Di fronte al numero crescente di fenomeni meteorologici intensi crescono le prese di posizione di chi cerca facili spiegazioni addossando tutte le colpe a cause che forse possono avere un certo impatto, ma non sono certamente le principali responsabili dei disastri che vengono registrati.
Quella delle nutrie è una storiella molto popolare in terra veneta, fortemente sostenuta dal doge-governatore Zaia. Secondo tale ipotesi l’incontrollata diffusione delle nutrie e di altri animali scavatori minerebbe la stabilità degli argini rendendoli più fragili e soggetti a facili rotture. Questo fenomeno sarebbe la causa principale delle alluvioni che si sono verificate con sempre maggiore frequenza nel corso degli ultimi anni.
Dando per buona questa ipotesi è facile ipotizzare una soluzione semplice per i problemi climatici. Basterebbe rendere libera la caccia alle nutrie e a tutti gli altri animali selvatici che “infestano” il territorio e magicamente non avremmo più alluvioni.
Non c’è dubbio che la scarsa manutenzione degli argini (inclusa la riparazione dei danni provocati dagli animali scavatori) possa essere una concausa delle alluvioni, ma il rischio è quello di confondere un aspetto particolare con il problema generale. In altre parole, non dobbiamo dimenticare che l’aumento delle temperature medie globali produce un incremento dell’energia immagazzinata nei mari e nell’atmosfera. Ciò comporta fatalmente un aumento dell’intensità (oltre che della frequenza) dei fenomeni meteorologici estremi. L’incremento dell’intensità delle perturbazioni mette a dura prova i sistemi idraulici esistenti e questo succederebbe anche se gli argini non fossero indeboliti dagli scavi delle nutrie.
Un approccio serio e consapevole al problema dovrebbe combinare una molteplicità di azioni volte sia a mitigare i danni che a prevenire un ulteriore peggioramento del fenomeno del riscaldamento globale. Non c’è dubbio che la soluzione a medio-lungo termine debba prevedere una rapida attuazione della transizione energetica. Ridurre in modo sostanziale il ricorso ai combustibili fossili e – più in generale – tagliare le emissioni di anidride carbonica di origine antropica è una necessità impellente e tutti devono fare la loro parte. Rimandare le scelte perché “altri emettono più anidride carbonica di noi” è una scelta meschina e sostanzialmente autolesionista.
L’altra azione essenziale è quella di adeguare le strutture territoriali per renderle meno vulnerabili rispetto ai danni provocati dai fenomeni meteorologici estremi. Se – come è successo in Spagna – la pioggia attesa durante tutto l’arco dell’anno si scarica in sole 8 ore è chiaro che non basta pensare ad aggiustamenti di minore importanza. Gli interventi devono portare ad un completa e profonda revisione del territorio come ben sanno gli abitanti dell’Emilia-Romagna martoriati da ben 3 grosse alluvioni nel corso di poco più di un anno.
Gli interventi da fare, oltre a richiedere elevati finanziamenti, possono suscitare diffuse ostilità a livello sociale. Bisognerà convincere una parte significativa della popolazione ad abbandonare le attuali abitazioni per ricostruirle in zone sicure. Sarà per molti una scelta dolorosa, ma non possiamo lasciare migliaia se non addirittura milioni di cittadini in aree troppo esposte ad alluvioni che oggi – e ancora di più in futuro – non forniscono più adeguati livelli di sicurezza per i loro abitanti.
Saranno necessarie politiche pubbliche efficaci perché non è possibile che tali scelte siano lasciate alla libera determinazione dei singoli. Per l’Italia questo rischia di diventare un problema di difficilissima soluzione.
L’approccio seguito fino ad oggi è stato quello di non guardare la realtà in faccia, sperando che alla fine qualche santo ci protegga e che che cose vadano per il meglio. Intanto ci raccontiamo la storiella delle nutrie ed altre simili favolette che ci aiutano ad esorcizzare i pericoli, dandoci l’illusoria sensazione che esistano soluzioni semplici per problemi che sono tremendamente complessi.
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