Il BIOmetano NON ci dà una mano

Il bilancio 2023 di SNAM, società che gestisce la rete dei gasdotti italiani, include una svalutazione pari a ben 186 milioni di Euro per gli investimenti relativi al biometano ottenuto da digestione anaerobica della frazione umida dei rifiuti urbani. La decisione di SNAM è motivata dalle difficoltà riscontrate nel reperimento della materia prima, specialmente nel nord Italia. A differenza di quanto sostiene il Ministro Pichetto Frattin, i biocarburanti non sono una reale alternativa rispetto ai combustibili di origine fossile perché se volessimo produrli in quantità adeguata dovremmo rinunciare ad una parte consistente delle produzioni agricole destinate all’alimentazione (umana e animale). L’unica alternativa sarebbe quella di diventare tutti vegetariani e di chiudere gli allevamenti intensivi.

I lettori “diversamente giovani” di questo blog ricordano certamente lo slogan pubblicitario “il metano ci dà una mano” che durante gli anni ’80 del secolo scorso accompagnò il programma di metanizzazione dell’Italia. Leggendo il bilancio 2023 di SNAM viene spontaneo pensare che lo slogan non valga più, almeno per quanto riguarda il cosiddetto biometano.

Nel corso degli ultimi anni SNAM aveva investito pesantemente in questo settore, puntando in particolare sul biometano che si ottiene tramite digestione anaerobica della frazione umida dei residui urbani. I progetti di SNAM non sono andati a buon fine. Secondo l’azienda sono state riscontrate carenze di materia prima per la produzione di biometano, specialmente nel nord Italia. Questo ha costretto SNAM a svalutare per 186 milioni gli investimenti fatti (trovate questo importo alla voce “Svalutazione attività non ricorrenti” del bilancio consuntivo).

Si tratta di un importo consistente che incide per una quota pari ad oltre il 10% sull’utile di esercizio 2023. Non è un dramma per una azienda che, nel 2023, ha realizzato ricavi per oltre 4 miliardi di Euro, ma è certamente un campanello d’allarme per chi ritiene che i combustibili di origine biologica possano diventare competitivi rispetto a quelli di origine fossile.

Non è un mistero che il Governo italiano insista nel proporre i cosiddetti biocombustibili come una alternativa “amica del clima” rispetto ai combustibili fossili. In realtà bastano pochi semplici conti per capire che la produzione di biocombustibili partendo da prodotti di scarto (come – ad esempio – la frazione umida dei rifiuti urbani o gli scarti di alcune produzioni agricole) non basta per rispondere alla domanda. Sarebbe già un enorme successo se riuscissimo ad ottenere una quantità di biocarburanti sufficiente per sostenere alcuni specifici settori di difficile decarbonizzazione.

Se volessimo far uscire i biocombustibili dalla marginalità bisognerebbe che gli italiani accettassero un cambiamento di massa delle loro abitudini alimentari. Oggi la maggior parte della produzione agricola è utilizzata per rifornire di mangimi gli allevamenti intensivi di animali destinati all’alimentazione umana. Aldilà delle condizioni problematiche che caratterizzano molti allevamenti intensivi dal punto di vista energetico, sanitario, ambientale e climatico, questa catena alimentare è molto inefficiente ed è responsabile – tra l’altro – di una ampia quota delle emissioni climalteranti.

Senza contare gli ingenti investimenti europei (circa 400 miliardi di Euro in 7 anni) che vengono spesi per sostenere questo tipo di politica agricola. Sono tutti soldi dei contribuenti che finiscono in gran parte nelle tasche delle grandi multinazionali alimentari e che – solo parzialmente – aiutano le aziende agricole di dimensioni medio-piccole.

Se – ipoteticamente – tutti accettassimo di diventare vegetariani – oltre a guadagnarci in salute – potremmo liberare una parte delle attuali produzioni agricole destinandole eventualmente alla produzione di biocarburanti. Ma stiamo parlando di una ipotesi del tutto irrealistica che non ha alcuna possibilità di essere realizzata.

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