Le grandi sfide del nostro tempo non sono solo causa di grandi preoccupazioni, ma aprono la strada anche a grandi opportunità (purché siamo in grado di coglierle!)

In questi giorni il Trentino è scosso da polemiche legate alla migrazione verso città più ospitali di alcune start-up di successo nate grazie al lavoro di ricerca portato avanti dall’Università di Trento e dagli altri centri di ricerca del Trentino. Purtroppo la politica trentina non pare avere ben chiaro che le grandi sfide del nostro tempo (salute, ambiente, energia, clima, migrazioni) oltre ad essere causa di grandi preoccupazioni possono trasformarsi in grandi opportunità. Affinché ciò avvenga servono lungimiranza, risorse (umane e finanziarie), chiarezza di obiettivi e capacità di agire su una scala dei tempi che può essere lunga, ma che talvolta è caratterizzata da improvvise accelerazioni. Con la burocrazia e con la politica dalla vista corta non si va da nessuna parte.

Essendo stato – a suo tempo – il rettore che ha fortemente voluto la nascita del Cibio, vi confesso di avere provato una certa amarezza quando ho saputo che il Trentino si è fatto sfuggire Sybilla, quella che – fino ad oggi – è stata la start-up di maggiore successo prodotta della ricerca trentina nel campo delle biotecnologie. L’episodio – di per sé spiacevole – potrebbe rientrare nella “normalità” del difficile settore ‘”high-tech” se non fosse stato accompagnato da altri casi più o meno simili.

In pratica, l’Università e la rete degli istituti di ricerca trentini investono ingenti capitali (provenienti per una parte consistente dalla Provincia autonoma e con un contributo significativo dell’Unione Europea e della Fondazione Caritro) per formare giovani ricercatori e per stimolare la ricaduta delle loro scoperte in campo industriale. Ma poi – nei casi di successo – sembra che il Trentino non rappresenti l’ecosistema adatto per favorire la crescita delle nuove iniziative industriali. Meglio migrare verso città più grandi, dotate di strutture industriali adeguate e flessibili, ben collegate alla rete dei trasporti internazionali e con un più facile accesso al mercato dei capitali.

Rimane (ma è ben poca cosa) la soddisfazione di aver fatto le cose per bene e di aver formato giovani ricercatori capaci ed intraprendenti, ma – in termini di ritorno economico – al Trentino restano solo le briciole.

Di fronte a questa situazione, sono rimasto francamente sorpreso dalle dichiarazioni dell’Assessore provinciale con delega alla ricerca che ha provato un po’ maldestramente a dare la colpa di tutto ciò ai suoi predecessori (forse dimenticando che occupa tale incarico da più di 5 anni) e poi ci ha assicurato che entro il 2027 (sic!) troverà delle soluzioni adeguate per affrontare il problema. Peccato che 3 anni siano un’eternità per il mondo delle nuove tecnologie che non sta certamente ad aspettare i comodi della burocrazia provinciale.

Spesso in Italia (ed anche in Europa) si discute sulla nostra scarsa capacità di passare dalla ricerca di base (nella quale occupiamo una posizione di rilievo a livello internazionale) alla applicazione industriale delle scoperte scientifiche (che ci vede inseguire affannosamente gli Stati Uniti e – ormai da qualche tempo – anche la Cina).

In vita mia ho partecipato ad una infinità di dibattiti e convegni dedicati alla discussione di questo tema e l’idea che mi sono fatto è che spesso manca una visione globale del problema. Trasformare una scoperta scientifica in una iniziativa industriale di rilievo è un processo ad altissimo rischio (il tasso di successo è normalmente molto basso) che implica una sequenza di passaggi molto articolata. Se salta anche solo uno di questi passaggi tutto il processo si arresta.

Ci sono modi diversi per garantire le condizioni più adatte alla crescita delle aziende ad alta tecnologia. Si va dal modello capitalista “classico” degli Stati Uniti fino al capitalismo “di Stato” cinese, ma tutti hanno una caratteristica comune: le aziende che portano sul mercato prodotti nuovi devono poter raccogliere capitali di rischio con relativa facilità e devono disporre di spazi ed infrastrutture adeguate. Un altro elemento fondamentale è che non siano sole: una azienda ad alta tecnologia dispersa in un mare di aziende tradizionali fatica a sopravvivere. La burocrazia è il loro nemico principale perché rallenta inevitabilmente i processi e – per queste aziende – arrivare sul mercato internazionale anche con solo pochi mesi di ritardo può fare la differenza.

Le start-up trentine che hanno deciso di lasciare la nostra provincia per trasferirsi altrove hanno evidentemente valutato che l’ambiente trentino fosse d’ostacolo per il loro ulteriore sviluppo. La cosa non mi sorprende conoscendo le difficoltà logistiche del Trentino e la carenza di infrastrutture di supporto idonee per garantire la crescita di aziende innovative.

Purtroppo la logica provinciale è ancora troppo focalizzata sul sostegno alle attività di tipo più tradizionale. Probabilmente finanziare nuovi impianti di risalita o sistemi di innevamento artificiale porta molti più voti rispetto a quelli che possono arrivare da investimenti nelle aziende biotecnologiche o in quelle che si occupano della transizione energetica. Ma se guardiamo alle prospettive per il futuro, solo avendo una industria moderna e competitiva il Trentino potrà incassare imposte sufficienti per sostenere anche le attività economiche più mature (che – tra l’altro – rischiano di essere messe a dura prova dalla crisi demografica e da quella climatica).

Trattenere in Trentino le aziende di successo nate grazie agli investimenti fatti nella ricerca e nella formazione dei giovani ricercatori (e possibilmente attrarne anche da fuori provincia) è una priorità assoluta se vogliamo garantire un futuro solido a tutto il Trentino, anche a quello ancorato alle attività più tradizionali.

Mi pare che questo semplice concetto sfugga a molti dei nostri attuali governanti (a cominciare da quelli che fanno spallucce di fronte all’accusa di “non avere visione” perché evidentemente ritengono che l’unica cosa importante sia agire per risolvere i problemi “del giorno” senza bisogno di avere una prospettiva di lungo termine). Questo è un vero peccato perché se continueremo a perdere le opportunità generate dal mondo della ricerca il futuro della nostra piccola provincia non sarà dei migliori.

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