Il superamento del “limite di diffrazione” consentirà di costruire memorie di massa ottiche ad elevatissima capacità e a basso consumo

Lo sviluppo delle applicazioni di intelligenza artificiale richiede che venga gestita una enorme quantità di dati. Ad esempio, GPT utilizza una base dati di dimensioni pari a poco meno di 60 Pb (si legge petabit = 1015 bit). Queste informazioni devono essere immagazzinate utilizzando memorie di massa (tipicamente, dischi rigidi magnetici) che causano un enorme consumo di spazio e di energia. Alcune stime prevedono che l’intelligenza artificiale assorbirà – tra breve – una parte significativa di tutta l’energia elettrica prodotta a livello mondiale. Il risultato raggiunto da M. Zhao et al. (pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature) cambia le carte in tavola e dimostra che le memorie di massa ottiche potrebbero diventare una valida alternativa per immagazzinare i dati utilizzati dall’intelligenza artificiale, con un grande risparmio di spazio e di consumi energetici. Questo risultato è stato ottenuto aggirando il cosiddetto “limite di diffrazione“, uno dei fondamenti dell’ottica classica.

Il limite di diffrazione può essere spiegato dicendo che utilizzando un raggio di luce di una certa lunghezza d’onda (λ) non è possibile “manipolare” strutture la cui dimensione sia inferiore rispetto a λ. Quando utilizziamo luce visibile parliamo di una lunghezza limite compresa nell’intervallo compreso tra circa 400 e 700 nm (si legge nanometri). Questo pone un forte limite alla capacità massima dei dispositivi di memoria ottici che utilizzano luce per scrivere e leggere le informazioni.

Il problema attira da tempo l’attenzione dei ricercatori, soprattutto alla luce delle crescenti richieste legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Le memorie di massa di tipo ottico usate attualmente (ad esempio i dischi di tipo Blu-ray) – pur presentando buone caratteristiche dal punto di vista della stabilità nel tempo e dei ridotti consumi energetici – hanno una capacità di accumulo dei dati relativamente bassa e questo ne limita fortemente l’uso.

Nature ha recentemente pubblicato il risultato di una ricerca interamente “made in China“, nel quale viene descritto un metodo ingegnoso per aggirare il “limite di diffrazione” utilizzando una struttura costituita da 100 dischi sovrapposti di un particolare materiale che può essere scritto e successivamente letto utilizzando – per ciascuna delle 2 funzioni – una combinazione di 2 laser sovrapposti. In tal modo i ricercatori cinesi sono riusciti a scrivere e a leggere le informazioni digitali in una struttura tridimensionale, con una risoluzione spaziale dell’ordine di λ/10.

Non mi dilungo sui dettagli tecnici che interessano solo una ristretta cerchia di specialisti. Qui mi limito a mettere in evidenza che questo non è certamente il primo lavoro nel quale vengono descritti approcci sperimentali in grado di superare il “limite di diffrazione“. Il limite rimane valido così come è enunciato nell’ambito dell’ottica classica e viene solo “aggirato” grazie alla sapiente scelta delle condizioni sperimentali.

L’estrema risoluzione spaziale e la struttura 3D ottenuta grazie all’utilizzo di dischi sovrapposti ha consentito di costruire un dispositivo delle dimensioni di un comune DVD con una capacità di memoria pari circa 1 Pb. Dal punto di vista pratico questo significa che uno dei grandi centri dati che oggi sono utilizzati per gestire i dati usati dalle applicazioni di intelligenza artificiale (sono veri e propri capannoni industriali fortemente energivori) potrebbe essere ridotto alle dimensioni di un grande armadio, ottenendo anche una fortissima contrazione dei consumi energetici.

Confronto delle dimensioni – a parità di capacità di immagazzinamento dei dati – del nuovo tipo di disco ottico (a sinistra) con un disco Blu-ray (al centro) e con un disco rigido di tipo magnetico (a destra) (crediti: tratto da M. Zhao et al., Fig. 1)

Al momento, i nuovi dischi ottici descritti su Nature sono ancora un prototipo da laboratorio e non aspettatevi di poterli acquistare a breve su qualche sito di commercio online cinese, ma ci sono pochi dubbi che la strada aperta da M. Zhao et al. porterà rapidamente ad uno sviluppo tecnologico che potrebbe ridurre sostanzialmente i requisiti energetici di alcune popolari applicazioni dell’intelligenza artificiale.

Concludo con una osservazione dedicata a quei politici di casa nostra che parlano della Cina con sufficienza, credendo che i produttori cinesi siano solo dei bravi “copiatori” delle tecnologie sviluppate da altri. Il lavoro di M. Zhao et al. è sintomatico di un ecosistema della ricerca che vede la Cina ormai all’avanguardia in numerosi settori strategici.

Lamentarsi del fatto che la Cina stia assumendo una posizione dominante non serve a nulla e sbaglia profondamente chi si illude che la risposta alla sfida cinese si possa trovare nelle politiche di tipo protezionistico. I Paesi occidentali ed – in particolare l’Europa – non sono affatto tagliati fuori a livello di ricerca di base, ma poi quando arriviamo al dunque manca la capacità di fare massa critica e di trasformare la ricerca di base in nuove tecnologie. Con buona pace dei mega-programmi di ricerca e sviluppo annunciati a livello nazionale ed europeo.

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