Nuovi metodi a basso impatto ambientale e a basso consumo energetico per estrarre rame, argento ed oro dai rifiuti elettronici

Proprio nel momento nel quale i mercati internazionali stanno facendo segnare nuovi massimi storici per il prezzo di rame, argento ed oro, un gruppo di ricerca finlandese ha pubblicato i risultati di uno studio nel quale viene presentato un nuovo metodo per trattare i rifiuti elettronici recuperando rame, argento ed oro. Oltre alla convenienza economica, il metodo proposto è caratterizzato da basso impatto ambientale, consumi energetici limitati ed una elevata selettività.

In questi giorni i mercati internazionali stanno facendo segnare nuovi massimi assoluti per il prezzo di diversi metalli tra cui – in particolare – rame, argento ed oro. Aldilà delle speculazioni, tale andamento è giustificato dai limiti delle produzioni minerarie e dalla crescita della domanda indotta dai maggiori utilizzi legati alla transizione energetica.

Il riciclo non è la soluzione definitiva per colmare il divario crescente tra domanda ed offerta, ma può contribuire a bilanciare gli squilibri di mercato. Si stima che ogni giorno si producano – a livello mondiale – circa 150 mila tonnellate di rifiuti elettronici. Si tratta in gran parte di plastica ed altri materiali “poveri“, ma la frazione di rame e metalli nobili è comunque significativa. Purtroppo il riciclo di tali materiali ha – attualmente – costi e consumi energetici elevati, oltre a rilevantissimi impatti di natura ambientale.

La scorciatoia che spesso viene seguita è quella di esportare i rifiuti elettronici in qualche Paese del cosiddetto “terzo mondo” dove il processo di riciclo viene eseguito senza alcun rispetto per l’ambiente. Allo scempio ambientale si somma il consumo energetico legato al “turismo” dei rifiuti, senza contare il ruolo che viene spesso svolto da mafie ed altre organizzazioni malavitose che traggono lucrosi guadagni da tali attività.

Il metodo proposto dal gruppo di ricerca finlandese combina idee nuove ed originali con l’utilizzo di tecnologie preesistenti accuratamente calibrate per garantire un equilibrio ottimale rispetto a selettività, costi d’esercizio, consumi energetici ed impatto ambientale.

Per quanto riguarda gli aspetti ambientali, il metodo finlandese può fregiarsi di una vera etichetta “green” perché utilizza materiali ampiamente riciclabili e compatibili con l’ambiente. I rifiuti elettronici vengono ridotti meccanicamente in piccole scaglie e poi sono trattati con una sequenza di speciali solventi che sciolgono prima il rame, poi l’argento ed infine l’oro. Oltre a schede e componenti elettronici, il metodo può essere utilizzato per trattare i vecchi pannelli solari arrivati a fine vita estraendo l’argento in essi contenuto.

Concludo con una valutazione personale. A mio parere, l’Europa dovrebbe smettere di utilizzare il cosiddetto “terzo mondo” come una enorme discarica o per delocalizzare produzioni che violano i più elementari principi di rispetto dell’ambiente. Oggi l’Europa potrebbe ragionevolmente puntare allo sviluppo di una efficace rete di aziende che utilizzano tecnologie avanzate e ambientalmente compatibili per il riciclo dei materiali (il metodo descritto in questo post è un tipico esempio di quello che si potrebbe fare).

Alla fine sarebbe una operazione “win-win” perché consentirebbe all’Europa di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di materiali strategici provenienti da aree spesso soggette a forti instabilità geo-politiche e ridarebbe dignità ai Paesi meno fortunati affrancandoli da attività distruttive per l’ambiente che non portano loro nessun utile concreto.

Peccato che nessuno dei partiti che ci stanno chiedendo il voto per le ormai imminenti elezioni europee abbia ritenuto di dare particolare evidenza a questo tema nel suo programma elettorale.

Risposte a “Nuovi metodi a basso impatto ambientale e a basso consumo energetico per estrarre rame, argento ed oro dai rifiuti elettronici”

  1. Avatar Stefano
    Stefano

    Il governo Meloni ha dato il via libera
    all’estrazione di “materie prime critiche”

    21 giugno 2024
    Monica Cillerai – lindipendente.online

    La caccia alle cosiddette “materie prime critiche”, cioè gli elementi necessari per assemblare batterie e più in generale quasi ogni tipo di dispositivo tecnologico, sta iniziando anche sul suolo europeo. Ieri il Consiglio dei ministri italiano ha approvato un decreto legge per unirsi alla corsa.

    Cobalto, rame, litio, magnesio, grafite, nichel, silicio, tungsteno, titanio ed altre ancora: sono 34 le «materie critiche» definite come fondamentali per il futuro europeo ed italiano, di cui 17 sono considerate «strategiche». Materiali che il governo ritiene necessari per «promuovere la transizione digitale e verde» dell’industria nazionale, e che ora vuole ricercare proprio nel sottosuolo italiano.

    Secondo il ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso – propulsore del dl insieme al ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin – in Italia di materie critiche ne abbiamo almeno 15. Alcune ricerche sono già iniziate, e sono vari i permessi di ricerca rilasciati negli ultimi anni ad aziende per esplorare il sottosuolo italiano, ma con il nuovo decreto legge si avrà una notevole accelerata su tutto l’iter processuale.

    Uno dei punti fondamentali è proprio la semplificazione delle procedure autorizzative: i permessi infatti verranno rilasciati entro un tempo massimo di diciotto mesi per le attività estrattive e di dieci mesi per quelle volte alla lavorazione e al riciclaggio. Vengono accelerati anche i giudizi in materia di progetti strategici in relazione a controversie di riconoscimento o rilascio di titoli abilitativi, sul modello dei giudizi amministrativi in materia di PNRR.

    Via alla mappatura dei siti dismessi, semplificazione e velocizzazione di norme, controlli e autorizzazioni. Si ricerca soprattutto cobalto e litio, che in Italia si concentrano in Piemonte e nel Lazio settentrionale (cobalto) e tra Toscana, Lazio – soprattutto nell’area a nord di Roma – e Campania (litio). Ma il sud della Sardegna contiene altre terre rare, il rame è in Veneto, Toscana e Lombardia, il manganese in Abruzzo, Sicilia e Calabria.

    E si potrebbe continuare. Insomma: poche regioni rischiano di essere escluse dalla riapertura delle ricerche minerarie. Dei giacimenti sono già stati individuati, ma «si tratterà di vedere le condizioni di estraibilità, che saranno da valutare caso per caso» afferma il ministro Pichetto Fratin.

    Nasce infatti un Programma di esplorazione nazionale delle materie prime critiche, attualmente con una dotazione di 3,5 milioni di euro, che dovrà essere promosso dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) entro il 24 maggio 2025 e sottoposto a riesame quinquennale come previsto dal Critical Raw Materials Act, il documento europeo che delinea i progetti estrattivi nel continente.

    Le nuove norme introducono poi un nuovo sistema di royalties, che superano la vecchia legislazione – con la relativa tariffa di 16 euro l’ettaro l’anno – e assicurano «dal 5 al 7% ripartito tra Stato e Regioni» per le concessioni minerarie di progetti strategici. In sostanza, come già avviene per il petrolio e il gas estratti in Italia, le licenze verranno affidate ai privati e allo Stato rimarrà solo una piccola percentuale dei proventi.

    Nel decreto viene inoltre «rafforzato e indirizzato il fondo nazionale del Made in Italy che ha una dotazione iniziale di un miliardo – annuncia Urso – «per sviluppare la filiera strategica di estrazione delle materie prime così anche per far nascere un grande attore nazionale, che oggi non abbiamo». Il decreto prevede inoltre l’istituzione, presso il Ministero delle imprese e del made in Italy, del Comitato tecnico permanente per le materie prime critiche e strategiche, al quale è affidato il monitoraggio delle catene di approvvigionamento, oltre alla predisposizione di un Piano Nazionale delle materie prime critiche.

    Il Critical Raw Materials Act e il ritorno delle miniere

    La nuova legge avrebbe il compito di adeguare la normativa nazionale sul settore minerario agli standard europei previsti dal regolamento del Critical Raw materials Act. La rottura dei commerci globali durante la pandemia e poi, soprattutto, le sanzioni imposta alla Russia e la guerra commerciale in atto con la Cina hanno spinto l’Europa a cercare metodi di ritorno a una qualche forma di sovranità energetica; è in questa cornice che ha visto la luce il Critical Raw Materials Act, pacchetto di misure europeo approvato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo l’11 aprile, di fatto per cercare di ridurre la dipendenza dalla Cina, che detiene un sostanziale monopolio nella raffinazione ed estrazione di alcuni minerali fondamentali.

    Più miniere, aumentare la capacità di lavorazione sul territorio europeo e diversificare i partner commerciali: questi gli obbiettivi europei principali, che mirano ad arrivare almeno al 10% di estrazioni delle materie prime critiche consumante nell’Unione in miniere europee entro il 2030. Il 40% inoltre dei materiali consumati dovrà essere lavorato sul suolo europeo.

    Alla nuova ondata estrattiva europea si sta cercando di dare un volto verde, e se si parla molto di green economy, transizione energetica e riciclo, spesso si dimentica nel discorso pubblico uno dei motivi fondamentali della ricercata autonomia mineraria: la guerra.

    Molti di questi materiali strategici infatti sono necessari per la costruzione di armi e strumenti di difesa – e attacco – militari. I venti di guerra che stanno iniziando a soffiare in Europa, spinti dalla stessa classe dirigente made in UE, possono far intuire che quel 10% dei materiali critici utilizzati che verranno estratti nel sottosuolo dell’Unione, quando sarà «necessario» saranno in primis utilizzati per il settore militare.

  2. Avatar Davide Bassi

    Il Governo Meloni ci ha ormai abituato ad annunci tanto eclatanti quanto inconcludenti. Temo che anche per la ricerca delle materie prime critiche ci troveremo di fronte a questa situazione. Parliamo di un settore industriale che richiede investimenti miliardari e – come riportato nell’articolo – lo stanziamento per il “Piano materie prime critiche” ammonta a 3,5 milioni di Euro. Noccioline!

    Siamo più o meno al livello dell’altro fantomatico “Piano Mattei”. Grandi annunci e giornalisti di giornali e televisioni sdraiati davanti al “Signor Premier” e ai suoi ministri. Nessuno che osi domandare “Dove li troverete i soldi per fare quello che avete annunciato?”.

    Forse sperano che i soldi ce li mettano i privati, ma i manager delle industrie estrattive internazionali non sono degli sprovveduti e non si faranno abbindolare dalle faccette della Meloni.

    Bisogna prima dimostrare che i depositi soddisfino adeguate caratteristiche in termini di qualità del materiale, dimensioni globali e compatibilità ambientale. Ad esempio, è ben noto che l’Isola d’Elba è ricchissima di vari minerali potenzialmente interessanti, ma chi potrebbe pensare di trasformarla in una enorme cava distruggendo la fiorente industria turistica che l’Isola alimenta?

    In conclusione, la questione è estremamente complicata. Se ci sono delle reali opportunità vanno adeguatamente valutate e tutto questo comporta tempi tecnici lunghi e costi non indifferenti.

    Per quanto riguarda la paura esplicitata dal giornalista citato nel suo commento secondo il quale tutto ciò verrebbe fatto per scopi essenzialmente bellici, mi sento di tranquillizzarlo: con 3,5 milioni di Euro non si farà un granché, né per uso civile, né per uso bellico.

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