Nucleare all’italiana: Enel, Leonardo ed Ansaldo assieme per costruire le nuove centrali italiane: una alleanza di carta, priva di sostanza industriale

Il grande attivismo di Confindustria preannuncia un prossimo rilancio dell’industria nucleare in Italia. I proclami si sovrappongano assieme alla solita retorica sovranista (siamo la patria di Enrico Fermi, sul nucleare non siamo secondi a nessuno!) e sembra ormai imminente la costituzione di un nuovo soggetto industriale che sarà incaricato dello sviluppo delle centrali nucleari italiane. Peccato che nessuno dei soggetti coinvolti sembra possedere le competenze tecnologiche ed il capitale umano necessari per lo sviluppo del programma.

Il sottotitolo di un articolo apparso oggi su Il Sole 24 Ore per discutere del rilancio dell’industria nucleare italiana afferma: “Il percorso non sarà semplicissimo tantomeno avrà effetti tangibili immediati“. Considerata la forte spinta impressa allo sviluppo del nucleare da parte del neo-presidente di Confindustria Emanuele Orsini posso comprendere la prudenza dei giornalisti de Il Sole 24 Ore (giornale di proprietà di Confindustria) che lasciano intendere quale sia lo stato effettivo delle cose, anche se non possono essere più espliciti, scrivendo quale sia la verità nuda e cruda.

In realtà bisognerebbe partire dal fatto che – anche prima del referendum del 1987 che sancì la chiusura delle centrali nucleari italiane – il nostro Paese non ha mai avuto aziende in grado di sviluppare centrali nucleari basate su tecnologie proprietarie. Le (poche) centrali nucleari installate in Italia furono tutte costruite importando tecnologie dagli Stati Uniti (o dal Canada). Le aziende italiane hanno acquistato le centrali più o meno “chiavi in mano” o – al massimo – hanno prodotto parti di reattori su licenza, ma non hanno mai sviluppato una loro tecnologia. Mi riferisco ovviamente alle parti specificamente nucleari delle centrali. Diverso è il discorso per le turbine che – usando il vapore ad alta pressione prodotto dal processo di fissione nucleare – producono energia elettrica. In questo settore l’Italia ha buone competenze, ma si tratta di strutture accessorie rispetto al cuore nucleare delle centrali.

Le motivazioni che sono alla base di tale situazione sono molto semplici: il mercato italiano è troppo piccolo per coprire gli ingenti costi di sviluppo delle tecnologie nucleari. Senza contare che nel dopoguerra l’Italia (uscita sconfitta dalla II guerra mondiale) aveva subito forti limitazioni nello sviluppo del settore nucleare che – lo ricordo – oltre alle applicazioni civili può avere un vasto utilizzo anche in campo militare.

I referendum popolari che hanno messo al bando l’uso dell’energia nucleare in Italia hanno dato il colpo di grazia alla già gracile industria nucleare italiana. Oggi le (poche) competenze disponibili sono perlopiù collegate al lento lavoro di smantellamento delle vecchie centrali nucleari. Manca – come ho avuto modo di ribadire in numerosi post precedenti – un centro italiano per il trattamento e la conservazione delle scorie nucleari ed attualmente il nostro Paese paga costosi affitti a Francia e Gran Bretagna dove vengono conservate le scorie più pericolose prodotte dalle centrali nucleari italiane attive nel passato.

Se andiamo ad analizzare più in dettaglio la proposta di costituire una nuova compagine industriale prevedendo un’alleanza tra Leonardo, Enel ed Ansaldo mi sembra che abbiamo a che fare su una operazione di scarsa consistenza. Tutte queste società sono sottoposte al controllo (diretto od indiretto) dello Stato italiano e non si sono potute sottrarre alla “chiamata” proveniente dal Governo, ma nessuna di loro ha competenze tecnologiche e personale adatto per affrontare la sfida. Sono tutte società che hanno un altro tipo di obiettivo industriale. Se effettivamente volessero convertirsi al nucleare dovrebbe fare investimenti miliardari che sarebbero fatalmente sottratti alle loro attuali attività (a meno che il Governo non pensi di scaricare i costi sulle bollette elettriche degli italiani!).

Aldilà del problema di trovare i fondi per gli investimenti, c’è – ancora più cogente – un problema di scarsità delle risorse umane. Da molti anni le Università italiane hanno smesso di formare gli ingegneri ed i fisici che sarebbero necessari per rilanciare il settore nucleare in Italia (non avrebbe avuto senso considerato che sarebbero stati costretti ad emigrare all’estero per trovare un lavoro coerente con la loro preparazione). Ovviamente si può pensare di lanciare un grande programma formativo, ma ci vogliono soldi e soprattutto tempo.

Il risultato più probabile e che l’Italia finirà per comprare dagli Stati Uniti (o dalla Cina se cercheremo soluzioni “low cost“) qualche centrale “chiavi in mano” così come facciamo per tante altre tecnologie.

C’è poi da affrontare il problema dei rifornimenti del combustibile nucleare che oggi vede la Russia come uno dei principali fornitori mondiali. Siamo usciti (almeno ufficialmente) dal gas russo per dipendere dalla Russia per le forniture nucleari?

Come si vede, non bastano gli annunci ripetuti o i richiami alle antiche virtù italiche (siamo la patria di Enrico Fermi) per realizzare un effettivo rilancio del settore nucleare italiano. C’è bisogno di forti investimenti (non solo finanziari, ma anche nel capitale umano) e c’è bisogno di una pianificazione di medio-lungo periodo che va ben oltre ai limitati orizzonti della politica italiana. Come fisico, ritengo che dovremmo impegnarci soprattutto nello sviluppo delle centrali di IV generazione (quelle a neutroni veloci) che hanno un rendimento decisamente più elevato e riducono drasticamente il problema delle scorie nucleari.

Ho invece seri dubbi sui reattori modulari di piccola o media taglia (SMR) basati sulle tecnologie di terza generazione perché – a parità di energia generata – producono più scorie rispetto ai reattori di seconda generazione che attualmente sono attivi in Europa. Recentemente gli SMR hanno destato un rinnovato interesse specialmente a causa della forte domanda di energia innescata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma dal punto di vista dei costi dell’energia elettrica prodotta non è affatto detto che tali dispositivi siano effettivamente convenienti.

In conclusione, corriamo il serio rischio di fare le cose in modo un po’ troppo approssimato, se non addirittura cialtronesco. Intanto il governatore-doge Zaia si è già tirato fuori ed ha annunciato la sua totale contrarietà all’idea di installare a Marghera una delle future centrali nucleari italiane. Il rischio che tutto si riduca in una perdita di tempo ed in uno spreco di denaro pubblico c’è, anzi direi che è molto consistente. Peccato perché – lo ripeto – quella delle centrali nucleari di IV generazione sarebbe una occasione da non perdere.

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