrali renderà il problema più acuto sia in termini di quantità, sia soprattutto per quanto riguarda la complessità di gestione. Questo è particolarmente vero se si dovesse dare corso all’idea – che personalmente non condivido – di costruire mini reattori nucleari di terza generazione (a neutroni lenti).

Le scorie prodotte dai reattori nucleari a neutroni lenti contengono una quantità di radioisotopi caratterizzati da una lunghissima vita media e da una elevata pericolosità. Se davvero l’Italia volesse dotarsi di una rete di centrali nucleari di questo tipo dovrebbe poter disporre di impianti per il trattamento delle scorie, senza dipendere – come è sempre stato fatto in passato – dal “turismo nucleare” basato sull’utilizzo di impianti esteri.

Una soluzione ottimale sarebbe quella di raggruppare – in un unico sito nazionale – sia il deposito vero e proprio che gli impianti per il trattamento delle scorie radioattive. In questo modo si ridurrebbe al minimo il viavai di pericolosi materiali nucleari, assicurando che vengano rispettati sia i vincoli di natura economica che quelli legati alla sicurezza.

A questo punto però, sembra che sia svanita la possibilità di individuare a breve la località destinata ad ospitare il centro di raccolta nazionale delle scorie nucleari. Probabilmente il Governo dovrà agire d’imperio, scegliendo uno dei 51 comuni che sono stati valutati come “tecnicamente idonei“. Siamo sicuri che gli abitanti del luogo prescelto non saranno affatto contenti e proveranno in tutti i modi ad opporsi alla decisione.

Speriamo che – tra una elezione e l’altra – il Governo trovi il tempo per affrontare la questione.

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