Dopo un lungo dibattito è stata approvata la direttiva europea sulle case green. Solo l’Italia di Meloni e l’Ungheria del suo sodale Orban hanno votato contro. Una posizione che sembra ispirata più dagli interessi dei fornitori di gas naturale, piuttosto che da quelli dei cittadini. Intanto il nostro “Don Abbondio” Giorgetti si limita a sottolineare i costi della nuova direttiva, ma dimentica gli ingenti risparmi che potranno essere prodotti da un serio piano di ammodernamento energetico delle nostre abitazioni.
Dopo un lungo dibattito è stata finalmente approvata la nuova direttiva europea per migliorare le prestazioni energetiche delle abitazioni. Il patrimonio edilizio europeo è costituito – in gran parte – da edifici costruiti quando i costi energetici erano nettamente inferiori rispetto ai livelli attuali. Il riscaldamento invernale e – in misura sempre crescente – il raffrescamento estivo delle abitazioni europee – oltre a gravare pesantemente sul portafoglio dei cittadini – provocano una quota rilevante delle emissioni climalteranti di origine antropica.
L’attuazione della nuova direttiva produrrà una sensibile riduzione dei consumi di gas naturale. Comprensibilmente i produttori ed i distributori di gas naturale hanno fatto di tutto per ostacolare l’approvazione della direttiva, attuando una vera e propria campagna di controinformazione.
In particolare sono state diffuse stime fortemente esagerate sui costi che le famiglie dovranno sostenere per adeguare le loro abitazioni ai nuovi requisiti energetici facendo intendere che l’introduzione della nuova direttiva produrrà una ingente perdita di valore degli edifici esistenti. Sul fatto che il mercato immobiliare italiano sia destinato ad un inesorabile declino ci sono pochi dubbi, ma la causa principale di tale declino non va attribuita alla transizione energetica.
Il ben noto crollo demografico di cui soffre l’Italia produrrà – nel corso dei prossimi decenni – un fortissimo calo della domanda ed un contemporaneo aumento dell’offerta di abitazioni. In tale contesto le case più “energivore” faticheranno a trovare un acquirente, anche perché le nuove generazioni sono senz’altro più sensibili al tema del riscaldamento globale. L’eventuale mancato adeguamento ai requisiti minimi energetici sarà quindi un’aggravante che potrebbe mettere fuori mercato solo gli edifici di qualità più scadente.
In realtà la situazione non è così critica come dichiarato dalla lobby dei combustibili fossili (e dai loro portavoce politici). Il vincolo più rigido imposto dalla nuova direttiva riguarda le nuove costruzioni che – a partire dal 2030 – dovranno rientrare nella classe energetica più elevata. A dire il vero – le (poche) nuove abitazioni che attualmente vengono costruite soddisfano già tali requisiti e quindi l’attuazione della nuova direttiva non dovrebbe cambiare le cose più di tanto.
Per quanto riguarda le abitazioni esistenti, va ricordato che i singoli Stati potranno gestire il processo con un ampio margine di flessibilità. In particolare la direttiva stabilisce degli obiettivi di carattere generale e non riguarderà gli edifici agricoli, quelli storici e le seconde case.
Gli obiettivi che sono stati definiti dall’Unione Europea non sono particolarmente spinti. In termini di riduzione delle emissioni, corrispondono a circa la metà degli obiettivi prefissati dalla Provincia Autonoma di Trento nel suo piano energetico pluriennale. Questo ci fa capire che la direttiva europea non è un “libro dei sogni“, frutto di quella che taluni definiscono “l’ideologia ambientalista“.
Il risparmio energetico è – come ho scritto in precedenti post – la forma più efficace di “energia rinnovabile“. Fa bene all’ambiente ed al clima, oltre che al portafoglio dei cittadini e riduce i rischi di carattere geopolitico legati alla dipendenza dei nostri consumi energetici dalle importazioni provenienti da aree geografiche che sono spesso caratterizzate da una forte instabilità.
Gli interventi previsti dalla direttiva europea ricalcano – in gran parte – azioni già avviate da molti anni: miglioramento dell’isolamento termico, sostituzione degli infissi ed installazione di pannelli solari. Si tratta di azioni che potremmo definire di “puro buon senso“, soprattutto alla luce dell’aumento dei costi dell’energia e della necessità di affrontare estati sempre più lunghe e calde. Il problema semmai sarà quello di agire senza la congestione dei tempi e gli eccessi speculativi del superbonus, ma con una pianificazione spalmata su tempi adeguati.
La norma più impattante è senz’altro quella che prevede l’eliminazione della caldaie a gas che – dal 2040 in poi – non potranno più essere installate (ma quelle esistenti potranno continuare a funzionare finché non saranno dismesse). Al posto delle caldaie a gas utilizzeremo pompe di calore e questo ci permetterà di gestire con un unico impianto sia il riscaldamento invernale che il raffrescamento estivo.
In prospettiva, bisognerà pensare a cosa fare della rete di distribuzione del metano che abbiamo costruito per raggiungere capillarmente le nostre abitazioni e che tra qualche decennio non servirà più, almeno nella sua attuale configurazione.
L’arrivo delle pompe di calore avrà un impatto significativo soprattutto in quei condomini che in passato hanno sostituito l’impianto di riscaldamento centralizzato sostituendolo con una miriade di piccole caldaie individuali. In nome della flessibilità e per ridurre la litigiosità tra i condomini abbiamo assistito ad una vera e propria “moltiplicazione dei pani e dei pesci” che ha fatto guadagnare un sacco di soldi a chi si occupa della produzione e della installazione delle caldaie, ma ha prodotto risparmi molto limitati per i cittadini. Senza contare i problemi di sicurezza legati alla problematica gestione di quegli impianti che non vengono sottoposti alla indispensabile manutenzione.
Pensare di sostituire le caldaie a gas monofamiliari con una pompa di calore non è una buona idea a causa dell’ingombro e del rumore che le pompe di calore possono generare. Molto meglio tornare ad un impianto centralizzato, ancora meglio se integrato con una sonda geotermica che migliora sensibilmente le prestazioni della pompa di calore.
Questi saranno gli interventi probabilmente più pesanti dal punto di vista degli investimenti, anche perché per sfruttare pienamente le potenzialità delle pompe di calore sarebbe meglio abbandonare il sistema di riscaldamento basato sui tradizionali radiatori e passare al riscaldamento a pavimento. Non è un intervento semplice perché richiederebbe pesanti ristrutturazioni delle abitazioni. Probabilmente in molti casi sarà necessario trovare soluzioni di compromesso che richiederanno l’intervento di tecnici esperti. Il rischio che si corre è che – come avvenuto in certi cantieri avviati frettolosamente per usufruire dei finanziamenti del superbonus – agiscano persone non adeguatamente qualificate dal punto di vista professionale proponendo soluzioni raffazzonate.
Il dibattito che ha accompagnato l’approvazione della direttiva europea è stato molto focalizzato sulla necessità di un sostegno pubblico che aiuti i cittadini a sostenere le spese necessarie per la riqualificazione energetica delle loro abitazioni. A mio avviso sarebbe altrettanto importante garantire una adeguata verifica delle competenze tecniche possedute dalle aziende che svolgeranno le azioni di miglioramento energetico delle abitazioni.
Affrontare questa transizione richiederà investimenti che – negli anni successivi – produrranno consistenti risparmi economici grazie alla riduzione dei consumi energetici. Forti dell’esperienza del superbonus, speriamo che – invece di improvvisare provvedimenti di legge mal pensati e privi di copertura – si riesca ad impostare un programma serio di sostegno tecnologico e finanziario che aiuti le famiglie italiane (soprattutto quelle meno abbienti) a gestire la transizione.
Da oggi fino al 2040 c’è tutto il tempo necessario per fare le cose per bene. Invece di frignare sulle casse svuotate dal superbonus, sarebbe meglio che il Ministro Giorgetti promuovesse l’avvio di un progetto di lungo periodo che possa aiutare gli italiani a ridurre i costi di gestione delle loro abitazioni, oltre a produrre una benefica riduzione delle emissioni climalteranti (che probabilmente non rappresentano la prima preoccupazione di questo Governo, ma che interessano comunque a molti Italiani).
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