Il virus influenzale A(H5N1): c’è una nuova pandemia che avanza?

I mezzi di informazione riportano con una certa frequenza l’allarme degli esperti per la possibile insorgenza di una nuova pandemia causata dal virus dell’influenza aviaria A(H5N1). Alcuni si spingono a parlare di un pericolo simile – se non addirittura superiore – rispetto a quello della recente pandemia di Covid-19. Sono allarmi fondati oppure sono solo esagerazioni messe in giro da “virologi da salotto televisivo” ansiosi di tornare al centro dell’attenzione mediatica? Un articolo recente pubblicato su Nature Communications fa il punto della situazione.

La recente pandemia di Covid-19 ha aumentato la nostra attenzione rispetto agli annunci di possibili nuovi episodi di contagio collettivo. Come dice l’antico proverbio “dopo esserci scottati le mani con l’acqua calda abbiamo paura anche dell’acqua fredda” e questo spiega la rilevanza mediatica dedicata agli esperti quando lanciano periodicamente allarmi a proposito di nuovi virus che potrebbero avere effetti significativi sulla salute umana.

Recentemente i mezzi di comunicazione hanno dedicato molto spazio alle notizie relative alla diffusione del virus influenzale A(H5N1) un tipo di influenza aviaria comparso inizialmente in Cina nel lontano 1996.

Da allora il virus ha subito varie mutazioni contagiando gli uccelli selvatici che lo hanno trasportato in tutto il mondo. L’impatto sulla fauna aviaria – sia selvatica che domestica – è stato pesantissimo e continua ad incidere significativamente su diverse attività a partire dall’allevamento di pollame.

Dal 1997 ad oggi l’organizzazione statunitense CDC (Centers for Disease Control and prevention) ha contato circa 900 casi di contagio che hanno riguardato esseri umani, sostanzialmente persone a stretto contatto con animali infetti (tipicamente addetti agli allevamenti di pollame). Una frazione significativa dei casi segnalati ha avuto esito mortale.

Il grafico seguente – preso dal sito della CDC – mostra l’andamento temporale dei casi di contagio registrato tra esseri umani nel corso dell’ultimo quarto di secolo:

Numero di casi di contagio dal virus dell’influenza aviaria A(H5N1) registrato tra esseri umani dal 1997 fino ad oggi. I colori corrispondono al Paese nel quale sono stati individuati i casi. Ad esempio, l’azzurro corrisponde all’Egitto, il verde scuro all’Indonesia, il blu scuro al Vietnam, l’ocra alla Cambogia ed il marrone alla Cina (crediti: dati CDC)

Notiamo subito che – in base ai dati CDC che sono stati aggiornati all’inizio dello scorso mese di aprile 2024 – attualmente non stiamo osservando una particolare recrudescenza dei contagi. Ovviamente poiché il dato relativo al 2024 è limitato al solo primo trimestre possiamo attenderci che il numero finale dei contagi per l’anno in corso mostrerà una sensibile crescita rispetto al 2023, ma probabilmente saremo ancora lontani rispetto al picco registrato nel 2015.

Ovviamente trattandosi di una patologia che ormai è diffusa a livello globale potrebbero esserci delle incongruenze nella raccolta dei dati perché non è affatto detto che tutti i Paesi siano ugualmente efficienti nella rivelazione dei contagi.

Pur con tutti i dubbi sulla qualità dei dati possiamo affermare che – almeno fino ad oggi – la situazione globale – dal punto di vista della salute umana – non sembra essere fuori controllo.

Ma il punto sottolineato da numerosi esperti è che – in futuro – il virus potrebbe evolvere diventando più contagioso per gli esseri umani. A parte gli uccelli (già duramente colpiti dall’influenza di tipo aviario) c’è ormai un’ampia evidenza di trasferimento del virus anche a mammiferi (inclusi i già citati circa 900 casi di contagio registrati tra gli esseri umani).

Recentemente in Spagna c’è stata una rapida propagazione del virus A(H5N1) all’interno di allevamenti di visoni. Negli Stati Uniti il virus è presente in molti allevamenti di bovini. Parliamo in ambedue i casi di allevamenti intensivi dove gli animali vivono a stretto contatto l’uno con l’altro, ma si segnalano casi di contagio anche tra numerosi animali selvatici come – ad esempio – puzzole, volpi, orsi e foche.

Il fatto che il virus possa passare dagli uccelli (selvatici o di allevamento) ai mammiferi ci allarma, ma non è necessariamente causa di gravissima apprensione. Il vero problema è se un essere umano – una volta contagiato dal virus influenzale A(H5N1) – possa trasmettere il contagio ad un altro essere umano per via aerea (tramite la respirazione, esattamente come accade nel caso della Covid-19). Se si verificasse questa ipotesi i rischi per la salute pubblica potrebbero diventare notevoli.

Al momento, non c’è evidenza di casi di trasmissione per via aerea del virus A(H5N1) tra esseri umani, ma questo non basta per tranquillizzarci del tutto. Per approfondire questo tema un gruppo di ricerca americano ha effettuato uno studio utilizzando modelli animali (furetti) per capire se – per questi animali – esiste la possibilità concreta della trasmissione del virus per via aerea. La scelta dei furetti potrebbe sembrare a prima vista stravagante, ma in realtà questi animali erano stato usati per molti studi anche durante i tempi della Covid-19 perché c’è una forte analogia tra la struttura del sistema respiratorio dei furetti e quello degli esseri umani.

I risultati dello studio sono stato pubblicati su Nature Communications e dimostrano che in effetti i furetti contagiati con il virus influenzale A(H5N1) possono contagiare a distanza loro simili trasmettendo il virus per via aerea. Fortunatamente la probabilità di contagio non è molto elevata (decisamente inferiore rispetto a quella del contagio trasmesso per via diretta), ma non è comunque nulla.

Le conclusioni a cui arrivano gli Autori è che – già con i ceppi virali di A(H5N1) attualmente in circolazione – i mammiferi potrebbero trasmettere il contagio ai loro simili per via aerea, senza bisogno che ci sia un contatto diretto. L’esperimento non dimostra che il risultato ottenuto con i furetti possa essere esteso direttamente agli esseri umani, ma ci sono fondate probabilità che ciò sia possibile.

Parliamo – attenzione – di una eventualità che almeno per il momento possiamo ritenere abbastanza remota, ma eventuali future evoluzioni del virus potrebbero aggravare la situazione. Sarà quindi bene prestare la massima attenzione agli esperti quando ci consigliano di aggiornare i piani pandemici e di tenere costantemente sotto controllo la diffusione del virus e la sua evoluzione.

In altre parole, ci vuole la dovuta attenzione, ma se non vogliamo innescare inutili e controproducenti allarmismi non dobbiamo dare troppo spazio a personaggi ansiosi di rispolverare i momenti di “gloria televisiva” legati alla pandemia di Covid-19.

Consapevoli che comunque – prima o poi – avremo a che fare con una nuova pandemia (sperando vivamente che ciò avvenga il più tardi possibile!).

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