Un articolo apparso su La Stampa fa il punto sull’avanzamento del processo di selezione del sito destinato ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Oggi i rifiuti nucleari sono dispersi in una trentina di siti diversi, caratterizzati da un basso livello di sicurezza rispetto ad eventi estremi, ma anche facilmente vulnerabili. Per fortuna le scorie più pericolose (derivate dal combustibile esaurito delle vecchie centrali nucleari) sono conservate all’estero (a fronte del pagamento di affitti di consistente importo). Anche se apparentemente siamo in procinto di far ripartire un uso estensivo dell’energia nucleare anche in Italia, la scelta del sito dove collocare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi sembra ancora lontana da una soluzione concreta.
Il Governo Meloni sembra girare a vuoto quando si tratta di identificare un sito dove possa essere collocato il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Questa struttura è di fondamentale importanza soprattutto se si vuole dare consistenza al progetto di riavviare – anche in Italia – la produzione di energia da fonti nucleari.
Come ben sappiamo, le centrali nucleari producono scorie molto pericolose, sia per i danni che possono provocare all’ambiente ed alle persone, sia per il loro potenziale utilizzo in ambito militare. Inoltre – almeno fino a che non funzioneranno le centrali di IV generazione – alcuni dei rifiuti prodotti dalle centrali nucleari sono caratterizzati da un tempo di decadimento che può arrivare fino a molte migliaia di anni. Se vogliamo evitare di lasciare alle future generazioni pericolose eredità bisogna che il deposito sia ospitato in un sito che oltre a ad essere sicuro anche in caso di eventi estremi come alluvioni e terremoti sia stabile su tempi di scala geologica. Questa condizione esclude gran parte delle possibili località italiane che sono state pensate come potenziale sede del deposito nazionale.
Il processo di selezione va avanti molto a rilento, per non dire che è sostanzialmente bloccato. Il Ministero diretto dal povero Pichetto Fratin ha elaborato una lista di 51 aree che – secondo i tecnici ministeriali – potrebbero essere “potenzialmente” idonee, ma nessuna di queste località ha manifestato la ben che minima intenzione di accogliere il deposito.
In questi casi scatta senz’altro la sindrome NIMBY (non nel mio giardino!), ma francamente non mi sento di biasimare gli amministratori locali che si sono tirati indietro (tutti, inclusi quelli di colore politico uguale a quello del Governo nazionale). Il progetto governativo è troppo vago e indefinito. Chi – in queste condizioni – accettasse di accogliere il deposito nazionale rischia di assumere impegni che – in futuro – potrebbero diventare molto più gravosi rispetto a quelli inizialmente pattuiti.
In particolare, leggendo l’articolo de La Stampa sembra di capire che il Governo intenda mettere nel deposito nazionale solo i rifiuti nucleari a bassa attività (quelli meno pericolosi) ovvero quelli prodotti dalle applicazioni sanitarie ed industriali e da parte dei materiali provenienti dallo smantellamento delle vecchie centrali, escludendo che sia destinato a trattare i combustibili esausti delle future centrali nucleari. Questi dovrebbero continuare ad essere spediti all’estero (come si faceva con le vecchie centrali), ma non è detto che ciò sia possibile e soprattutto comporterebbe il pagamento di ingenti costi di trasporto, lavorazione e custodia che farebbero aumentare il costo dell’energia prodotta dalle future centrali.
Questo – a mio avviso – è un punto dirimente per capire se abbia senso o meno riprendere ad investire su nuove centrali nucleari, soprattutto quando parliamo dei reattori di piccola.media dimensione (SMR) di terza generazione. Per i reattori di IV generazione (che producono molto meno scorie radioattive e soprattutto non generano radioisotopi con vita media superiore a qualche centinaio di anni) il problema del deposito delle scorie radioattive è molto meno impattante, ma non dobbiamo neppure dimenticare che – almeno per il momento – i reattori di IV generazione non ci sono ancora. Parliamo di una tecnologia che deve ancora essere sviluppata completamente e per la quale non abbiamo – al momento – elementi di valutazione certi ed affidabili. Si tratta – a mio avviso – di una tecnologia che meriterebbe un sostanziale sforzo di ricerca e sviluppo, ma è ancora troppo presto per capire se sarà effettivamente efficace.
In conclusione, se l’Italia volesse dare si sé una immagine seria e concreta, dovrebbe prendere decisioni concrete per arrivare alla scelta del deposito nazionale. Ai nostri decisori politici suggerirei di seguire l’esempio della Svizzera dove è attualmente partita la procedura per la costruzione del nuovo deposito federale in formazioni geologiche profonde che sarà localizzato a Nördlich Lägern (vicino a Zurigo). Si tratta di una procedura lunga e complessa che è stata affidata ad esperti di chiara fama, evitando accuratamente che ci fossero interferenze di natura politica sia da parte del Governo federale che da quelli cantonali.
Se lo hanno fatto gli svizzeri possiamo farlo anche noi, purché tutti lavorino con serietà evitando gli annunci a vuoto che ci bombardano con cadenza quasi settimanale e certe penose forme di cialtroneria di cui faremmo volentieri a meno.
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