C’era una volta la crisi energetica: oggi non c’è più?

Poco più di 2 anni fa l’Europa stava affannosamente cercando di trovare forniture di gas alternative rispetto a quelle di origine russa. L’invasione russa dell’Ucraina aveva innescato una crisi energetica di vaste proporzioni e tutti noi temevamo di andare incontro ad un inverno di grave crisi. A 2 anni di distanza la crisi energetica sembra essere diventata solo un vago ricordo.

Queste miti giornate di inizio novembre ci hanno fatto dimenticare la grave crisi energetica che imperversava in Europa due anni fa. Le riserve italiane di gas naturale sono “piene a tappo” ed i prezzi internazionali di gas naturale e petrolio sono tornati su livelli ragionevolmente bassi.

Durante i mesi autunnali del 2022 molti cittadini europei si domandavano se ci fosse il rischio di andare incontro ad un terribile e gelido inverno. Con il senno di poi possiamo dire che tutte quelle ansie erano ingiustificate. L’unico vero risultato della crisi energetica è stata una feroce inflazione che ha eroso il potere d’acquisto di pensionati e lavoratori dipendenti. Chi poteva ha adeguato i prezzi recuperando i maggiori oneri per le spese energetiche, guardandosi bene dal ridurli quando i prezzi energetici sono rientrati nella normalità. Tutti gli altri non hanno potuto fare altro che “stringere la cinghia”.

Tutto sembra essere rientrato nella “normalità” ammesso e non concesso che possa essere considerato “normale” continuare a bruciare petrolio e gas naturale facendo finta di ignorare i danni climatici prodotti dai combustibili fossili. Eppure qualche piccolo campanello d’allarme suona ancora, anche se l’opinione pubblica è troppo distratta per ascoltarlo.

Un primo dato da considerare è legato alla scadenza – prevista per fine 2024 – dell’accordo in base al quale il gas russo arriva in Europa attraversando i gasdotti ucraini. L’accordo ha continuato a funzionare anche durante i momenti più acuti della guerra, ma non è detto che sarà rinnovato dopo l’imminente scadenza. Attualmente ci sono voci secondo cui si starebbe cercando una soluzione “foglia di fico” basata sulla sostituzione del gas russo con gas di origine azera.

Il gas naturale non si porta dietro un’etichetta che permette di identificarne l’origine. Francamente quella di pompare il gas dall’Azerbaigian per farlo arrivare fino ai gasdotti che attraversano l’Ucraina mi sembra un’idea piuttosto stravagante, a meno che non sia una operazione di facciata, una delle tante triangolazioni a livello di vero e proprio contrabbando che sono proliferate dopo la crisi energetica.

Formalmente l’Europa ha drasticamente ridotto le importazioni di gas e petrolio dalla Russia, ma una crescente quantità di combustibili fossili di origine russa (petrolio e gas naturale liquefatto) continua ad arrivare in Europa sotto etichetta turca, indiana o di altri Paesi terzi.

Lo stesso vale per le esportazioni che l’Europa mandava alla Russia e che riguardano anche materiali di interesse strategico (ad esempio componenti per droni ed altre armi). I flussi diretti con la Russia sono praticamente azzerati, ma le merci continuano ad arrivare in Russia passando per Paesi terzi. Molti ci guadagnano, e intanto il popolo ucraino continua a soffrire e a morire.

Un altro elemento che – in altri tempi – avrebbe fatto schizzare alle stelle il prezzo del petrolio è quello legato alle instabilità della “polveriera medio-orientale“. Aldilà delle immani sofferenze patite e del numero incredibilmente alto di persone innocenti barbaramente uccise, il rischio di guerra totale tra Iran ed Israele potrebbe provocare scenari da incubo per le forniture petrolifere europee. Malgrado tutto, il prezzo del petrolio staziona su livelli piuttosto bassi e pochi giorni fa l’OPEC è stata costretta ad estendere la riduzione delle sue produzioni per ulteriori 2 mesi per evitare che il prezzo scenda ulteriormente.

Non è facile trovare una spiegazione logica per questi fatti. Per il momento accontentiamoci del prezzo relativamente basso che paghiamo per fare il pieno, sperando che il Governo italiano non esageri con l’aumento delle accise nella sua disperata corsa per rimpolpare le misere casse statali.

Non vorrei fare la Cassandra, ma la posizione di chi sostiene che la crisi energetica sia definitivamente rientrata e che nei prossimi anni potremo continuare ad utilizzare i combustibili fossili secondo un modello “business-as-usual” mi sembra un po’ troppo superficiale. Ci sono potenziali situazioni di instabilità che potrebbero esplodere in tempi molto brevi. Questo ci espone a rischi di natura geopolitica che non possiamo trascurare.

La risposta a queste preoccupazioni dovrebbe prevedere una molteplicità di soluzioni.

Innanzitutto bisogna continuare – incrementandola – la politica di effettiva differenziazione delle fonti energetiche. Continuare ad usare i combustibili fossili di origine russa, sia pure sotto la cortina fumogena del contrabbando non è – a mio avviso – una soluzione ottimale. I terminali marittimi per la rigassificazione del gas naturale liquefatto sono una opzione valida, ma non possiamo usarli per importare il gas russo transitato attraverso la Turchia. L’esperienza pregressa dimostra che la Russia è pronta ad utilizzare l’arma energetica per perseguire le sue ambizioni di potenza e continuare a comprare gas russo – sia pure di contrabbando – ci espone a seri rischi per il futuro. Lo stesso discorso vale per il combustibile diesel di origine russa che arriva in Italia dopo strane triangolazioni in Oriente.

Senza contare che oggi l’Algeria è diventata la prima fornitrice di gas naturale dell’Italia. L’Algeria non è particolarmente stabile dal punto di vista politico e le forniture algerine arrivano in Italia tramite un gasdotto sottomarino. Come ci insegna la storia di Nord stream i gasdotti sottomarini sono particolarmente vulnerabili e possono essere soggetti a seri rischi di sabotaggio. Durante i momenti di emergenza legati alla crisi energetica scoppiata nel 2022 l’aumento delle forniture algerine ha contribuito ad attenuare le criticità del momento, ma in prospettiva sarebbe meglio attivare una pluralità di canali di rifornimento provenienti da Paesi diversi.

L’altro elemento da considerare è che – aldilà di qualsiasi valutazione di carattere ambientale e climatico – se vogliamo garantire la “sovranità energetica” del Paese dobbiamo dare un fortissimo impulso alla installazione di impianti di energia rinnovabile (fotovoltaico ed eolico). Una volta che tali impianti sono installati produrranno energia a prezzi competitivi per un grande numero di anni, indipendentemente dalla evoluzione della situazione geopolitica mondiale. Per raggiungere tale risultato è necessario risolvere il problema dell’immagazzinamento temporaneo dell’energia in modo da superare i problemi legati alla variabilità intrinseca delle energie rinnovabili. Sono necessari anche importanti lavori di ammodernamento delle linee di distribuzione dell’energia elettrica. Sono tutte azioni che richiedono ingenti investimenti ed una programmazione di lungo periodo di cui – al momento – non si vede traccia.

Un terzo elemento da considerare è quello delle “terza gamba energetica” basata sul rilancio della produzione di energia di origine nucleare. In questo momento in Italia se ne parla molto anche se spesso sento discorsi fatti da persone che hanno un’idea molto vaga sull’argomento. C’è un gran fiorire di nuove iniziative industriali che sono – al momento – vere e proprie “scatole vuote” predisposte per acchiappare i (pochi) soldi che lo Stato italiano potrà investire nel settore, ma – dietro a loro – non vedo una reale consistenza dal punto di vista industriale.

Sento poi le solite “melonate” del tipo: “L’Italia è la patria di Enrico Fermi e quindi non sarà seconda a nessuno rispetto all’utilizzo dell’energia nucleare“. Qualcuno dovrebbe rammentare al Presidente del Consiglio che Enrico Fermi effettivamente nacque in Italia, ma l’energia nucleare la sviluppò in USA dove dovette fuggire a causa delle leggi razziali approvate dal fascismo. In Italia oggi non abbiamo né le competenze industriali, né il capitale umano (leggi ingegneri nucleari e fisici) necessari per sviluppare il benché minimo programma di rilancio del nostro settore nucleare. Se partissimo oggi – con serietà ed investendo i capitali necessari – forse potremmo vedere qualche risultato tra una decina d’anni. Ma se continuiamo a fare solo chiacchiere a vuoto e a gonfiarci il petto con affermazioni tanto orgogliose quanto vuote rischiamo di buttare via tempo prezioso mandando all’aria la possibilità di fare qualcosa di serio.

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