Un articolo pubblicato recentemente su PNAS Nexus analizza il problema dell’immagazzinamento dell’energia sotto forma di calore a temperatura elevata (superiore ai 1000 °C) e al suo successivo utilizzo in ambito industriale. Il cuore dei sistemi di immagazzinamento del calore potrebbe essere costituito da mattoni refrattari, una tecnologia a basso costo che risale all’età del bronzo (4000-3000 a.C.).
Si stima che circa il 17% delle emissioni antropiche di anidride carbonica sia generato dai combustibili fossili che vengono utilizzati in ambito industriale per produrre calore. Parliamo di un ampio spettro di utilizzi che vanno dalla bollitura dell’acqua fino alla fusione dei metalli.
Sostituire i combustibili fossili con sorgenti rinnovabili pone il problema delle fluttuazioni associate alla generazione di tali fonti di energia. La soluzione (costosa) si può trovare immagazzinando l’energia prodotta caricando batterie elettriche o producendo idrogeno in modo da poterla utilizzare quando serve.
Un problema opposto si verifica quando i combustibili fossili sono sostituiti con fonti di energia nucleare. Le centrali nucleari producono energia con continuità anche quando non serve. A meno di non gestire cicli produttivi H24 c’è il rischio che una parte dell’energia prodotta dalla centrale nucleare venga sottoutilizzata.
Dal punto di vista termodinamico la soluzione ottimale consiste nell’immagazzinare il calore senza convertirlo in elettricità, operando alla temperatura più alta possibile. La soluzione più semplice per raggiungere tale risultato è quella di far uso di mattoni refrattari, un materiale ben noto e comunemente usato per la costruzione delle pareti di forni, stufe e di altri impianti.
Un mattone refrattario è costituito essenzialmente da una miscela di ossidi (Al2O3, SiO2, MgO e Cr2O3). Variando la percentuale dei singoli componenti si ottengono mattoni con diverse proprietà termiche. Il costo dei mattoni refrattari è molto basso perché non richiedono l’uso di materie prime costose ed hanno una notevole resistenza che ne garantisce una lunga durata nel tempo.
La cosa interessante è che la tecnologia dei mattoni refrattari è antichissima. I primi reperti risalgono all’età del bronzo (4000-3000 a.C.) mentre il loro pieno sviluppo risale alla successiva età del ferro (1500-500 a.C.). Successivamente i mattoni refrattari hanno trovato larga applicazione nella lavorazione del vetro e dell’acciaio.
In tutte queste applicazioni i mattoni refrattari sono utilizzati come isolanti per separare le zone ad alta temperatura dove avvengono i processi industriali di fusione rispetto all’esterno. Per utilizzare i mattoni refrattari per l’accumulo di calore è necessario ottimizzarne le caratteristiche fisiche e meccaniche, prevedendo tra l’altro un meccanismo che consenta di far scorrere aria al loro interno in modo da facilitare lo scambio di calore nelle fasi di riscaldamento e di recupero del calore. Si tratta comunque di modifiche minimali che non incidono sui costi molto contenuti di tale tecnologia.
Rispetto alle alternative basate sull’uso di batterie elettriche o di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno, i sistemi di accumulo del calore basato sui mattoni refrattari potrebbero consentire di risparmiare cifre enormi aiutando ad avviare processi di transizione energetica efficaci e finanziariamente vantaggiosi.
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