Si stima che l’energia consumata dagli Stati Uniti in 100 anni (al livello attuale dei consumi) corrisponda solo allo 0,1% dell’energia termica che è contenuta nelle rocce del sottosuolo. Parliamo in particolare delle cosiddette SHR – Super Hot Rocks, rocce che si trovano nella fascia di profondità compresa tra circa 3 e 10 km ed hanno una temperatura superiore a 374°C (condizione necessaria per poter generare acqua allo stato supercritico). Fino ad oggi i diversi tentativi fatti (anche in Italia) per sfruttare sorgenti geotermiche profonde non hanno mai avuto successo. Ci sono numerosi limiti tecnologici da superare, senza contare i problemi di sismicità indotta. Una relazione presentata ad un convegno di geologia che si è svolto recentemente presso l’Università di Stanford ha fatto il punto sulla situazione e sulle prospettive future della geotermia SHR.
In Italia l’energia geotermica fornisce un contributo pari a circa il 2% della produzione totale di energia elettrica. Le attività di maggiore rilievo sono localizzate in Toscana (Lardarello) ed utilizzano i cosiddetti soffioni boraciferi (getti di vapor d’acqua ad alta pressione che fuoriescono dal sottosuolo mescolati ad anidride solforosa e a sali minerali). Si tratta di attività ben consolidate, ma che purtroppo non sono suscettibili di ulteriori sviluppi: le sorgenti naturali di calore a cui possiamo avere accesso sono ben note ed è estremamente improbabile che ne vengano identificate di nuove.
Il discorso potrebbe cambiare radicalmente se – invece di limitarci allo sfruttamento delle sorgenti naturali – fossimo in grado di effettuare trivellazioni a grande profondità (parliamo di distanze dell’ordine di 3 – 10 km) fino a raggiungere lo strato di rocce sotterranee che si trovano a temperatura superiore a 374°C (le cosiddette SHR – Super Hot Rocks). Questa temperatura corrisponde alla soglia oltre la quale (se si verificano anche adeguate condizione di pressione) l’acqua raggiunge le cosiddette condizioni supercritiche. Tali condizioni permettono di immagazzinare una elevata quantità di energia per unità di massa aumentando considerevolmente l’efficienza del meccanismo di estrazione del calore dalle rocce sotterranee. L’acqua supercritica una volta arrivata in superficie può essere utilizzata per alimentare una turbina e produrre energia elettrica pulita e priva di emissioni climalteranti.
Taluni ritengono che lo sfruttamento su scala intensiva della geotermia profonda potrebbe fornire energia rinnovabile in grandi quantità ed a costi relativamente contenuti. Tuttavia va detto che – almeno fino ad oggi – tutti i tentativi fatti per attivare tale fonte di energia non hanno mai avuto successo.
I problemi da superare sono numerosi. Prima di tutto va ricordato che le attuali tecniche di trivellazione (sviluppate per la ricerca di petrolio o di gas naturale) non sono adatte per effettuare scavi quando la temperatura delle rocce diventa troppo elevata. Si è ipotizzato di usare le trivelle tradizionali per effettuale la prima parte dello scavo e di proseguire nelle zone più profonde e calde sostituendo le frese metalliche con tecniche basate su radiazione a microonde in grado di fondere lo strato roccioso. Ma parliamo – almeno per il momento – di idee ancora in fase embrionale che richiedono una lunga e costosa fase di sviluppo.
Aldilà dei problemi tecnici, l’altra grossa incognita è quella della sismicità indotta, legata non tanto alla trivellazione, ma all’iniezione di acqua che deve essere continuamente immessa nei pozzi per estrarre il calore contenuto nelle rocce. Questo processo può determinare fratture e crolli locali che – a loro volta – possono innescare fenomeni sismici di ampiezza più ampia.
I geologi non hanno una opinione consolidata sui fenomeni di sismicità indotta e soprattutto sui metodi più adatti per prevenirla o – almeno – mitigarla. Certamente non è raccomandata l’installazione di pozzi geotermici profondi in prossimità di centri abitati (e questo è certamente un grosso limite per lo sviluppo di tali sorgenti di energia in territori densamente popolati come l’Italia).
Altri Paesi caratterizzati dalla presenza di vaste aree con un ridottissima densità abitativa potrebbero rivelarsi più adatti. Ad esempio, gli Stati Uniti stimano che entro il 2050 dovranno installare tra 700 e 900 GW di nuove sorgenti di energia “carbon-free“. Una quota variabile tra 90 e 300 GW dovrebbe provenire da fonti geotermiche. Si tratta di un forte impegno che dovrà essere sostenuto da un adeguato sviluppo tecnologico. Chi fosse interessato a saperne di più è invitato a leggere il rapporto “DOE – Next generation geothermal power – Pathways to commercial litoff“.
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