È stata pubblicata la direttiva europea 2024/825 del 28/02/2024 che introduce norme più severe per difendere i consumatori rispetto ad alcune pratiche commerciali scorrette. In particolare, la direttiva si propone di combattere il fenomeno del greenwashing e la cosiddetta “obsolescenza veloce programmata“. Si tratta di azioni che – oltre a danneggiare i consumatori – producono un impatto molto negativo su ambiente e clima. Adesso i singoli Stati hanno tempo fino al 2026 per recepire la direttiva all’interno delle rispettive legislazioni nazionali.
Il testo della direttiva europea 2024/825 non è di facile comprensione per i non addetti ai lavori, ma risponde all’esigenza sempre più sentita di difendere i consumatori rispetto a certe pratiche commerciali particolarmente scorrette. In particolare, la direttiva fa riferimento al cosiddetto greenwashing ovvero al metodo adottato da alcune aziende per millantare inesistenti vantaggi dei loro prodotti dal punto di vista ambientale e climatico. D’ora in avanti le aziende che sosterranno di realizzare prodotti “verdi” o “ad impatto zero” senza poter dimostrare quantitativamente le loro affermazioni rischieranno multe milionarie. Saranno altresì vietate tutte le affermazioni ambigue o troppo generiche che possono trarre in inganno i consumatori facendo intendere che i loro prodotti abbiano caratteristiche che in effetti non possiedono o possiedono solo in parte.
Una particolare attenzione sarà data all’intero ciclo di vita dei prodotti (dalla produzione iniziale fino all’eventuale riciclo ed allo smaltimento finale). Questo significa che non potrà più essere spacciato come “sostenibile” un prodotto che sia tale solo durante il suo utilizzo da parte del consumatore, dimenticando i carichi prodotti sull’ambiente e sul clima in fase di costruzione e di smaltimento finale.
La direttiva specifica anche che il concetto di “sostenibilità” si deve intendere in senso ampio e deve considerare anche gli aspetti legati alla cosiddetta sostenibilità sociale. Un prodotto che sia effettivamente a basso impatto ambientale e climatico ma che – ad esempio – sia costruito sfruttando il lavoro minorile non potrà essere considerato sostenibile.
Un’altra pratica commerciale disonesta presa di mira dalla nuova direttiva europea è quella della cosiddetta “obsolescenza veloce programmata” ovvero la messa in vendita di prodotti progettati per guastarsi o per diventare comunque obsoleti in tempi artificialmente accelerati in modo da indurre i consumatori ad un loro rapido ricambio.
In un mondo che ha fatto del consumismo una sorta di religione universale non sarà facile convincere i consumatori a cambiare atteggiamento, evitando di intasare le discariche con prodotti relativamente recenti per correre dietro all’ultimissimo modello. Non credo che una direttiva europea – per quanto importante – possa ribaltare un atteggiamento così diffuso.
La nuova direttiva è comunque di un passo importante per farci capire l’importanza della riparazione e del riciclo, strumenti essenziali per aumentare il ciclo di vita dei prodotti che noi utilizziamo. Quando tutti capiremo che possedere l’ultimissimo modello di un cellulare non è uno status symbol, ma talvolta può rappresentare solo un inutile spreco, ci saranno ricadute positive sia per i nostri portafogli che per l’ambiente ed il clima.
Come per tutte le direttive europee, bisognerà attendere un po’ di tempo prima che se ne possano vedere le ricadute. Gli Stati europei hanno tempo 2 anni per recepire la nuova direttiva a livello legislativo ed un ulteriore semestre per darne pratica attuazione. In pratica, alla fine del 2026 dovrebbe entrare a regime.
Scrivo dovrebbe perché già immagino il fuoco di sbarramento che sarà scatenato da talune forze politiche “sovraniste” che cercano di ostacolare qualsiasi provvedimento che arrivi dall’Unione Europea, senza contare l’azione di lobby delle aziende che guadagnano un sacco di soldi grazie al greenwashing e alla obsolescenza veloce dei loro prodotti e che faranno di tutto per aggirare i limiti che l’Unione Europea ha posto a difesa dei consumatori.
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