La Cina ha ormai saldamente assunto una posizione di prevalenza nello sviluppo e nell’utilizzo delle energie rinnovabili. La sua azione copre vari settori che vanno dalla ricerca di base ed applicata, alla catena di approvvigionamento delle materie prime e dei dispositivi tecnologici fino allo sviluppo di impianti di larghe dimensioni. La potenza di picco degli impianti di energia rinnovabile installati ogni anno in Cina supera quella di tutti gli altri impianti similari installati nel resto del mondo. Non mancano i problemi legati soprattutto alla necessità di ripensare completamente la rete di distribuzione dell’energia elettrica cinese e all’uso – ancora troppo alto – delle centrali termoelettriche alimentate a carbone. Pur in presenza di tali limiti, l’avanzata delle energie rinnovabili in Cina sembra inarrestabile. Intanto la vecchia Europa arranca con il suo programma di transizione energetica (molti annunci e pochi fatti) mentre alcuni Paesi come l’Italia del premier Meloni si illudono di bloccare la transizione energetica arroccandosi sull’uso dei combustibili fossili.
Tutti gli studi che analizzano lo stato di avanzamento delle fonti di energia rinnovabile sono concordi nel segnalare che – nel corso dell’ultimo decennio – la Cina ha assunto un ruolo di rilievo sia per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico che per l’utilizzo pratico di solare fotovoltaico ed eolico. Tra i tanti documenti disponibili vi segnalo una analisi predisposta dalla Yale School of the Environment che analizza i brillanti risultati già raggiunti dalla Cina e considera le prospettive di ulteriore sviluppo a breve e medio termine.
La salita fatta registrare dalla Cina nel corso degli ultimi anni lascia tutti stupefatti e molti si domandano se sia ormai inarrestabile. Alcuni arrivano a sostenere che quella delle energie rinnovabili sia – per i Paesi occidentali – una battaglia persa e propongono di reagire, magari utilizzando l’arma spuntata dei dazi doganali.
Gli investimenti cinesi nel settore delle energie rinnovabili godono di alcuni vantaggi, primo fra tutti il forte sostegno politico garantito dal Governo di Pechino che ha messo la transizione energetica tra i suoi obiettivi prioritari. Va detto che la decisione cinese non nasce solo dalle preoccupazioni di carattere ambientale e climatico, ma è soprattutto frutto di una scelta strategica che mira a mettere la Cina al centro della filiera produttiva delle energie rinnovabili a livello mondiale.
A differenza di quanto succede in Occidente dove della transizione energetica si tendono a mettere in evidenza soprattutto i costi e le ricadute socio-economiche negative per alcune categorie professionali, il Governo cinese ha ben chiaro che lo sviluppo della transizione energetica aprirà nuovi mercati ampi ed inesplorati.
In questa gara, paradossalmente parte favorito chi – come la Cina – non ha una lunga e consolidata tradizione nei settori tecnologici più legati ai combustibili fossili (e – soprattutto -non ha le grandi multinazionali dei combustibili fossili pronte a “tirare il freno a mano” ogni volta che si parla di transizione energetica).
Un caso tipico è quello dell’auto elettrica: in Europa i costruttori di auto tradizionali dotate di motori a combustione interna faticano a riconvertirsi spostando le loro produzioni verso i veicoli elettrici (EV). Le cause di tali difficoltà sono collegate al tentativo (palesemente contraddittorio) di sviluppare nuove competenze nel settore elettrico mantenendo comunque attive per il maggior tempo possibile le produzioni di tipo tradizionale. Non a caso i leader mondiali del mercato EV sono la cinese BYD e l’americana Tesla, 2 società “native elettriche” che non hanno mai prodotto auto tradizionali.
Un altro vantaggio innegabile della Cina è legato al fatto che il suo Governo autoritario controlla direttamente le scelte strategiche delle grandi imprese e non ha alcun problema quando decide di installare nuovi mega impianti eolici o solari. Se lo decide Pechino si fa e non saranno certamente i NIMBY locali a bloccare l’iniziativa. La democrazia è un bene prezioso e dobbiamo fare di tutto per preservarla, ma ha anche dei costi indiretti che possono diventare rilevanti quando si affrontano temi legati alla competitività internazionale.
Il terzo grande vantaggio della Cina è rappresentato dall’alta qualità e dalla intensità della ricerca di base ed applicata legata allo sviluppo delle energie rinnovabili. Basta leggere la letteratura specializzata per rendersi conto che ormai molte delle innovazioni più significative nascono nei centri di ricerca cinesi. Questo fatto non è causale, ma è frutto di una programmazione e di investimenti portati avanti ormai da molti anni. Il tempo in cui i giovani ricercatori cinesi dipendevano dalle università occidentali per perfezionare la loro formazione è definitivamente tramontato.
Ci sono poi altri fattori che aumentano la competitività della Cina come i bassi salari, ma si tratta di un fattore destinato a perdere di importanza con il passare del tempo. Ormai la gran parte delle produzioni è affidata a robot e l’impatto del costo del lavoro sulle tecnologie per la transizione energetica è sempre meno determinante.
Tutto ciò premesso, ci sono pochi dubbi sul fatto che la Cina oggi sia all’avanguardia nella produzione dei dispositivi tecnologici necessari per realizzare la transizione energetica, ma i dati relativi alla installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono meno eclatanti rispetto a quanto potrebbe apparire a prima vista.
Dobbiamo infatti ricordare che la Cina conta circa 1,4 miliardi di abitanti, contro i 330 milioni di abitanti degli Stati Uniti mentre i 27 Paesi dell’Unione Europea ne hanno complessivamente circa 450 milioni. Questo vuol dire che se normalizziamo i dati relativi alla potenza nominale degli impianti di energia rinnovabile installati in Cina rispetto al numero di abitanti, i numeri attuali della Cina sono importanti, ma sono ancora leggermente inferiori rispetto ai dati – pro capite – di USA ed Europa (nel 2022 il dato della potenza di picco degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti eoliche e solari installati in Cina era pari a circa 0,55 kW/abitante, contro gli 0,8 kW/abitante degli Stati Uniti e gli 0,9 kW/abitante dell’Europa).. Questo fatto spiega come mai – malgrado l’impetuosa crescita delle fonti di energia rinnovabile registrata nel corso degli ultimi anni – circa 2/3 dei consumi elettrici cinesi sono ancora coperti da centrali termoelettriche alimentate da combustibili fossili (con una quota molto importante di carbone). In altre parole, la Cina installa in assoluto più fotovoltaico ed eolico del resto del mondo, ma non è certamente il “Paese delle Meraviglie” dal punto di vista climatico e ambientale.
Ovviamente, se la Cina manterrà ancora per un po’ il trend di crescita registrato nel corso degli ultimi anni, ci sarà un sorpasso anche per il dato normalizzato rispetto al numero di abitanti. Ma – per arrivare a questo risultato – la Cina dovrà affrontare con molta determinazione il problema dell’ammodernamento delle linee di distribuzione dell’energia elettrica.
Oggi la rete elettrica cinese è ancora suddivisa in 6 grandi blocchi che sostanzialmente non sono interconnessi tra di loro. Inoltre la struttura delle reti è ancora quella tradizionale, basata su elettrodotti che partono dalle grandi centrali idroelettriche o alimentate a combustibili fossili e si ramificano man mano che si avvicinano agli utenti finali. Questo tipo di struttura mal si concilia con la presenza di centrali eoliche o fotovoltaiche che notoriamente sono caratterizzate da una elevata aleatorietà rispetto alla continuità produttiva. Inoltre una rete di distribuzione tradizionale va rapidamente in crisi quando cresce la densità di impianti diffusi di taglia medio-piccola (ad esempio pannelli fotovoltaici messi sul tetto di abitazioni, uffici e fabbriche). Il problema è ben noto (non solo in Cina) e se non verrà affrontato e risolto entro breve tempo rischia di “mettere un tappo” all’ulteriore sviluppo della produzione di energia elettrica per mezzo di impianti eolici e fotovoltaici.
In conclusione, la crescita della Cina nel settore delle energie rinnovabili è solida ed è sostenuta da una ricerca di alto livello e da un forte sostegno politico. Ma questo non vuol dire che anche la Cina non abbia i suoi punti di debolezza. Di fronte all’avanzata cinese l’Europa sconta i suoi storici ritardi legati alla scarsa capacità di coordinamento tra le diverse realtà nazionali e ad una tendenza a discutere molto concludendo poco. Eppure – almeno dal punto di vista tecnico-scientifico – il divario con la Cina non è affatto incolmabile, soprattutto se riuscissimo ad uscire dalla logica sovranista e ad individuare alcuni “campioni europei” da sostenere con priorità.
Sarebbe anche importante smetterla con la solita lagna sui costi della transizione energetica e puntare invece – come fa il Governo cinese – a cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Quando apparvero le prime automobili dotate di motore a scoppio molti ritenevano che non avrebbero mai potuto sostituire le carrozze a cavalli. Ovviamente l’avvento dell’automobile causò la perdita del lavoro per tante persone (pensate ai cocchieri, agli stallieri e ai produttori di mangime per i cavalli). Alla fine l’automobile ebbe il sopravvento e con essa arrivarono nuove professioni prima sconosciute (autisti, meccanici, distributori di carburante).
Qualcosa di simile sta accadendo con la transizione energetica. Arroccarsi nella difesa delle vecchie tecnologie legate ai combustibili fossili (come fa il Governo italiano) non produce nulla di buono. Tra l’altro, essendo l’Italia un Paese povero di combustibili fossili (il tanto sbandierato metano italiano non basterebbe per coprire i bisogni del nostro Paese per più di 3 o 4 anni) non si capisce perché – invece di puntare decisamente verso le fonti di energia rinnovabile – ci ostiniamo a difendere gli interessi delle multinazionali del gas naturale e del petrolio.
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